Sottile rilettura della Colpa, la colpa tedesca come teorizzata da Jaspers nel 1946: morale, politica e metafisica, secondo la nuova categoria dei delitti contro l’umanità, e quindi imprescrittibile, non più legale e personale. Jaspers è l’unica citazione, e solo per il titolo, “La questione della Colpa”. Ma la sua idea fa da contappreso a tutto il film. Qual è la Colpa di una ragazza di vent’anni, analfabeta, operaia alla Siemens, che nel 1940 si arruola nelle SS, e finisce guardiana di un campo di concentramento? La colpa è invece accasciante per il ragazzo suo tardivo amante di un’estate, che non rivela al processo a carico della donna per crimini di guerra la circostanza dirimente, il suo analfabetismo. E soverchia la donna stessa quando, all’ergastolo, impara da sola a leggere e prende i libri in biblioteca – si impiccherà il giorno prima di uscire per buona condotta, saltando dalla catasta dei libri.
Il finale è agghiacciante tra la bambina scampata al lager, che con le sue memorie ha portato alla condanna della guardiana, ora divenuta ricca e gelida analista, e l’ex ragazzo ora avvocato di successo e tuttavia fallito, cui non resta altro che l'identificazione con la morta amante dei suoi quindici anni. La conclusione tra i due è ovvia, che il lager cancella ogni umanità. Ma i ruoli sono rovesciati, tra l’ex vittima e l’ex carnefice, visivamente (nel decoro, il portamento, la sensibilità), e per il non detto della memoria: perché la bambina si è salvata, con sua madre, perché all’aguzzina è stato imputato un rapporto che non poteva scrivere.
Il regista di “Billy Eliot” narra molto bene l’adolescenza, la prima metà del film. La seconda metà è piatta, ma il tema è appunto poco filmico.
Stephen Daldry, The Reader – A voce alta
giovedì 31 dicembre 2009
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