Un anticlimax, la deposizione di Spatuzza? L’Italia colpevolista, e con essa i giudici, spaventati? No, ci vuole ben altro, dice bene la nota “Spatuzza spaventa”. Ma lascia intendere che qualcosa è cambiato, e invece nulla cambia, l’Italia è sempre dei pentiti: Spatuzza è uno che parla come i suoi giudici, svirgolato, allusivo, distruttivo in ogni fibra, e il linguaggio è spia sempre veritiera. La sua esibizione in processo è parte dello squallido braccio di ferro tra Berlusconi e i giudici sulla cosiddetta riforma della giustizia, ma non intacca la sostanza della cosa.
La controprova è oggi, nell’arresto a Milano e Palermo di grandi ricercati che prosperavano ai bordi dell’indimenticato stalliere di Arcore, seppure morto ormai da dieci anni. Figurativamente, beninteso, è inutile stare a fare di Berlusconi un affiliato alla mafia, che stupidaggine. I mafiosi sono sempre stallieri, siano pure proprietari di bar, ristoranti e condomini, magari in forma di cooperativa. Gli affari veri, quelli non si curano dei mafiosi, seppure killer pluriomicidi incalliti. Per la mafia basta un agente della squadra mobile in borghese, in giro per la città nello shopping dell’Avvento.
La sostanza della cosa resta che questi giudici e questo berlusconismo si tengono insieme: è tutta qui la mafia politica, la mafia delle mafie che dal 1992 non per caso, dopo gli assassini di Falcone e di Borsellino, ci ingombra l’orizzonte.La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza alla presenza di duecento giornalisti non c’entra con la mafia. È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici siciliani si prestano proni per loro particolari ragione, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
È il sistema “Milano”, un certo governo della cosa pubblica, opinione e affari, che distrae l’attenzione su aspetti marginali, quali la mafia a Milano, per lasciare liberi gli interessi veri o sostanziali. La domanda da farsi sarebbe: è arrivato il momento per i giudici di scaricare Berlusconi, o per Berlusconi di liberarci di questi giudici? E la risposta è no, ognuno lo vede. “La fine dell’egemonia” titolava ieri Dario Di Vico sul “Corriere della sera”. Ma “Milano” non molla: in cambio di che? Di Casini? Di Fini?
domenica 6 dicembre 2009
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