“Questi lunghissimi\infelicissimi versi” lo sono per più di un aspetto, anche se la raccolta in edizione economica attesta una domanda ancora viva. Si comincia a leggere, una poesia discorsiva, dalla “Brevi lettere” in poi: “Sto abbandonando Roma”, “Seguendo le anse del fiume Meno”, l’ultimo decennio di una scrittura quarantennale. La dottrina dell’avanguardia ha fatto molte vittime, la "linea lombarda" di Luciano Anceschi, specie tra i discepoli del “Verri”, la rivista di Anceschi, ridotto alla sterilità sotto forma d'invenzione. Un modernismo che ha prodotto solo macerie, l'antipoesia e l'antiromanzo, le avanguardie dei gruppi, dal 47 al 63, venti anni di letteratura a bassa intensità di genio e di razionalità. dunque di storia letteraria. Leo Paolazzi merita più rispetto di Balestrini, che ancora venticinquenne già aveva dato segni di febbrile attività, creativa e editoriale – sarà dirigente di alcune delle maggiori case editrici, creatore di “Alfabeta” e “La Gola”. E si trasforma in “Antonio Porta” in omaggio a Milano, la città del “Verri”, su suggerimento dello stesso Anceschi. Ma non più di tanto.
Si apra “Zero”, una plaquette del 1963-64 , che è forse l’esempio più stimato di avanguardia. Ma allora per l’informalità dell’inutilità: perché sprecare fogli di carta? Per quale fungo? Per quale deriva, “senza concezione, senza misura, senza forma,\senza metro, senza progetto”? Senza neppure la vecchia scrittura automatica. Gli oggetti sono inerti. Tanto più sotto l’occhio del poeta. Un corpus che la curatrice non riesce a rianimare, né le poetiche di Porta, né la copiosa letteratura in appendice. “L’albero di cocco è stato scrollato a fondo”, rimarca crudele Maria Corti. Le strutture sono dissociate, il ritmo confuso, il “disagio della civiltà” inerte. Non si può nemmeno dire una poesia di poetica, di progetto: le poetiche sono deboli. E curiosamente Porta ne è cosciente nelle sue note qui in appendice (“Poesia e poetica”, “Il grado zero della poesia”): non c’è una poetica, non riconoscibile – una poetica dev’essere didascalica.
La poesia d’avanguardia si vuole di ricerca. Critica, è essa stessa più spesso una poetica. Poesia in cui il poeta non si fa facendo ma secondo un progetto. Secondo una teorica che si sviene svolgendo di solito di corsa, in superficie, oggi sbrogliando e riannodando la matassa appena composta ieri. Tanto dottrinale (totalitaria) cioè quanto caduca. Di poeti che dicono quello che stanno scrivendo. Cosa resta di Porta poeta d’avanguardia? La passione è in lui costante, ogni componimento è accuratamente datato, ma la scrittura è di passioni posticce, il fascismo, la madre, l’amante, il freudismo d’accatto, e il consumismo. In sterili dibattiti tra storia e utopia, e utopia e ideologia, di cui nulla rimane. Se non, oggi, come bagaglio dei “compagni di strada”, anche nolenti: le ideologie residue date in pasto da una sordida dottrina del potere, depotenziate della loro verità, quando non apertamente propaganda, uno stallatico. Di cui Porta ha ancora una volta l’intuizione: “ma adesso perché scatta tutto in sovratono,\perché l’orrore, e lo stesso orrore è orribile”. Una piccola sordida pornografia, censoria, di cui i migliori sono vittime, ma niente di più.
La prima metà del volume è una summa delle avanguardie di cui nulla rimane, a parte qualche elenco, in “Metropolis” e altrove, neppure tanto nuovi, Rabelais se ne dilettava, o i “modelli di linguaggio”, che hanno un che di onomatopeico, o qualche filastrocca genere cabaret, alla Gaber\Jannacci. Nemmeno gli interlocutori le animano, “Scardanelli”, Arbasino, Dossena, Tadini. L’esito è sempre una narrativa oscura, oscuramente detta anche civile, che riproduce il vizio dell’ermetismo, ma senza più giustificazione formale, una sorta di salvacondotto “politico”, di rifugio dell’autocensura. La sperimentazione è un passepartout, in uso libero ai poeti come ai portieri, senza “tecnica”, applicazione, ingegneria.
La lettura cambia dalle “Brevi lettere”, e quindi per una buona metà del volume. La poesia vi si fa discorsiva e anzi alluvionale, tutto al contrario della avanguardia ermetica. Questo è un altro “Porta”, confinato al suo ultimo decennio. Talvolta vivace, ma con sorprese minime, più spesso è incontinente - su Melusina,la Nigeria, lo socpo fuori di sé... Fuori dalle avanguardie c'è solo il lombardo birignao?
Antonio Porta, Tutte le poesie, Garzanti, pp.662, € 20
Nessun commento:
Posta un commento