sabato 12 dicembre 2009

D'Alema, statista tribale

È diventato ormai da sei mesi trinariciuto di prima linea, dopo avere per una vita rivolto appelli alla normalità - come il suo mentore e poi patrocinato Napolitano. E sta mobilitando di Bari ogni soffio e ogni mattone, nelle Procure, nei palazzi, nei trivi, per vincere le regionali fra tre mesi. È il suo obiettivo principale e per ora unico, altro che politica estera dell’Unione europea. O meglio, parodiando il noto detto: Bari è meglio dell'Unione.
All’improvviso D’Alema, quando il suo protetto a Bari, il giudice sindaco Emiliano, rischiò in primavera la rielezione, ha scoperto di non avere fuori della Puglia altro teatro politico, e ad essa si è dedicato. Ha inventato la D’Addario, col giudice Scelsi, per mantenere Emiliano a palazzo di Città. Non perde occasione per denunciare le malefatte di Berlusconi. E impone a Vendola il ritiro dalla candidatura alla rielezione. Cioè la minaccia – la otterrà. Contro tutti ha mobilitato le procure e i tribunali, in Puglia da tempo suoi affezionati: contro Vendola, contro Berlusconi e contro i berlusconiani.
Sembra eccessivo, che l’unico statista italiano riconosciuto si riduca alla dimensione regionale. È anche rischioso, perché sarebbe a questo punto ridicolo perdere le elezioni. Ed è deludente, questo è sicuro. Per Milano, che aveva puntato su di lui, la Milano che conta: il “Corriere della sera”, i banchieri, le grandi famiglie. I banchieri soprattutto erano stati uniti dalla sua leadership, destra e sinistra insieme: Geronzi e Mediobanca con Bazoli e Profumo. Ma il richiamo del sangue è stato più forte: il fallimento di Emiliano al primo turno delle amministrative ha fatto scattare in D’Alema un incontrollabile riflesso tribale.

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