Filosofare l’ovvio, in astratto e in concreto, è sempre arduo, e i diritti umani sono una di quelle cose che tutti sanno - anche se, già sessanta anni fa, H.Arendt poteva filosofare, nel "Declino dello Stato nazione", la debolezza dei diritti naturali, se non la loro inconsistenza in natura. Jeanne Hersch parte dall’opposto, da Antigone, che pone l’esigenza assoluta. Un diritto naturale che è tradizione e sangue, e solo apporta lutti, senza liberazione: una forma di fondamentalismo non necessariamente umanitario. La natura è “il regno della forza”, avverte, benché si parli di “natura umana”, una forma contraddittoria e limitativa: “C’è nella natura umana un’esigenza che supera, trascende, e perfino contraddice i dati della natura, nel senso dei caratteri biologici di una specie” (p.62). Per poi concludere: “Kant è molto vicino ad Antigone”. O non è il contrario?
La soluzione, dopo tutto, è anch’essa ovvia: “L’essere umano, di cui si tratta di rispettare in modo assoluto i diritti, non è un cittadino astratto del mondo in generale. È sempre una persona concreta, situata in una data epoca, in un dato paese. Ha un’eredità storica, sociale, tradizionale”(p.66). Ci vuole equilibrio: “L’esigenza assoluta dei diritti umani prevale sul diritto positivo, ma… nello stesso tempo senza diritto positivo non ci sono nemmeno i diritti umani”. E: “Un maestro che volesse insegnare i diritti umani ispirandosi alla tradizione europea dovrebbe forse porre Socrate accanto ad Antigone“ (85)
Jeanne Hersch tenta qui una sintesi del lavoro che fece all’Unesco a partire dal 1968, quando, direttrice della neo costituita Divisione di Filosofia dell’organizzazione, lanciò un censimento dei diritti naturali nelle culture e le tradizioni locali. Ne ottenne un atlante che non lasciava scoperto un solo angolo della terra. E la conferma che “qualcosa è dovuto all’essere umano per il solo fatto di essere umano”. Una “universalità” di cui la stessa “diversità dei modi di espressione” è garanzia di “autenticità”.
Dei paletti erano e sono necessari. Specie sugli equivoci diritti umani degli Stati, che si faceva valere all’epoca (e tutt’oggi all’Onu) in virtù della decolonizzazione e col patrocinio dell’Unione Sovietica, magari da governi violenti. Ma era necessario far valere la componente collettiva o comunitaria, o tradizionale, o storica, dei diritti umani, troppo appiattiti sugli usi di una piccola parte dell’Occidente (“Lottare contro il razzismo non è negare l’esistenza delle razze” (93), delle diversità): “La collettività, nazionale, religiosa, etnica, è in molti modi indispensabile all’individuo, e quindi ha dei diritti, ma questi sono derivati da quelli della persona e non l’opposto” (88) .
Jeanne Hersch, I diritti umani dal punto di vista filosofico, con prefazione di Roberta De Monticelli, e introduzione di Francesca De Vecchi, Bruno Mondadori, pp. 102, € 10
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