Mourinho vuole dire che nella partita Juventus-Inter gli sono state fischiate troppe punizioni contro. Ma non lo dice, accenna. Allude. E dunque la mafia ha contagiato l’italiano? Sembrerebbe: i giornalisti spiegano solleciti che Mourinho non può dire di più, altrimenti verrà censurato o punito dalle autorità calcistiche, ma proprio questo è mafia, il qui lo dico e qui lo nego, e l’omertà dei giornalisti.
C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta insensibilità.
Seduta accanto alle regine e principesse scandinave, Michelle Obama potrebbe essere una di esse, non fosse per il colore: stessa robusta ossatura, stessa mascella forte, stesso abbigliamento un po’ come viene. Sono sedute anche alla stessa maniera, da educande impacciate sulle sedie troppo piccole.
Premio Nobel per la Pace, Obama fa a Oslo il discorso della guerra. Partendo dalla premessa che la guerra giusta o umanitaria è discutibile. È più onesto dei suoi giudici.
Alla conferenza dei grandi della terra a Copenhagen, Sarkozy si copre la bocca con la mano per parlare con Brown. Ridicolo, rifare Totti in campo. Privacy? Diritto all’informazione? È ludibrio, il disfacimento di ogni autorevolezza, insieme con la riservatezza. In quel terribile egualizzatore che è il pettegolezzo: tutti merde.
Il boss mafioso Gerlando Alberti, condannato all’ergastolo per aver fatto uccidere, tra gli altri, una ragazza diciassettenne, è stato messo in libertà dopo pochi di carcere. Non è evaso, ha avuto la libertà dai giudici. Che a suo tempo avevano anche dimenticato di farlo carcerare, dopo averlo condannato.
La ragazza era stata uccisa perché, stiratrice in una lavanderia, aveva trovato nella tasca di una giacca di Alberti un’agenda, e forse l’aveva letta.
Il giudice Claudio Dall’Acqua, e che giudice, presidente di Corte d’assise d’appello, seppure di Palermo, si umilia a farsi rimbeccare da un mafioso: “Perché dovevo ricorrere ai politici, non ero stato condannato”. In un processo a cui s’è prestato a dare un rilievo abnorme, spostando a grandissimi costi la sua Corte da Palermo a Torino. Non sarebbe stato dovere del Pubblico ministro sentire prima il suo inattendibile teste? Perché il giudice Dall’Acqua non ammonisce il Pubblico ministero? Perché si umilia?
La Spagna è a tutti gli effetti fallita, ma non si può dire. Poggia su una bolla immobiliare che da quasi due anni è una partita di giro senza una domanda e senza prospettive, ma banche che sono piene di crediti inesigibili vengono date per solide. Come le sue super squadre di calcio, che hanno tanti debiti da far rabbrividire (gestite da immobiliaristi…). Lo spirito nazionale è forte: ma è un asset o un handicap?
Si fa una festa nel reatino dell’olio d’oliva. A cui partecipano specialisti e scienziati del settore. Si possono così ascoltare analisi spassionate del tipo: “L’olio spagnolo è connotato all’olfatto da inconfondibile piscio di gatto”. Vomitevole allora? No, al contrario, dev’essere connotazione di pregio, poiché l’extra vergine spagnolo si vende ad almeno otto euro al kg, quasi il doppio che l’equivalente italiano – non si vende in Italia, ma nel Centro Europa sì, così pare. E il perché non è un mistero: è il marketing, che la puzza fa diventare un sapore.
mercoledì 16 dicembre 2009
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