lunedì 7 dicembre 2009

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (49)

Giuseppe Leuzzi
La mafia è l’antimafia
Suggestio falsi, suppressio veri: tornato in auge in estate per la pretesa di Hillary Clinton di essere stata in Bosnia dieci anni fa, dove invece non era stata, il brocardo è purtroppo di uso commerciale e anglosassone, di un altro mondo cioè, manca dai regesti italiani. Tacere un fatto, o suggerirne uno falso invalida un contratto in Gran Bretagna e negli Usa. Anche se suggerire il falso per sopprimere il vero si applica soprattutto alla realtà italiana, morale prima ancora che commerciale, all’opinione pubblica come viene esercitata. E all’uso dei pentiti, i criminali che diventano paladini della giustizia.
Hillary Clinton è stata perdonata perché può darsi che non sappia dov’è la Bosnia. Non c’è ignoranza invece per i pentiti e i loro giudici.

Fiat iustitia et pereat mundus!, il fondamentalismo della giustizia originò con gli Asburgo, per interessi dinastici dunque, che Lutero si appropriò con frequenza. Bisognerà aspettare Hegel per ristabilire la verità: Fiat iustitia ne pereat mundus, si faccia giustizia affinché il mondo non perisca. Ma Hegel è di ardua lettura.

Il corteo palermitano a Torino in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici siciliani si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.

Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento, un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto, neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è mafioso? No.

Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo studia teologia in carcere, ma si ricorda dopo quindici anni. E dopo che da ben sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.

Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il colloquio tra Procuratore e boss, il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml
Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice. E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni, accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».

Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29 novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel 2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia. Sotto l’ìncubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai mafiosi.

Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (qui lo dico, qui lo nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con buoni voti. Bene assistiti dai tutor. È il carcere una buona università, o viceversa?

La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito, in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri, per sbugiardare la giustizia.

Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un capo di Stato e con lauti rimborsi spese dello Stato. Era pronto anche a chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione.
Ci impogono la mafia, e le fanno un monumento - non c'erano eroi di mafia vent'anni fa, prima dell'avvento di Milano.
Pagare un vitalizio ai pentiti, che pena! È come pensionare la mafia.

L’antimafia è l’invenzione della mafia. Per essere ha bisogno di una mafia. Anzi, più cresce la mafia più essa si rafforza. In sé è solo naturale: è la naturale onestà degli uomini. Come politica è l’“invenzione” della mafia.

Il pentitismo è l’ultimo regalo alla mafia: l’ordine imposto nella forma inquisitoriale. Confidenti ce ne sono sempre stati, ma senza status giuridico privilegiato. Il pentitismo è il veleno inoculato nell’antimafia – un artificio di polizia all’origine (Dalla Chiesa), con le cautele note imposte dall’esperienza, che ne è diventato la legge e l’anima. Senza più le cautele è solo una suppressio veri attraverso la suggestio falsi.

Ci sono anche fatti precisi. Come le stragi contro i giudici Falcone e Borsellino da addebitare allo Stato anti-Stato. Cioè a Berlusconi. Con la memoria incerta di un pentito falso, Spatuzza. E quella, anch’essa incerta ma più scopertamente ricattatrice, di un non pentito, Ciancimino figlio.
Qui c’è un delitto minore e uno maggiore. Il minore è che un giudice faccia carriera con l’antiberlusconismo. La politica è un’ottima cosa, anche per i giudici, ma nel tempo libero. Mentre ci sono giudici a Palermo, città gonfia di mafia (di droga, appalti, pizzo e mazzette), che aspettano di colpirla quando avranno dimostrato che Berlusconi ne è il capo.
Il delitto maggiore è che addebitare allo Stato, sia pure sotto le spoglie di Berlusconi, senza alcuna prova né indizio, gli assassinii di Falcone, Borsellino, la moglie di Falcone e tanti agenti, è l’assoluzione massima di Brusca, Cancemi, Riina e le altre belve. Ne è la glorificazione: la mafia, e non la giustizia, che dimostra in tribunale che la vera mafia è l’antimafia, cioè l’apparato repressivo dello Stato, agli ordini di alcuni imprenditori.
La Sicilia preesisteva a Berlusconi, queste “traggedie” non sono nuove, né purtroppo anomale. Ma tanta applicazione è solo spaventosa.

Che la mafia sia stata creata dall’antimafia è affermazione all’apparenza ridicola oltre che brutale. Ma è vera. Dopo l’antimafia radicale le popolazioni del Sud sono meno difese. Non c’è più rappresentanza politica d’opposizione. Non c’è nemmeno il sindacato. I professionisti, avvocati e magistrati compresi, hanno precisa la nozione che la loro frontiera è arretrata. I carabinieri si limitato a controllare il territorio, cioè a fare le multe, oggi ai ragazzi in motoretta senza casco come ieri agli impiegati pubblici che andavano al caffè. Non ci sono più controlli sugli appalti e gli affari. Un velo di opacità consapevole si è steso su tutti i rapporti. Prima la società era combattiva.

Lo Stato c’è, quando vuole. Protegge benissimo i pentiti, per esempio. Non è mai riuscito a proteggere un qualsiasi cittadino che denunci la mafia. Cioè non si è impegnato. Il grande pentito Buscetta andava per esempio al ristorante in centro a Roma, e in crociera, per incontrare i giornalisti. Uno che è taglieggiato dalla mafia è invece finito, lui e i suoi familiari: vite da incubo.

Dalla criminalità ci si può difendere. Soccombere è una di cinque possibilità: ci sono i carabinieri, si può farla franca, si può fare un compromesso, e si può anche battere il nemico con le sue armi. La criminalizzazione invece toglie il respiro. Ogni individuo, anche povero, che sia vittima della mafia sarà sempre sospettato e accusato di correità, dal favoreggiamento all’associazione esterna e al traffico d’influenze. E l’amministratore pubblico, che per un appalto da cinquecento euro, un gabinetto di una scuola, dovrà garantire la certificazione anti-mafia estesa a tutti i lavoratori dell’azienda appaltatrice: basta che un qualsiasi manovale abbia avuto condanne, o abbia carichi pendenti, per subire l’infamante accusa, o un muratore che non ha vinto la gara e faccia ricorso in giustizia.
La mafia è in buona misura l’antimafia soprattutto in quanto questa ne magnifica la consistenza, gli interessi, il potere. Chi vive in area di mafia lo sa bene: i brutti, sporchi e cattivi sono divenuti con l’antimafia politici, banchieri, filantropi, divi del cinema. Questo era impensabile trent’anni fa. È come se l’antimafia generasse una tossina, certo contro ogni intenzione, che distrugge ogni difesa: inietta sfiducia erodendo ogni residua energia, accentua il lato patogeno delle società colpite dalla mafia, la passività e l’attesa del miracolo esterno, le disorganizza e disloca. Ne accentua cioè la sudditanza: perché, questo è il punto, l’antimafia è un coagente esterno. È un altro programma inteso a tenere il Sud a distanza, un aggiornamento della ricetta unionista che volta a volta si è chiamata brigantaggio, coscrizione, dazi doganali, Cassa del Mezzogiorno.
Lo specchio è la riduzione della politica a mafia nelle aree che ne sono colpite. Prima ancora di diventare la polpetta avvelenata dell’Italia, l’antipolitica lo è stata, per generazioni, al Sud. L’antimafia toglie in realtà ai non mafiosi, che sono il novantanove virgola qualcosa per cento delle aree a presenza mafiosa, la legittimazione a reagire se non nel suo ambito, cioè come portatori di voti o piccoli apparati di partito. Non è un’azione liberatrice ma di monopolio del potere. Anche nei confronti della mafia, che sappia chi comanda.
Gli stessi dossier dei carabinieri, con diagrammi, genealogie, ramificazioni e perfino patti internazionali (i cartelli), expertise, collusioni, interne e esterne, al municipio, al governo, all’università, all’ospedale, in chiesa perfino e all’asilo, ne fanno un fenomeno imbattibile – moderno, organizzato, flessibile, pervasivo - invece di stroncarlo prendendo i mafiosi.

Si scrive che la ‘ndrangheta, la mafia calabrese, controlla il mercato della droga in Europa e in Sud America, e non pare possibile. Come quando lo diceva della camorra lo scrittore Saviano in “Gomorra”, tre anni fa - o sono due? Gli arresti a raffica dei capi di questi “superstati” confermano l’irrealtà, perché è gente da poco, se si toglie la crudeltà. I trascorsi sono inquietanti, in quanto a sopravvalutazione delle mafie.
Passata la prima sorpresa, la terribile strage di Duisburg era rientrata presto, prima ancora degli arresti, in una strana normalità. Una “normalità” che voleva l’attentato monitorato dalle forze dell’ordine (forse dai carabinieri). Non proprio “quello”, ma sempre un attentato per il quale si cercavano armi a tiro rapido. In una triangolazione tra la Germania, Roma e la Germania. Tra una serie di persone di cui si sono detti i nomi e le colpe, e che stranamente sono rimaste a piede libero.
Questo può essere un caso di millantato credito. Non sarebbe la prima volta che la forza di polizia esclusa da una certa indagine faccia dire in giro che sapeva tutto. O può essere stato un caso d’informazione drogata: quando non si ha nulla da dire e non si sa che fare, ci si può giovare del credito accumulato presso i giornalisti. Ma la sensazione è fastidiosa di un già visto e vissuto. Della giustizia e della repressione vissute come una partita, un calcio tu, uno io. Non come un obbligo giuridico e morale, di bloccare o reprimere ogni manifestazione delittuosa. Ma di una partita tra apparato repressivo e mafie confidenti, confidenti di polizia. Che talvolta eccedono, come è successo a Duisburg, e allora devono pagare: fare qualche nome, dare qualche traccia, lasciare qualche morto.
È la sensazione netta della famosa Anonima Sequestri dell’Aspromonte. Per vent’anni si è saputo di un’Anonima imprendibile, capace di colpire e eludere le migliori forze dell’Italia, manageriali, economiche, repressive. Che poi si è rivelata misera cosa, di quasi balordi, tutti a vario titolo confidenti. Lo stesso nella Nuova Camorra terribile di Alfieri e Galasso, di cui tutto invece si sapeva, e che si sono pentiti all’arresto. Oggi, vent’anni più tardi, sappiamo che i capi-mafiosi M. di Castellace, gli stessi che hanno organizzato l’esproprio dei (piccoli) proprietari, erano confidenti dei carabinieri.
Non è una partita truccata, non può esserlo, nessun dirigente dello Stato sottoscriverebbe il patto col diavolo, perché “conosce la legge”. Ma ci sono troppe azioni non riconducibili a responsabilità, addebitabili con precisione, la cosiddetta zona grigia, dove troppe impunità circolano. In molti paesini della Sicilia, della Calabria, del casertano, si ha l’impressione fisica dell’impunità dei cosiddetti mafiosi. Balordi o guappi, prevaricatori, violenti a volte, minacciosi sempre, e invisi a tutti, ma non ai carabinieri. Se non alla sommatoria di troppi anni e troppe violenze. Allora interviene l’arresto e la condanna, ma dopo pentimento. Erano persone utili? Per quale repressione, se non per la giustizia?

leuzzi@antiit.eu

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