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sabato 27 giugno 2009

Khamenei cerca tempo con Obama

“Se c’è una possibilità di dialogo con l’America, questa passa da me”, è quello che Khamenei ha voluto dire tramite Ahmadinejad. L’ha voluto dire ai suoi critici interni, non a Obama. È un messaggio tutto interno, a quelli tra i grandi ayatollah che gli avevano consigliato moderazione e le fine del lungo isolamento, dopo il messaggio del presidente americano al Cairo.
Khamenei sa che ha minime possibilità di recuperare il credito perduto con la repressione. Nessuna se l’Occidente dovesse bloccarne il commercio estero. Ma sa anche che quell’Occidente può essere solo Obama, l’America. I paesi europei non tiene in nessun conto, e anzi li usa (il vertice di Trieste, come già il ridicolo contenzioso con Londra) per riprendersi il carisma che ha perso con la repressione.
A Obama ha fatto rispondere non a caso il giorno di Trieste. Dove infatti il pomposo G8 degli Esteri, pieno di Solana e Benita Ferrero-Waldner (chi è?), si è dispiaciuto e nient’altro. Il messaggio a Obama è stato un segno di disprezzo verso l’Europa. E non necessariamente di paura. L’Iran sa che l’America dopo Bush sarà a lungo inattiva. Sa come tutti che Obama non ha ancora una politica estera, tutto preso dalla crisi, con gli incredibili fallimenti ancora all’orizzonte. Né può incalzare l’Iran in nessun modo: nessuna forma di blocco passerebbe all’Onu. Anche perché l’Iran non è inadempiente in alcun modo con la comunità internazionale, solo non ha firmato il trattato di non-proliferazione, in non piccola compagnia.
Insomma, Khamenei sa che, finito il containment di Bush, non ha da temere nulla: l’Europa non c’è e l’America lotta per sopravvivere. Ma questa carta estera gioca a fini interni. Sa anche che è solo. In campo internazionale e, ora, in campo interno. E che quindi, paradossalmente, è più debole, sia all’interno che all’estero. La decisone sul nucleare, approssimandosi, si trasforma da punto di forza in trappola. Khamenei sa che non può recedere. Ma anche che non sarebbe interlocutore credibile. E cerca tempo accreditandosi come tale.
Il tempo però è sempre corto per il leader iraniano, ormai sconfessato all’interno. Tanto più se l’inazione Usa continua: se Obama non potrà avviare presto una politica estera precisa e decisa, non ci potrà essere quel munifico “pacchetto di pace” che solo può far recedere Khamanei dalla bomba H con onore.

Il barbarico processo di Michael Jackson

Si può dire Michael Jackson stroncato da quattro anni di processi per pedofilia, dalla quale invece era indenne – e la pubblica accusa lo sapeva. Vittima di un processo barbarico che si vuole giustizia. Per mano di Pubblici accusatori a caccia di visibilità per la loro carriera politica, di avvocati a caccia di parcelle, e del giornalismo scandalistico senza scrupoli. Su denunzia del primo che passa, sia pure folle o ricattatore, o anche anonima. E senza alcun atto istruttoria per acclarare le accuse, e anzi manipolando gli atti istruttori per creare un’imputazionee tenerla il più a lungo possibile in vita.
Ecco dove l’Italia ha preso i suoi barbarici processi a ruota libera e irresponsabile via stampa, scoprendo l’America – fatto per molti italiani recente, dopo la caduta del Muro. Senza nemmeno il limite di non poter filmare il tribunale. Con una qualità speciale, bisogna dire, dei Procuratori. Che sono giudici e non politici in carriera, e sono quindi tenuti ad accertare la verità anche per gli accusati. Che non sono tirati per la giacca da avvocati assatanati, e anzi se li trovano per lo più schierati contro l’imbarbarimento. E non hanno in Italia i giornali e la tv spazzatura, che gonfiano gli scandali. O sì?

P.S. (nd.r.) - Adriano Celentano ha scritto il 28 giugno nel suo ricordo di Jackson sul "Corriere della sera": "Ma il vero assassino è davanti a noi, è lì che ci guarda, lo incontriamo tutti i giorni quando andiamo a comprare il giornale o quando guardiamo la televisione. Si può dire che l’assassino ce l’abbiamo in casa, gli diamo da mangiare, da dormire, però non facciamo niente per educarlo a non uccidere. Facciamo finta di non vederlo e ci guardiamo be­ne dall’incazzarci se la notizia che esce dal piccolo schermo sulla piena assolu­zione di Michael Jackson non ha lo stesso risalto di quando invece, per an­ni, lo hanno infamato accusandolo di molestie sessuali. Per dieci anni i «criminalmedia» lo hanno massacrato nonostante lui si di­chiarasse innocente e nonostante nes­suna prova sia mai emersa. Lo hanno distrutto, devastato, piegato in due. E quando finalmente avevano l’opportu­nità di farlo rialzare per il giusto riscat­to di fronte al mondo, i media cos’han­no fatto? Gli hanno dato l’ultimo col­po di grazia: hanno detto «Michael Jackson è stato assolto». Ma lo hanno detto talmente a bassa voce che la pu­gnalata infertagli dai media stavolta è stata fatale".

Fiorello voce del padrone

Non c’è solo il telegiornale di Sky all’attacco di Berlusconi, con divertita impudenza, soprattutto delle speakerine. Lo showman Fiorello, pur alieno dalla polemica, ha perduto su Sky ogni innocenza al servizio della rete. Più o meno ogni sera nel Fiorello Show ha irriso alla Rai. Per quello che sapeva: il “bacio” a Del Noce e poco più. E più per quello che non sapeva: la trattativa tra Rai e Sky per avere un trattamento migliore sulla piattaforma satellitare, oppure per uscirne e creare una propria piattaforma.
Lo ha fatto ogni sera davanti a un pubblico tutto bello e curato, le donne ma anche gli uomini. Che ridevano già prima che lo spettacolo cominciasse. Non pagati naturalmente, anzi si erano litigati i biglietto, a pagamento. Una mutazione somatica (genetica?) della sinistra – Fiorello perlomeno lo ha accreditato come un pubblico di sinistra, con ospiti quasi tutti “comunisti”, come lui dice. Ma questo è un altro discorso, la mutazione somatica (genetica?) della sinistra.
Fiorello è stato salvato dalla Rai berlusconiana, col festival di Saremo, la Rai Uno di Del Noce, Radio Due di Valzania, rimontato e rilanciato. Ma è andato a Sky a fare ogni sera propaganda contro la Rai. Contro Berlusconi, ma soprattutto contro la Rai. Parte della campagna per mantenere a Sky il monopolio del satellite.
Ha fatto impressione vedere in Fiorello la voce del padrone. Le cronache baresi di Sky Tg 24, sinceramente faziose e anzi giulive, si commentano da sole. Ma che una personalità geniale e fragile sia asservita è delinquenziale. Si potrebbe pensare che sia opportunismo, ma Fiorello non è il tipo - avrebbe fatto un’altra carriera. È proprio un plagio, un soggiogamento: Murdoch è devastante.

Dietro lo scontro Berlusconi-Murdoch (2)

La seconda parte dell'articolo della "International Herald Tribune" del 15 giugno, "Berlusconi sfida Murdoch sulla pay-tv" (la prima è stata pubblicata ieri):
(continua)
Sky non sta ad aspettare. Come in altri mercati, per esempiola Gran Bretagna, dove la società gestisce tv a opagamento di successo, Sky scommette molto sui contenuti per mantenere la sua posizione dominante. Questo inverno ha ha preso dalla Rai, l’emittente di Stato, Rosario Fiorello, un entertainer noto per le sue imitazioni di personaggi famos, incluso Berlusconi. Ora Fiorello, che si dice sia stato pressato da Berlsuconi di restare alla Rai, ha uno show popolare che si può vedere solo su Sky.
Altri buffetti a Berlusconi sono seguiti. Ad aprile Sky ha mandato in onda un film, “Shooting Silvio”, su un uomo che sogna di uccidere il primo ministro.
Berlusconi collega l’escalation nel duello con Murdoch a una decisione del governo a dicembre di raddoppiare l’Iva su Sky al 20 per cento. “Non voglio essere cattivo, ma purtroppo col caso Iva c’è stata una rottura nei rapporti conl gruppo Sky e col gruppo Murdoch, che ha pubblicato una seerie di articoli molto critici che mi attaccavno”, ha detto Berlsuconi il mese scorso in un’intervista televisiva sul Canale 5 di Mediaset. Si riferiva apparentemente ad articoli ed editoriali nel “Times”, uno dei quali era intitolato “Cade la maschera del clown”.
Murdoch ha risposto la scorsa settimana in un’intervista con il Fox Business Network dellòa sua News Corp.. “Non controllo cosa il direttore del “Times” dice a Londra, o l’ “Economist”, che lo vanno attaccando, dicedo che è una disgrace averlo (avuto) primo miniosro ngli ultimi cinque anni”, ha detto Murdoch. Ha notato che giornali non appartenenti ala News Corp. Sono andati considerevolmente oltre, col “Paìs” spagnolo che ha pubblicato foto di Berlsuconi nella sua villa in Sardegna in compagnia di ragazze in topless.
Forse la cosa più sorprendente nello scontro tra i due è che ci abbia messo tanto a manifestarsi, dati i loro interessi contrastanti e i loro ingombranti ego.
Negli anni 1990, tra il primoe il s eco ndo governo Berlsuconi – è ora al suo terzo governo – si disse a lungo che avesse discusso la vendita di Mediaset a Murdoch, ma che i due non si accordarono sul prezzo. La creazione di Sky Italia, con la fusione di due smittenti satellitari, avvenne durante il secondo governo Berlusconi.
Sia News Corp. Che Fininvest erano azionisti del Gruppo Kirch, il conglomerato dei emdia controllato dall’imprenditore tedesco Leo Kirch, prima del suo fallimento del 2002. Ora hanno entrambi quote di Premiere, il più frande oratore di tv a pagamento in germania, anche se la quota di News Corp. È di gran lunga più grande, e la società andrà a chiamarsi Sky Deutschland. Come la Germania, l’Italia è un mercato relativamente poco sviluppato per la tv a pagamento, al confronto con la Gran Bretagna, la Francia o gli Stati Uniti. Ma è anche estrem,amemge concorrenziale: in aggiunta a Sky Italia e a Mediaset, c’è un terzo opeatyore di tv a pagamento, di proprietà svedese, di nome Dahlia.
“Il mercato italiano offre ancora un potenziale di crescita molto consistente”, dice Andrea Scrosati, n portavoce di Sky. Mediaset non ha risposto alla richiesta di un parere. Ma altri apesi europei hanno trovato difficile mantenere più di un grande operatore di tv a pagamento, e c’è stata un’ondata di consolidamenti. La concorrenza è destinata a infuocarsi, e le tensioni tra Murdoch e Berlusconi non saranno probabilmente le ultime.
“L’Italia nei prossimi anni sarà un mercato molto interessante per la televisione, pe ragioni economiche e anche politiche”, dice Augusto Preta, general manager di ITMedia Consultino a Roma.
(fine)

venerdì 26 giugno 2009

Riecco la Spagna spagnola

Riecco la Spagna spagnola, quella manzoniana per intendersi, sbruffona, ridicola. Che si penserebbe defunta e invece emerge nel “sorpasso” dell’Italia. Nel Real Mundial, che i calciatori li paga ognuno cento milioni, e alla Champions viene eliminato dalla Roma. Nelle Furie Indomabili (che perdono con gli Usa…), nei cuochi più cari del mondo, nelle nespole grosse come una pesca e acide, e le arance insapori immarcescibili. Che ha dato a suoi giudici la “giurisdizione universale”, ridicola se non serve a stornarli dalla Spagna. Che gareggia per l’antipatia universale, e se ne fa un merito. Perché si ritiene furba.
Inventa infatti e rinnova un abbattimento fiscale per i “cervelli dall’estero”, che è invece a favore dei calciatori, dei club che si possono comprare i migliori campioni già fatti. Perché ha furbescamente riempito di pomposi cialtroni la Commissione Europea. In un’economia di appalti e cementificazione. Di banche piene di un immobiliare vuoto, che si tiene con le partite di giro - il gioco dei tre compari, che si pensava napoletano. Che ha come niente quattro milioni di disoccupati, un quinto della forza lavoro. E riempie impunita di chimica gli alimenti e la gastronomia a cinque stelle, o sette. Dileggiando l’Italia che respinge alcune barche di immigrati mentre a migliaia ogni giorno la Spagna li espelle. E avete visto mai la televisione spagnola? I culi spesso lì non sono gradevoli, è vero.
I caratteri nazionali evidentemente ci sono, una controversia tra gli storici non è più possibile.
E la dottrina dei primati malattia indelebile. A Bruxelles una serqua indimenticabile di grandi inutili burocrati, spagnoli fino alle virgole, celebra ogni giorno dal vivo il peggior manzonismo. In testa quel Solana che non è nulla se non antitaliano, e ha fatto fallire ogni progetto di politica estera e di difesa europea

P.S. “Diventa avvocato\ subito!\ in Spagna\ ed eserciti in Italia!” – lampeggia intanto Google, che paterno (materna?) assiste il redattore di questo blog.

Murdoch si accontenta della Rai

Il momento è delicato per Sky Italia anche perché deve stabilizzare gli utenti che in varie forme ha catturato. Senza abbonamenti veri, anche cinque milioni di utenti non coprono le spese. Mockridge ha già ridotto l’offerta, quella dei film, delle autoproduzioni e degli eventi. Ma non basta. La concorrenza inoltre parte con abbonamenti enormemente meno cari di Sky. Le reti satellitari Mediaset e Rai hanno costi peraltro minimi, e un grosso magazzino di materiali ricavato dalle reti generaliste. Sky ha in pratica solo l’esclusiva del calcio. Ma a caro prezzo, e con crescente disaffezione (la prima partita di mezzogiorno non l’ha vista nessuno).
Nasce qui la virulenza dell’attacco di Murdoch a Berlusconi, attraverso tutte le sue reti tv, e i giornali, dei quali i più noti sono in Italia il “Times” e il “Sunday Times”: il governo deve cadere. Ma la sfida a morte non convince gli operatori del settore, per i quali la concorrenza è inevitabile. E una crisi di governo potrebbe anzi lasciare libere Mediaset e Rai di lanciare la piattaforma alternativa. Sarebbe inoltre un caso di “muoia Sansone con tutti i filistei”, che non è nelle corde di Murdoch. Che è spietato, ma è anche uomo d’affari.
Ciò cui Murdoch punta sarebbe il rinvio della sfida di Mediaset. O in alternativa il mantenimento della Rai nella piattaforma Sky. Sarebbe per questo determinato anche a un rilancio per il rinnovo del contratto, che si fa per sette anni (per i sette anni passati Sky ha corrisposto alla Rai 50 milioni). Ma sa come giocare una partita, è il tipico raider, e quindi aspetta. Sa anche che la trattativa sarà lunga, e per questo la sua campagna contro Berlsuconiappare destinata a intensificarsi e prolungarsi.

Dietro lo scontro Berlusconi-Murdoch

Il vero motivo dell’offensiva di Murdoch e Sky contro Berlsuconi è in un articolo della “International Herald Tribune”, pubblicato il 15 giugno, a mezzo tra lo scandalo Noemi e quello barese, e rimsato inedito in Italia (l’articolo è stato ripreso il giorno dopo dal “New York Times”). Lo scontro è sull’invasione di campo che Mediaset sta lanciando su un settore, la tv a pagamento satellitare, che Murdoch ritiene suo feudo intoccabile. La pubblicità è in calo e Mediaset ha messo gli occhi sui flussi costanti di entrate che le tv in abbonamento garantiscono. L’offensiva Mediaset partirà col passaggio al digitale, con il decoder già in uso. La partita è tanto più importante in quanto Sky Italia è l’unica tv a pagamento di Murdoch in attivo in Europa, a parte la gran Bretagna.
Questo il testo dell'articolo:
Berlusconi sfida Murdoch sulla pay-tv
Eric Pfanner
Parigi – Uno è un mogul dei media con interessi in politica. L’altro è un politico con interesse nei media. Così, quando Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi si sono scontrati, era probabilmente inevitabile che la partita si giocasse su più campi. È quello che sta succedendo in Italia, dove Berlusconi ha usato un’intervista su uno dei suoi canali per accusare Murdoch di attaccarlo sul piano personale attraverso un giornale di proprietà di News Corp., la finanziaria che Murdoch controlla. Gli articoli e gli editoriali in questione, sul “Times” di Londra, hanno analizzato la natura del rapporto tra Berlusconi e una modella diciottenne, Noemi Letizia. Murdoch, su un canale tv di proprietà della News Corp., ha definito le affermazioni di Berlsuconi “sciocchezze”, facendo notare che altri giornali, non di proprietà della sua società, sono stati anche più critici verso il primo ministro.
Su questo livello, la disputa può sembrare farsesca come è nella tradizione del vecchio varietà italiano. Ma su un altro livello, la rivalità tra i due uomini è affare serio, e sta montando. Berlusconi comincia a “temere quanto Murdoch potrebbe fare in Italia”, spiega Fabrizio Perretti, professore alla Bocconi, che ha analizzato l’industria dei media in Italia, “ed è per questo che ha accusato Murdoch (per gli articoli), anche se questi non ne ha in realtà la colpa”.
A News Corp. fa capo Sky Italia, una piattaforma satellitare che ha dominato la tv a pagamento in Italia fin dalla creazione della società nel 2003. La holding della famiglia di Berlusconi, la Fininvest, controlla Mediaset, una società di media diversificata che tenta ora di sfidare le posizioni di Sky nella tv a pagamento. Malgrado la forte posizione di Sky – con oltre 4,7 milioni di abbonati, copre circa un quarto delle famiglie italiane – i mutamenti in atto nel mercato tv nazionale potrebbero creare delle possibilità per Mediaset, dicono gli analisti. “Lo scontro raggiungerà un nuovo livello di intensità nella seconda metà dell’anno”, spiega Tim Westcott, analista di Screen Digest a Londra.
La televisione italiana è peculiare non solo per la proliferazione di ospiti maschi di mezza età ai talk show attorniati di modelle poco vestite. Non c’è praticamente televisione via cavo in Italia, e i nuovo servizi che mandano la programmazione sui collegamenti Internet a banda larga – una tecnologia che altrove in Europa si espande rapidamente – sono stati lenti a imporsi.
Non molto dopo la creazione di Sky Italia, Mediaset ha avviato un suo servizio di tv a pagamento, usando segnali codificati digitalmente, sulle frequenze normali. Con i decoder, e con carte prepagate, le stesse che gli italiani usano per i cellulari, gli utenti possono decodificare i segnali, che includono la trasmissione delle più importanti partite di calcio.
Questi utenti generalmente pagano molto meno degli abbonati Sky, e Mediaset in linea generale ottiene ancora la maggioranza dei suoi introiti televisivi dalla pubblicità sui canali non a pagamento. Ma, col calo della pubblicità, ha di mira i flussi costanti di entrate che gli utenti delle tv a pagamento garantiscono, e ha avviato un’operazione per convertire i suoi 2.9 milioni di utenti di carte prepagate in abbonati a lungo termine, nonché per attrarre nuovi clienti.
Nel frattempo, l’Italia sta chiudendo col sistema televisivo analogico, per passare tutte le trasmissioni sui segnali digitali. Il passaggio, già avviato in alcune regioni, sarà avviato lunedì nel Lazio, la regione che include Roma. Dopo il passaggio al segnale puramente digitale, dicono gli analisti potrebbe essere più facile per Mediaset convertire gli spettatori in abbonati, perché dispongono già del decoder, mentre quello Sky richiede l’installazione di una parabola.
(continua)

Bèri, la piccola Milano

Non ha buona fama Berlusconi tra i giudici, ma tra quelli di Puglia in modo speciale. Ancora si ricorda il giudice di Lecc, dottor Vittorio Gaeta, presidente del tribunale del riesame, che aveva una mailing di colleghi e passava il tempo scrivendo messaggi del tipo: “Silvio Banana è decisamente fesso”. O chiedendo “una commissione d’inchiesta, pubblica e trasparente, sul rincoglionimento degli italiani”.
È su questo terreno di coltura che la Procura antimafia di Bari, trovatosi tra le mani un noioso fascicolo di tangenti alla sanità, tra diessini, vendoliani e ragazze squillo, ne ha fatto un succulento scandalo berlusconiano. Anche per rimediare all’incapacità del sindaco di Bari Emiliano, un collega, che, sebbene D’Alema gli abbia rifatto la città in pochi anni quasi nuova, non era riuscito a farsi rieleggere. Senza contare quei ventuno mafiosi del clan Striguglio, Briguglio (Strisciuglio, n.d.C.), che erano stati liberati perché la condanna non era stata trascritta.
D’altra parte, bisogna riconoscerlo: uno scandalo montato in così pochi giorni, per la seconda settimana del ballottaggio, è un record. Difficile da superare per la pur valida magistratura italiana: la Procura di Bari ha sottratto a Milano lo scettro dell’antipolitica, impunita. E come si diceva, se Milano avesse lu meri, sarebbe una piccola Bèri.
Un giorno, con calma, fra qualche mese, sotto Ferragosto, o dopo un nuovo terremoto, la Guardia di Finanza verrà ordinata dal giudice d’indagare sui bilancio delle Asl e dei partiti al governo, al governo a Bari, sul tipo di quelle cinque-seicento indagini con cui la stessa si è specializzata su Mediaset, con il suo efficientissmo Servizio I, e i capi compagni di barca di D'Alema dopo essere stati in carriera col tosatore Visco. E magari di formulare un’ipotesi di finanziamento illecito, voto di scambio, eccetera, che una Procura antimafia non si nega mai - che ci sta a fare altrimenti, per altre questioni c’è la buoncostume.
Resta da accertare perché il sindaco Emiliano, altro giudice, voglia a tutti i costi farsi rieleggere sindaco di una città i cui imprenditori sono magnaccia e le signore escort a pagamento. Per di più smandrappate, anche se i giornali del “noto gruppo editoriale svizzero” e del cardinale Bazoli le ritraggono giovanili e fulgide. Sono picchiate dai fidanzati, pagate mille euro appena, e direttamente dai consumatori, senza diritti d’agenzia, come usa in un vero mercato, a Milano, a Cortina. Insomma, Bari evidentemente non è Milano. Ma ne ha preso in fretta le prerogative: l’impunità dei giudici, e il gusto del sordido - basta vedere le facce delle sue eroine negli stessi autoscatti, sono imbattibili. Bisogna accettare dunque la verità: Scelsi ha fatto le scarpe a Borrelli, ha più fantasia.

Le origini, morbida ossessione di Alvaro

“Gente in Aspromonte”, prima di diventare il marchio d’infamia di quella montagna, è stato un grazioso elzeviro, il primo di Corrado Alvaro sulla “Stampa”, il 14 gennaio 1927. Più in armonia con la natura dell’Aspromonte: un eremita e il suo aiutante sono beneficiari e vittime, con la forte ironia dei luoghi, dei portenti che promettono e non sanno produrre - i portenti accadono in natura.
Alvaro è con questo “Gente in Aspromonte” così fin dall’inizio il maestro del racconto breve, quale poi si confermerà, in contrappunto minuto, arguto, allo scorrere della vita. Con illuminazioni per questo insolite, e a loro volta vivificanti: infinite sono le immagini che ne risaltano, anche per il lettore distratto. Uno dei pochi autori per i quali la natura c’è, i fiori, le piante, le stagioni, le ore, i bambini, i ragazzi, il mare.
Non la montagna, Corrado Alvaro la sua non l’amava. Anche se è sempre lo scrittore che meglio ha conosciuto l’Aspromonte, e per strano parallelismo, proprio nell’ultimo elzeviro, sul “Corriere della sera”, prima della morte, e ultimo di questa raccolta, ricorderà il fascino “nei poemi antichi” che per lui hanno sempre avuto “gli arrivi dei cavalieri sperduti nei castelli incantati, da cui la vita si è ritirata, e vi abitano personaggi superstiti a una rovina, a una civiltà, o fede, spenta”. Che è la geografia ideale della montagna calabrese.
“Gente in Aspromonte” è uno dei primi racconti di questa raccolta per più aspetti memorabile. Che si legge dopo una introduzione magistrale del curatore, Giuseppe Rando. Sono i “racconti dispersi” che Alvaro pubblicò sulle terze pagine – allora usava avere ogni giorno un racconto – dei quotidiano “Il Mondo”, “La Stampa” e “Corriere della sera”, non ripubblicati nei volumi a stampa, ordinati per data di pubblicazione, interessante per tutti i lettori di racconti, non solo per gli alvariani. Alvaro non esclude, con tutta la sua fantasia e il forte senso del mito, “il recupero del mondo sommerso calabrese”, nota Rando, gentile eufemismo per la vita dei vinti, che è un’ingiuria oltre che una bugia. Ma i suoi temi quasi gli si impongono: l’infanzia, la solitudine, la natura, le stranezze dell’amore. La solitudine, il silenzio, che Rando sottolinea, sono il segno della narrazione di Alvaro, mai “rumorosa”, fragorosa. “Vide un bel sogno” è tra le prime cose della prima novella pubblicata, “Quaresimale”, estrapolata, avverte Rando, dal manoscritto del suo primo romanzo “L’uomo nel labirinto”, redatto nel 1921.
Alvaro, scrittore calabrese per antonomasia, benché grande viaggiatore, poliglotta, autore cosmopolita unico nel Novecento italiano, con Arbasino, solo progressivamente è tornato con amore, con interesse vero, ai suoi luoghi. La disposizione di Rando, cronologica per essere quanto di più vicino all’edizione critica (senza le sofferenze del genere), è un colpo di genio a questo riguardo. Dopo un rifiuto totale, fin dei sentimenti familiari, e un’identità a lungo rifuggita, per una molto meridionale caratterizzazione italica – non c’è più italiano di un meridionale. Nella quale le origini (linguaggio, modo di essere, vita vissuta) non sono assenti, ma fanno da specchio negativo. Nulla di altrettanto curato per l’Aspromonte come la campagna alvariana attorno a Roma, del racconto “Campagna”, del 1932. Ma “Distacco”, subito dopo, apre la problematicità delle origini.
Alvaro resta così nelle storie alfiere dell’odio di sé meridionale. Non nella sua esperienza di scrittore, però: a un certo punto, scrittore e intellettuale riconosciuto e di fama, rivive in modo diverso i luoghi e i ricordi. Qui come nei racconti di “L’amata alla finestra”. L’origine è anzi una sorta di morbida ossessione, ricorrendo ovunque in questi racconti. Spesso un ragazzo mangia “le cose di casa”, spesso portate o mandate dal padre, e ritorna nelle donne una voce gutturale, “che io conosco bene”, o “la forma delle gambe femminili” delle “razze camminatrici”, zingare, bagnarote.
C’è sempre il rifiuto, anche sarcastico, dell’indigenza, ma la qualità diversa del linguaggio e del modo di essere, se non appunto della vita vissuta, specie la qualità del silenzio e dell’immaginazione, nonché il senso intimo (immaginario) dei luoghi, emerge autonomo. Non più rifiutato e anzi apprezzato. Per una maturazione personale, forse per una caduta dell’utopia – che era l’utopia borghese, anzi dell’inurbamento.
È con questo ritorno alle origini che si sigilla il suo realismo magico. Alvaro resta il più orwelliano degli scrittori del Novecento, per il radicalismo piano, ineccepibile, e per la densità di verità. Ma la sua natura, il mare, la campagna, la stessa montagna, diventa il segno forse più duraturo della sua narrativa, per l'aura appunto di magia. Quello non riducibile al sentore borghese dei racconti urbani, il genere forse più perento del Novecento.
Corrado Alvaro, Gente che passa. Racconti dispersi, Rubbettino, pp. 406, € 15

giovedì 25 giugno 2009

Mediaset danneggia Berlusconi

Il conflitto d’interessi “grande quanto una casa” dell’amico di sempre Confalonieri infastidisce lo stesso Berlusconi. E' la novita in casa Grazioli. Nella forma della sfida a Murdoch sul satellitare lo ringalluzzisce – non ha mai perso una sfida imprenditoriale. Ma sa che ciò gli provoca l’ostilità di tutti i media italiani, compresa per alcuni aspetti la Rai, che pure ha anch’essa interesse a una piattaforma satellitare alternativa a Murdoch: la contesa si svolge in un momento delicato, poiché la pubblicità è in contrazione, e quindi è feroce, ognuno lotta in pratica per non soccombere.
È così che, nel momento in cui, con la terza vittoria elettorale ("ma è la quinta"), Berlusconi si è confermato ben saldo in politica, che è la sola sfida che lo entusiasma, gli interessi gli sarebbero di peso. Questo è quanto dicono i suoi collaboratori. Berlusconi cerca quindi una via d’uscita. Quale non è dato sapere.
Si sa però che una separazione netta appare allo stato a molti impossibile, e anche inutile. Impossibile perché in questa fase di divisione coniugale l’eredità condivisa tra i cinque figli, il primitivo disegno berlusconiano, rischia di naufragare. Anche perché i fratelli di sangue Pierluigi e Marina sono da tempo in azienda, mostrano di ritenerla cosa loro, e sanno gestirla. Mentre quelli della seconda moglie mostrano gli stessi problemi caratteriali della madre. Spogliarsi delle televisioni sarebbe comunque inutile, ammesso che si trovi un congegno istituzionale efficace, perché il digitale terrestre e la seconda piattaforma digitale costituiscono comunque un conflitto “oggettivo” con Murdoch, su base nazionalisica, o di conrrenzialità, o anche di sola difesa della Rai.

La campagna d'Italia di Murdoch

Che cosa abbiano detto gli illustri italiani a Murdoch non è dato sapere. Quello che Murdoch ha detto loro, oltre che offrire da bere, si sa da fonte certa: “Sky è una grande azienda, investiremo in Italia”. In una parola: attenti a voi. Il suo messaggio è stato perlomeno così inteso: “Siamo leader incontrastati in Italia nella tv a pagamento e non cederemo”.
Il campo, come si sa, sta per essere invaso da Rai e Mediaset. Ad ascoltarlo, tra gli altri, era il presidente della Rai, Paolo Garimberti. Che sta realizzando lo sganciamento della Rai dalla piattaforma Sky, già deciso dal vecchio consiglio d’amministrazione, quello prodiano. C’era anche il presidente di Telecom, e quindi de La 7, Galateri. Insieme con lo stato maggiore di Rcs-Corriere della sera, e i banchieri di Prodi, Costamagna e Capuano. Per il gruppo l’Espresso c’era Rodolfo De Benedetti – il padre Carlo, che pure ama queste riunioni, non si è scomodato.
La “grande assise a Milano del gruppo editoriale” di cui hanno fantasticato i giornali non c’è stata. Murdoch si è presentato con i suoi figli, ha fatto un invito al Castello Sforzesco, ha dormito all’hotel Bulgari, e se n’è andato. Può anche darsi che crei a Milano un quartier generale per le attività del gruppo, ma questo perché altrove è stato tenuto fuori. Anche in Germania, dove ha rilevato (qualcuno dice “sottratto”) a Leo Kirch il gruppo Premiere, la politica, nazionale e locale, gli sta creando più di un problema, fiscale e anche gestionale.
In Italia Murdoch è cresciuto per i buoni uffici di Berlusconi, quindici anni fa. E di Letizia Moratti, fresca dell’esperienza a capo della Rai, dove l’aveva messa Berlusconi, consulente esperta delle prime mosse dell’editore australiano.

Perché Murdoch la butta a puttane

Incuriosisce molto la stampa internazionale il profluvio di anatemi che il “Times” di Londra lancia su Berlusconi. Cioè incuriosisce ma non molto, si dà per scontato che Murdoch, cui il “Times” appartiene, la farà pagare cara a Berlusconi. La partita di Sky Italia, che sta per perdere il monopolio del satellitare è infatti difficile: la società di Murdoch prospera su un canone d’abbonamento molto alto e sul monopolio della piccola pubblicità, che la concorrenza di Rai e Mediaset metterà comunque in crisi. La grinta di Tom Mockridge, l’australiano che dirige Sky Utalia, ha peraltro effetto sulle anime gentili della rete, Fiorello e le speakerine dei tg, ma non risolve. Murdoch non ha avuto dal governo Prodi il rinvio del digitale terrestre e della piattaforma satellitare alternativa. E non ha col governo Berlusconi nessun aggancio. Da qui la determinazione a combattere Berlusconi con tutti i mezzi: la produzione e diffusione di notizie, filmati, testimonianze contro l'uomo, l’uso dei suoi giornali, specie il “Times” e l’“Economist”, il gioco di sponda con gli editori che in Italia concorrono all’asfittico mercato pubblicitario, da oltre un anno per di più in contrazione.
Il concorrente della pubblicità dei giornali è proprio Sky, la tv satellitare. La tv generalista ha volumi talmente alti di pubblicità che o si fanno su quei media oppure non si fanno. Mentre la tv satellitare ha visibilità e costi comparabili a quelli dei media a stampa. Ma due concorrenti, ha fatto capire Murdoch ai suoi invitati a Milano, sono peggio.

Il giudice riflette, D'Addario pure

Al terzo giorno niente. Dopo un ballottaggio trionfale per il sindaco Emiliano (la folla scesa in piazza per acclamare il giudice finalmente eletto osannava la confidente Patrizia - pa-tri-zia!) l’input di Bari làtita. Continuano a tacere i politici baresi, soprattuto quelli della Regione, per i quali l'inchiesta non potrà che riprendere, ma c'è silenzio anche sul fromnte ci arrapa. Sì, l’inchiesta va avanti, sì, le squillo sono nove, o diciannove (così poche a Bari?), sì i festini sono sette, anzi nove, cinque a Roma, eccetera, ma lo scandalo segna il passo. Eravamo certi di avere i baci ardenti e i sospiri di Berlusconi a letto con la Patrizia barese, e ancora niente. Saranno venute male le registrazioni? Saranno false? No, è che il giudice si è presa una pausa di riflessione.
Anche i giornali amici oggi hanno poco. “Repubblica” e “La Stampa” addirittura solo un’intervista con D’Addario, un’operazione congiunta. Costa così caro la signora? O no, è un semplice riguardo, che il quotidiano romano onora addirittura con due inviati speciali, Conchita Sannino e Carlo Bonini. Per non dire peraltro nulla che non fosse stato detto, ridicolizzando perfino il gossip, che professionalmente è ritenuto inattaccabile, poiché fa del non c'è limite al peggio la sua divisa (questo evento è una rarità, se non un record, che merita anch’esso di restare negli annali del giornalismo:
http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-10/parla-patrizia/parla-patrizia.html
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200906articoli/44908girata.asp
Giusto per offrire a Sky Tg 24 il titolo “D’Addario rincara la dose”. Mentre lei si conferma donna di esperienza: è molto avvocatesca. Sì, no, Berlusconi non se l’è fatta. Lei ha avuto varie disgrazie, ma è semrpe una signora. La notte è rimasta ma per bere e ballare. E per spiare le altre signorine, soprattutto, quelle che la danno - leggere per credere.
Il quotidiano degli Elkann ha inviato Guido Ruotolo. Che simpatizza per le prostitute, esordisce magnanimo. E, sensibile come è, chiude dicendo la signora una novella "Giovanna d'Arco al rogo". Leggere per credere.
Lo scandalo è (è stato) tutto dei giornali e dei giudici: la questione morale è la questione morale stessa. Se non è un golpe, è raccapricciante: è solo malaffare.

Il giudice in campagna

Sembrava impossibile e invece è vero: D’Addario si convertì all’antiberlusconismo l’8 giugno, Cioè quando si seppe che il sindaco Emiliano, un giudice, non era riuscito a farsi confermare a sindaco di Bari. Può anche darsi che si sia convertita qualche giorno dopo. Ma quel giorno è stata convocata dal valoroso procuratore antimafia Scelsi. Questo sappiamo oggi dai giornali e telegiornali amici dell’inflessibile Procuratore. Gli stessi che hanno avuto in anteprima e in esclusiva il materiale plutopornografico di cui ci inondano.
Il Procuratore sapeva già delle squillo baresi. Ma non credeva tanto. Fino al giorno dopo le elezioni. Forse è la illuminazione improvvisa di quel day after che ha lasciato muti in tutti questi giorni i politici pugliesi, dal governatore Nichi Vendola in giù.
Scelsi è procuratore noto in città per seguire un filone d’indagine sulle tangenti sanitarie alla regione Puglia. Stancamente. Uno scandalo dove si era manifestato un giro di squillo, e che coinvolge gli esponenti politici del suo partito, il Pd, oltre che i vendoliani che presiedono la Regione Puglia. Faticoso, oltre che noioso. Inoltre, il 15 aprile erano andati in liberta i mafiosi della banda Strisciuglio, ventuno delinquenti da tempo condannati, perché nessuno in Procura e in Tribunale s’era occupato di far depositare la sentenza. E bisognava in qualche modo rimetterli dentro. Insomma il giudice s’era preso una vacanza, informano sempre i giornali amici – amici del giaguaro? ciò che raccontano è da fortezza militare, se ci fosse ancora. Dove fosse in vacanza non si dice. Forse in campagna, dove si medita.
È durante la vacanza del giudice che l’illuminazione è insorta? Non si sa. Ma è anche ovvio, come non averci pensato prima: la Medea di Macherio aveva aperto un’autostrada. Fatto sta che all’improvviso il valoroso Procuratore antimafia torna in servizio e lavora in segreto. All’improvviso no, poiché c’è stata la mezza sconfitta elettorale del compagno Emiliano. E così l’8 giugno stesso D’Addario è stata convocata dal giudice.
Poi D’Addario ha deciso, autonomamente, di attaccare Berluconi e di chiamare il “Corriere della sera”. Che infatti ha mandato i suoi giornalisti a Bari dalla D’Addario. È bastata una telefonata della D’Addario a via Solferino: “Pronto, sono D’Addario”. Ah, sì, e subito gli inviati del “Corriere” sono arrivati al suo domicilio, anche se lei lavora fuori casa. I giudici non c’entrano, si sa, con le decisioni improvvise delle donne.
È inoltre vero che il giornale milanese in un fiat si procurava le foto della signora. Anche se la ricerca dev’essere stata un lavoro difficile, perché quelle presentabili sono poche (quelle del calendario, benché allegate agli atti, sono subito scomparse dai siti).

Il ritorno dei vescovi, al Centro, a Milano

La Dc (ancora) no. Anche perché non si sono ancora esauriti gli effetti benefici della spalmatura del voto confessionale sui vari partiti e schieramenti – i benefici per esempio furono maggiori con D’Alema che con Berlusconi. Ma l’influenza sul voto politico, da cui per un quindicennio si erano astenuti, ha ripreso ad allettare i vescovi italiani. Anche perché, morto Woytila, e col compiacente cardinal Bertone, non c’è più il ferreo controllo del Vaticano sul coinvolgimento dei vescovi nella politica italiana.
Il ritorno è per ora in direzione di un nuovo Centro. Con Casini, i prodiani, i rutelliani, e quella parte del Pd i cui destini politici non sono legati allo zoccolo duro diessino. Un Centro credibile appunto per il loro sostegno, e quindi in grado di riattrarre i voti “rubati” da Berlusconi e da Bossi. Non tanto quelli dei personaggi minori, Mastella, Rotondi, Pizza, Orlando, lo stesso Lombardo. Il voto del Sud i vescovi sanno di poterlo controllare. Il loro obiettivo sono le forze lombardo-venete che costituiscono l’ossatura del berlusconismo, e si esprimono nella Gelmini e in Formigoni.
Formigoni lo sa, che per preparare la sua (quarta) candidatura alla Regione Lombardia, contro l’ostilità manifesta della Lega, moltiplica i segni di attenzione verso la chiesa. Non tanto verso il cardinale, legato ai suoi nemici politici, quanto verso i vescovi dell’arcidiocesi e della Lombardia tutta. Formigoni fa valere un argomento forte, l’incontrollabilità della Lega, ma i vescovi gli stanno facendo pesare l’endorsement. Con il voto (mancato) a Podestà nel ballottaggio contro Penati. Con puntualizzazioni esasperanti su ogni aspetto delle politica regionale, dalla sanità ai trasporti. E perfino facendogli penare gli appuntamenti.

Con Renzi e la chiesa, sfida ai Ds

Franceschini post-elezioni lo dice per tutti: “Non torneremo ai modelli di chi mi ha preceduto, anzi dei vecchi dirigenti del passato”. In chiaro: non solo Veltroni, nemmeno D’Alema prevarrà. Nemmeno sotto le spoglie di Bersani. Il partito Democratico non va, ma tre novità delle elezioni hanno rianimato la sua componente popolare: la sfida di Renzi ai “passatisti” diessini di Firenze; l’interesse della chiesa per una alternativa di centro a Berlusconi; la disponibilità dei voti di Casini. Il modello Renzi insomma contro il modello Serracchiani, fantomatico - senza contare che Serracchiani stessa è di parrocchia.
Renzi ha mostrato come le primarie si possano giocare contro il blocco di voto monolitico diessino. I vecchi dirigenti di Firenze gli hanno fatto mancare il primo turno, ma poi hanno dovuto votarlo compatti al ballottaggio: tutto l’assetto della città da loro gestita da decenni, con gli appalti eccetera, rischiava di saltare. In campo nazionale sarà più difficile, perché i diessini mostrano di avere anch’essi capito la lezione, e potrebbero non dividersi. Ma, poi, le primarie sono anche un fato di mobilitazione attiva, più che di organizzazione. E su questo aspetto un contributo importante i vescovi e le parrocchie fanno balenare agli ex popolari, ulivisti e margheritini.
Mobilitazione attiva alle primarie
L’attivismo della chiesa è a questo punto importante, più degli elettori di Casini, sui quali i bianchi del Pd non fanno molto affidamento. Nell’allentamento del vincolo vaticano col papato di Ratzinger, la chiesa italiana ha riacquistato il vecchio gusto e il privilegio di entrare a gamba tesa nei fatti politici. E d’altra parte ha mostrato nei ballottaggi di potere e sapere orientare gli elettori praticanti. A Milano città, e nella provincia di Torino e Venezia, facendo mancare i voti ai candidati di Berlusconi.

mercoledì 24 giugno 2009

S'incarta a Milano il processo a Consorte

Non c’erano dubbi e così è stato: la Procura di Milano ha avviato, nello dattenzione per lo scandalo delle squillo, l’insabbiamento del processo a Consorte per la scalata alla Bnl. Non c’erano i presupposti per un procedimento penale, e quindi l’insabbiamento era dovuto. Ma conferma doppiamente come la Procura di Milano sia la longa manus del gruppo di controllo della città, l’asse Intesa-Rizzoli Corriere della sera, e per esso al dominus della banca e della città, l’avvocato Bazoli.
Per ora la richiesta di proscioglimento lascia fuori Consorte. Riguarda tutti gli altri soggetti, eccetto lui e, naturalmente, Fazio, che era l’obiettivo dell’attacco milanese. Più qualche comprimario, l’onorevole Latorre, dirigenti delle cooperative, e i soliti Ricucci, Coppola e Statuto. Consorte però già sa che col capo d’imputazione riformulato lui non potrà che essere assolto. Con tutti i banchieri che lo hanno sostenuto – eccetto forse Vincenzo De Bustis (Deutsche Bank), che ha la colpa collaterale di essersi avvicinato a Berlusconi.
Condanne sicure peraltro – non c’è distinzione com’è noto a Milano tra Procura e giudici – ci saranno solo per Fiorani, che ha chiesto di patteggiare. L’ex governatore della Banca d’Italia, Fazio, e il suo capo della Vigilanza potranno uscire, volendolo, dal processo. L'obiettivo di Bazoli eliminare il potere d’interdizione che Fazio si era costruito in Generali e su Mediobanca, nonché sulle combines bancarie, e quindi su Milano (la prima cosa che il successore di Fazio ha fatto, Giovanni Draghi, è stato di spogliarsene). Consorte è venuto buono come falso scopo, per mascherare l’attacco a Fazio e alla Banca d’Italia.

C'era Murdoch in agguato con D'Addario

“Repubblica” online raccoglie gli articoli esteri contro Berlusconi. Che vengono rilanciati ogni giorno dall’Ansa e dai giornali, e sono noti, ma non tutti. Risalendo il sito di “Repubblica” si scopre che il 15 giugno, giusto prima dell’attacco a Berlusconi il 17, l’“Herald Tribune” metteva in pagina la guerra tra Murdoch e Berlusconi per la pay-tv, col tentativo di Mediaset di fidelizzare in abbonati i suoi tre milioni di clienti alla pay-tv. Un articolo che il “New York Times” riprendeva il giorno dopo.
La guerra non è da poco: creare una piattaforma satellitare alternativa a Sky, come Mediaset intende fare con la Rai, inciderà pesantemente sul monopolio Sky. Comunque vada - ma siccome costa molto meno potrebbe fare anche molto male. Il tema insomma è serio, e i due giornali lo hanno trattato con il ocntyributo di specialisti dei media e finanziari.
I due giornali sono anche molto influenti. Ma sono anche i soli grandi giornali a non appartenere in America a Murdoch. Forse per questo i grandi giornali italiani, così attenti a tutto quanto riguarda Berlusconi, si sono distratti, non ci hanno detto nulla. “Conoscendo l’ego dei due contendenti”, scriveva l’”Iht”, “la guerra non potrà che crescere di intensità”. C’era già il precedente del “Times” murdocchiano di Londra, con la serie di articoli e editoriali contro Berlusconi. Poi Murdoch si fece omaggiare a Milano dai potenti della città. Ai quali tuttavia ha offerto graziosamente da bere. Segnalandosi, semmai la cosa fosse sfuggita, con un regale buffetto in video al povero Fiorello, la voce del padrone. Le cronache baresi di Sky Tg 24, sinceramente faziose e anzi giulive, si commentano da sole. E ora il fotoromanzo è fornito gratis da Sky News in un docufilm - pagando le attrici?
Murdoch è devastante. Ma per i nostri giornali fa notizia perché rilancia il dibattito sui contenuti a pagamento in Internet, nientemeno. Beato lui.

Colpo di stato permanente a Milano

Da quello che se ne vede e i giornali fanno dire a queste donne e ai loro imprenditori-protettori, lo squallore è inverosimile. E non tanto a Bari, di cui devono essere parte eminente, invocate dal corteo di trionfo per il magistrato-Emiliano (si fa un corteo di trionfo per un sindaco…), con i loro imprenditori-protettori Tarantini, Matarrese, Mannarini eccetera, e i loro amici della giunta di sinistra di Vendola, Frisullo, Tedesco eccetera. Questo qualifica il capoluogo pugliese. Ma che l’uomo più ricco e potente d’Italia non abbia amicizie migliori questo è possibile solo a Milano. A stare solo a quello che è certo, che queste donne sono entrate in casa di Berlusconi, anche se solo per farsi le foto: solo a guardarle in faccia uno le avrebbe lasciate fuori sul marciapiede, avrebbe chiamato la polizia, sarebbe scappato. Il fatto che pesa nello scandalo è tuttavia un altro, le puttane non hanno mai fatto la storia.
Lo scandalo è nel “Corriere della sera”, ancora una volta, che ogni giorno pubblica di queste donne foto molto lusinghiere, roba da magnaccia, e nella magistratura. In sintonia con D’Alema, sotto il cui patrocinio la Rcs ha posto il giornale col condiscendente de Bortoli. Ma al fine dichiaratamente eversivo di Milano e del suo giornale: tenere la politica e il governo sotto scacco. In passato il “Corriere” e la Procura milanese hanno processato Berlusconi con grande violenza per traffico di droga, per concorso esterno in associazione mafiosa e per concorso in strage (stragi del 1992-93), oltre che su accusa della signorina Ariosto. Nel caso di Bari non "esiste" che l'inviata di cronaca giudiziaria del "Corriere della sera" voli a Bari a intervistera una prostituta, con le si dia del tu, e ne avalli ogni parola. Né che il maggior giornale di Milano e d'Italia pubblichi tutto a cuor leggero in grande evidenza, se non per accrodi già presi. Certo non con una prostituta. Con chi, allora? Perché?
Si dice che è terrorismo giudiziario e mediatico e invece è golpismo. I terroristi, per quanto assassini, rispettano le vittime. Né questa è una partita contro Berlusconi, che è bene Milano, pure lui, è una partita per il non governo.
Martedì 22 novembre 1994 il “Corriere della sera” pubblicò in anteprima un avviso di reato (si chiama di garanzia, ma è di reato) a Berlusconi con un “avviso di reato”, notificato al giornale in esclusiva qualche ora prima che all’indagato, per concorso in corruzione, un procedimento poi finito nel nulla. Alla vigilia di un congresso Onu a Napoli sulla criminalità che Berlusconi doveva presiedere. Quanto bastava a Scalfaro per liquidare il governo che Berlusconi presiedeve dopo aver vinto le elezioni sei mesi prima. Né Mieli, il direttore dell’epoca, né Di Feo, il cronista del falso avviso, hanno mai spiegato come è nato l’imbroglio. Né hanno mai chiesto scusa. Il tribunale di Brescia, cui Berlusconi si era rivolto, ha evitato di prendere in considerazione sia l’iter del falso avviso sia l’inconsulta aggressiva pubblicazione dello stesso. Ma questo, in regime costituzionale, è un colpo di Stato.

martedì 23 giugno 2009

A Sud del Sud - a Sud di nessun Nord (38)

Giuseppe Leuzzi

Milano
Aveva il primato dei processi a Berlusconi. Lo ha processato anche per traffico di droga, concorso in associazione mafiosa, e concorso in strage (stragi del 1992-93). Oltre che per le accuse della Ariosto. Che, se non altro, si presentava bene. Ma Bari ne minaccia il primato, con donne peraltro poco presentabili: la capitale morale del Sud minaccia di soppiantare quella del Nord. Avremo “se Milano avesse lu mèri, sarebbe una piccola Bèri”?

Tremila milanesi hanno votato Kakà per la Provincia di Milano. Ma il voto non è stato materia per nessun articolo. Nemmeno un commentino. Nemmeno per ridere.

Ibrahimovic e Maicon, due calciatori dell’Inter, di che altra squadra sennò?, sbraitano contro la loro società e si mettono sul mercato. Con l’effetto più che probabile d’impaurire ogni acquirente: chi si prende due piantagrane così?
Non era questo Ibrahimovic all’Ajax o alla Juventus, né Maicon al Santos, o dov’era. Ibrahimovic e Maicon dopo Mourinho: c’è un “morbo Inter”, è chiaro. Ma nelle paginate (vuote) che si fanno sul calcio a Milano non c’è spazio per dirlo.

Milano porta Stendhal a testimone. Ma Stendhal s’innamorava d’ogni città, se trovò a Roma un’“aria tragica”.

Lombardi più a lungo e più resistenti furono a Salerno, Benevento e sotto il Tavoliere. Che si ritrovano nelle fisionomie, senza le barbe che li denominavano, e le attitudini: pratici, operosi.

“Darwin il milanese”, titola il “Corriere della sera” due pagine celebrative. Nelle quali l’unico legame accertato è con la Stazione zoologica di Napoli, cui lo scienziato devolvette un premio internazionale – di biologia marina in realtà, con annesso acquario, creato nel 1872 da Anton Dohrn. Di milanese ci sono le lettere che tre professori gli scrissero, come innumerevoli altro. Ma è così che si fa la realtà.

Berlusconi non è simpatico, milanese archetipo. Ma l’essersi abbandonato al Sud, che lo triturerà, tra rifiuti urbani, rifiuti della magistratura e rifiuti di donne, lo rende quasi eroico.
L’avrà fatto per incoscienza, ma è l’essenza dell’eroismo – niente di milanese, di calcolato.
O l’eroismo è l’ultimo calcolo?

La corruzione è a Milano generale, dacché tutti corrono a confessare e accusare, e i giornalisti-giudici a sanzionare. Come al Sud il pentimento di massa della mafia. Facendo eccezione per gli amici, come al Sud: i casi insabbiato sono tanti, Sme, Rcs, Mondadori sono solo i più macroscopici, e si insabbieranno pure Saras e Unipol.

Antimafia
La Procura antimafia di Napoli ha ascoltato per anni giorno e notte (in tre turni, in quattro turni?) Moggi che telefonava. L’antimafia di Bari accredita una prostituta mitomane come eversora della nazione per far vincere il ballottaggio a sindaco a un collega magistrato. E la mafia?
Ventuno mafiosi erano appena andati liberi a Bari perché la condanna non era stata depositata.

Ne “Il Divo” l’incubo plumbeo s’interrompe per fare dire a Servillo-Andreotti, a processo per mafia: “Non conosco e non ho mai avuto incontri con i fratelli Salvo”.
E così è: l’antimafia di Palermo non è riuscita in dieci anni a documentare i rapporti Salvo-Andreotti - l’antimafia di Caselli che ancora si celebra.

Mafia
Dimostra che o la sopravvivenza del più forte è una caricatura dell’evoluzionismo, o che l’evoluzionismo è sbagliato. Sempre il mafioso, dopo avere eliminato dieci, venti, cento concorrenti, viene eliminato senza residui, da un debole – uno scemo, un ragazzo, una donna, una spia.

È una forma di delinquenza come un’altra: si esercita a danno di chi ha, a cui procura droga e carte false, e a cui sottrae capitali, terreni e attività, con la forza. È speciale per tre motivi, due pretestuosi e uno reale. È un mezzo per fissare la differenza del Sud, accularlo alla ingovernabilità e all’arretratezza. È un’arma politica emotiva, come lo è stato a lungo il fascismo quando era già ben morto. Ma è vero che al Sud più che al Nord non c’è stata e non c’è alcuna forma di ordine pubblico. Non nell’amministrazione né nelle questure – la mafia in quanto attacco alla proprietà (rapimenti, danneggiamenti, sottrazioni) è al Sud un fatto privato.

Ogni sopruso è in vista di un tornaconto, i mafiosi non hanno altra politica. Si fanno sempre il calcolo di dove possono arrivare impunemente. È vero che rispettano chi si fa rispettare. Non sempre, ma il mafioso è a metà un animale politico – per l’altra metà è un animale e basta.

Problemi di base - 14

spock

Perché l’antimafia fa il lavoro della buoncostume?

Dov’è la mafia?

E chi è Zappadu?

Perché paghiamo – più di un parlamentare - dei magistrati che fanno, con spese di funzionamento miliardarie, i loro privatissimi, e anche illegali, comodi, e quelli dei loro amici?

Non c’è un delitto d’interesse privato in atti d’ufficio?

Come mai i dossier colpiscono e abbattono sempre e soltanto le persone invise a (una certa) sinistra? I dossier che magistrati felloni compilano – una volta erano i “servizi deviati”.

E' la corruzione a destra? Ma i dossier non sono roba di destra?

Non c’è un obbligo dell’azione penale? Perché a Milano i milanesi possono rubare impunemente, in banca e fuori?

spock@antiit.eu

domenica 21 giugno 2009

Maretta in Mediobanca e Rcs sul "Corriere"

“Non va, né il lo stile né la tempistica”. Lo scandalo del “Corriere” con le veline di Bari non piace, dopo la prima sorpresa, ad autorevoli soci e banchieri di Mediobanca. Reazione risentita soprattutto perché si vede in Rcs preponderante l’influenza di Bazoli, il grande banchiere cattolico. Anche in Rcs sono stati espressi autorevolmente alla presidenza dei “risentimenti” contro “lo scadimento del giornale”. Ma più potrebbe pesare la reazione di Mediobanca. Dei soci francesi (che l’intervistone di oggi a Tarek Ben Ammar doveva placare, e invece ha fatto infuriare per l’eccesso di scandalismo nelle altre pagine). E più ancora di autorevoli dirigenti del gruppo bancario.
Mediobanca guarda ora a Rcs-Corriere come a uno scudo o una leva, più che come a un bene nazionale o cittadino da proteggere. E questo per la contesa sullo sfondo delle Generali. Per le quali non ci sono ostilità aperte. Ma c’è un conflitto di fondo con gli interessi confessionali che tentano ancora una volta di appropriarsene, con la Fondazione Cariverona di Paolo Biasi, che si muoverebbe in sintonia con Bazoli. Il patron della finanza confessionale tiene chiuso per il momento il dossier Generali, l’unico grande cespite il cui controllo ancora gli sfugge. Anche se si sa che è stato – e sarà - a esso più che interessato. Di più per ora tiene al "Corriere", di cu ambisce a essere il controllore diretto. Naturalmente in un quadro ecumenico, la sua ideologia di facciata, quindi magari con tuttigli altri grandi soci nel consiglio d'amministrazione, cortocircuitando Mediobanca.

L'Italia murdocchiana

Quello che non gli è riuscito in Inghilterra e in America, Murdoch l’ha realizzato d’un colpo in Italia: ridurre l’informazione al livello del "Sun". Un modello popolare, a misura della sinistra dei fascisti e delle sacrestie, i giudici e le Bindi per intenderci, che ci sguazzano fingendo d’indignarsi. La formula "Sun" è infatti scandali e gnocche, è questa l’informazione del popolo di Murdoch. Perfino Fiorello il cinico baro ha conquistato in una mossa, mandandogli al Fiorello Show un video che fatto cadere lo showman da cavallo, come san Paolo. E ora anche Fiorello dice gossip per dire scandali e gnocche – un messaggio che la murdocchiana Sky ha propagandato come un vangelo, nelle pause della guerra a Berlusconi (e dire che il vero miracolo Fiorello l’aveva ottenuto dai berlusconiani, Del Noce, Valzania, quelli che con tatto l’avevano portato fuori dal tunnel…).
Murdoch è uno che più a destra non si può - destra moderna certo, senza il manganello. E uno che in Italia deve tutto a Berlusconi: il monopolio del satellite, e quasi quindici anni di Iva preferenziale. Ma, per capirne il modus operandi, quando Berlusconi infine ha dovuto equiparare le aliquote Iva a tutti gli operatori tv, e quindi ha tolto a Sky il privilegio del 10 per cento (in alternativa avrebbe dovuto abbassare al 10 per cento la quota Iva di Mediaset, oltre che della Rai... ) gli ha scatenato contro una campagna come solo lui sa fare, astiosa e violenta. E si fa sponsorizzare dai comunisti del povero Fiorello, dei quali è subito divenuto un eroe e un santo patrono. Ma poi, bisogna essere obiettivi, la sola cosa in cui crede sono tette e culi.
Meglio "Novella"
Si diceva dell’informazione di Berlusconi ma non c’è evidentemente limite al peggio. Infatti: “Corriere”, “Repubblica” e la Rai, pur portando le squillo in prima pagina, servite da schiere di giornalisti, non ne hanno beneficiato, e questa è la notizia peggiore. Le vendite e gli ascolti non migliorano, anzi continuano a contrarsi, la pubblicità pure, malgrado giugno sia tradizionalmente il mese più ricco, i soldi del governo pure, anche per le efficaci cannonate di “Report”, e l’ansia del piccolo mondo dei giornalisti scoppia. Il problema è che la D’Addario in foto non arrapa, non c’è photoshop che tenga. Le altre vallette, o veline, o come si vogliono chiamare, andrebbero meglio, si suppone da come si presentano alle interviste, ma il segreto dei giornali di Murdoch è di non farle parlare, giusto spogliarle. Ora Sarzanini e D’Avanzo non se ne intendono, venendo dagli ambienti dei grandi bugiardi, le trattano come grandi testimoni della verità E dunque, come si sapeva, non bisogna lasciare i giornali alla giudiziaria. Li rende antipatici come i giudici che la ingravidano: meglio passare i grandi giornali a quelli di "Novella Duemila", che se ne intendono, se esiste ancora, o "Tremila".

Con la violenza si perde in Iran, Khamenei isolato

Ahmadinejad non ha vinto: dalle elezioni è scomparso, non riesce neppure a proiettare l’ombra di se stesso qual è sempre stato. E Khamenei, il vero presidente, potrebbe avere già perso, assumendosi come ha fatto apertamente il ruolo di parte. Come arbitro avrebbe potuto mantenere la sua dittatura politica, ora è uno dei due partiti in campo. Avendo contro praticamente tutti i grandi ayatollah, l'establishment di Qom. Per aver tradito il velayat-e-faqih, lo spirito della guida della rivoluzione, al di sopra delle parti quando esse sono fedeli, confessionali.
L’Iran non è un paese qualsiasi del Medio Oriente: ha una struttura sociale consolidata e un’opinione pubblica efficace. Islamica ma non cieca. Ed è un grande paese con una grande tradizione che non accetta la violenza come modo di governo. Lo sapeva perfino lo scià, che si è arreso praticamente senza combattere. Né c’è in Iran alcuna ipotesi bonapartista, come spesso è il caso nei vicini paesi arabi: non ci sono i colonnelli, i basiji, i pasdaran e le altre cinque polizie marceranno, ma solo agli ordini di una politica legittimata.
Il khomeinismo ha prosperato per trent’anni mediando tra le anime del paese, la passatista e la modernizzatrice. Sempre nella prospettiva di creare un grande paese con un grande ruolo, contro gli Usa come contro i cattivi vicini, Saddam, i talebani, i terroristi salafiti e qaedisti. Khamenei, forse per sentirsi forte dell’accresciuto ruolo di potenza regionale con la prospettiva atomica, ha forzato l’equilibrio politico a favore dell’intransigenza religiosa e del regime di polizia, e per questo non potrà durare. Si è esposto pensando di far rientare un modesto moto di piazza, ma così facendo ha rotto il suo ruolo di garanzia.
La scelta di campo di Mussavì, contro le disposizioni di Khamenei, è uno dei segnali della rottura. Ma più forte è l’isolamento dell’ala dura del regime negli ambienti religiosi, che di Khamenei sono l’unica forza. La catena delle celebrazioni del lutto, se non la forza dell’opposizione, trascinerà il paese per mesi nell’anarchia: il litto è "normale" in Iran, come lo è la morte, ma l'elaborazione del lutto è lenta, con i trigesimi e i quaranta giorni. E questo non sta bene ai bazarì, che sono il tessuto mercantile e finanziario urbano e sono stati il punto di forza del khomeinismo. Mentre gli ayatollah, religiosi di profonda cultura politica, sanno che potrebbe essere la fine del loro dominio.

Aridatece la politica, cioè il governo

Il referendum avrà una larga maggioranza, se supererà il quorum. La scommessa è semplice per una ragione semplice: vogliamo un governo. Non sarà facile, anche con un voto al cento per cento concorde: l’Italia non dev’essere governata, nell’ottica dei poteri forti, referendum o non referendum. Per questo il referendum è stato oscurato con applicazione, con precisione al millesimo, con tutte le squillo che si sono reperite a Bari, offrendo loro l’immortalità sulle televisioni di Murdoch e sui grandi giornali, la settimana precedente il voto, giacché le squillo si confidavano a destra e a manca già da qualche mese. Per questo molti elettori sono scoraggiati e pensano: tanto, è inutile votare. E poi la Lega è contro, che con i suoi sofismi scoraggia il Nord, un terzo dei votanti. Ma questo referendum, con un presidente della Repubblica che ne riconosce la necessità, potrebbe non andare sprecato.
C’è una perfidia non tanto sottile dei poteri forti, che errore accantonarli, di “Milano” per intenderci, o degli interessi costituiti (uomini di denaro, giudici, media), di mantenere il paese in soggezione svuotando la politica. Che è essenzialmente il governo. Affiancati in questo da una succube scienza della politica, che ha perduto ogni dignità pur di partecipare al salotto buono, e almanacca sull’inesistente sistema elettorale perfetto.
Il partito della crisi da troppo tempo ormai, quasi vent’anni, gioca da alimentare l’instabilità col cambiamento in serie del sistema elettorale. Col solo fine di non consentire un governo che governi. Tollerano l’elezione diretta del sindaco e del presidente della Regione, ma a Roma non ci dev’essere un governo autonomo, che potrebbe essere efficiente. Con effetti deteriori molteplici – che un professor Sartori ben conosce e trascura, e questo dà la misura della violenza della disonestà imperante. Il più visibile è scoraggiare l’elettorato. Questo in Italia è riuscito poco: la forza di mobilitazione dei vecchi nuclei politici territoriali, sezioni di partito, parrocchie, circoli, resiste ancora. L’effetto più importante è impedire la formazione, o selezione, del ceto politico. Che in Italia per questo s’è impoverito in maniera impressionante, ridotto alle seconde e terze file degli ex partiti, alle quote rosa, ai mestatori. Senza progetto, senza equilibrio, senza capacità di mediazione.