venerdì 10 luglio 2009

La scoperta della globalizzazione

Sotto il nome di globalizzazione è criticata dai filosofi e rifiutata da molti, non solo dai no global. Ma nel fatto c'è una verita inoppugnabile: l'irrompere dei dannati della terra, i miliardi di essere umani dell'Asia, dell'Amerca Latina e dell'Africa, fuori dall'innocuo Terzo mondo, da tacitare con gli aiuti, a comprimari del mercato mondiale. Una sorta d'invasione di campo, se si vuole, del mercato ristretto fino a venti anni fa a un miliardo, al massimo, di cittadini del monodl quelli dell'Ocse, o paesi industrializzati. L'accettazione all'Aquila di questa realtà, compresi i Gheddafi e gli Zuma, sancisce un mutamento talmente radicale che sa di miracolo, se solo si ritorna indietro appunto di venti anni: non c'è economia, non c'è commercio, non c'è finanza, se non inseme con l'Asia, con l'America Latina e con l'Africa. Con alcuni di più, con altri di meno, specie in Africa, e tuttavia il mercato è per tutti. Il Brasile si può definire, che solo venti anni fa era sotto l'incubo dei militari, un paese industrializzato. O il Cile. O il Perù, che ha il più lungo periodo di crescita della storia dei cicli economici. La Cina ha il più alto tasso di sviluppo del mondo, l'India eccetera. Con un salto anch'esso molto alto nel rispetto dei diritti umanitari e sociali, senza più sfruttamento della manodopera infantile, con retribuzioni non più di fame.
Più della caduta del Muro ha segnato l'epoca Tienanmen, l'inizio della globalizzazione. Quando gli Usa decisero di non perseguire gli antichi nemici cinesi sui diritti umani e anzi di giovarsene per una nuova ondata di prosperità economica basata sui bassi costi. Un obiettivo non contestabile e anzi buono, benché implichi l'abbandono di molte posizioni acquisite, salariali e d'impiego della forza lavoro, in Europa, negli Usa e negli altri paesi industriali. Il ribaltamento delle posizioni acquisite è avvenuto all'insegna della libertà e del progresso di miliardi di asiatici – e non è detto che l'abbattimento delle barriere sindacali non sia stato un bene per tutti.
L'America questo lo ha subito capito, d'istinto – è il West a livello mondiale. L'Europa no. L'Italia sì, ha capito che non ci sono più gli alti salari di una volta, né la sicurezza del posto, e imbarca tutta la forza lavoro al limte della sussistenza che le riesce, portando l'economia nera da un quinto a un terzo del totale. Ma la sinistra italiana no, e gli intellettuali meno degli altri. Si fa l'elogio dei no global, che non rappresentano nessuno, come se fossero la coscienza del mondo

Guerre stellari in Afghanistan

Se c'è una terra straniera conosciuta questa è l'Afghanistan, per via di "Kim" e gli altri racconti della frontierea di Kipling. Dove però si combatte, l'Italia da tempo combatte, una guerra che più remota non si potrebbe. Per effetto della remoteness della politica americana, che dal Golfo, ma già da prima, dalle guerre stellari di Reagan, ha portato la guerra negli omonim film alla Lucas, tirandola fuori dal diritto internazionale e dalle umane sofferenze. Vi si muore, e anche in grandi numeri, ma si intendono le guerre come delle lezioni, da dare a questo e a quello, sulla base di un titolo non dichiarato ma ovvio. Già nel 1969 Ballard immaginava in un racconto il suo paese desertizzato in una vaga resistenza contro gli Stati Uniti, che lo occupavano senza una ragione detta, e il suo paese era la Gran Bretagna. Era una trasposizione della "inutile" guerra al Vietnam, che Ballard come tanti avversava, ma l'ordinarietà dell'evento ora non è più una sorpresa.
Apparentemente, è questo un esito della politica dei diritti umani, che ha soppiantato il diritto di non intervento. In realtà, non c'è una guerra umanitaria, c'è un non dichiarato diritto d'intervento, per ogni fine, anche non "buono", e a nessun effetto, se non, il più spesso, peggiorativo, per gli stessi diritti umani. Solo si può dire quello che avviene, che gli americani sono da circa venti anni sempre in una qualche guerra, talvolta in due e tre insieme, remoti gestori di un impero che non considerano e non conoscono. Obama, il Grande Capo più umano di questo Impero, ha perfino la sagoma del perfetto androide, che parla come l'aquila dello stemma, guardando da destra e da sinistra (in realtà legge i messaggi prefabbricati dalla Forza Oscura....), figlio di un africano uscito dal bush e ivi scomparso, di una madre fattrice bianca di cui altro nin sa, educato nelle remote Hawai da vecchi saggi, in figura di nonni...
L'asse con la Cina
C'è una aloofness della politica americana, un unilateralismo non dichiarato ma indiscusso, piano, nei fatti. Se non dalle guerre stellari di Reagan, da Tienamen e dalla caduta del Muro, dal fatidco 1989 che ha segnato il crollo dell'impero del Male. La mancata punizione della Cina per Tienanmen - niente embarghi, e anzi una simbiosi economica pervasiva, dalla spesa minuta del povero alle riserve in dollari - è il pegno dell'asservimento di Pechino (che comunque resta un concorente formidabilmente debole, con tutta la sua miliardaria popolazione e i suoi tassi di crescita paperoniani: l'impero celeste si disgrega sempre - o anche si può fermare, dotandolo di automobili: il consumismo dev'essere contingentato in Cina). E questo è tutto "l'asse con la Cina" privilegiato. Di tutte le possibili reazioni al terrorismo di Al Qaeda, per converso, la guerra è stata la sola scelta. Con l'Europa non c'è stata la reazione raccontata da Ballard, l'Europa non esiste. E tuttavia con la Russia qualcosa del genere l'America ha tentato e tenta, con la sola dissuazione, prontamente messa sul tavolo da Putin, della guerra nucleare.

lunedì 6 luglio 2009

Ombre - 23

Una video-intervista molto lusinghiera con D’Addario campeggia sabato e domenica sul “Paίs” online, il giornale spagnolo. La didascalia dice la D’Addario “prostituta” ma la ripresa è fissa sull’angolo ancora vantaggioso della donna. Tre takes, tredici minuti, venti-venticinque pagine di testo.
È una cosa lubrica? Forse per gli spagnoli - ma il video non è tra i più cliccati. È informazione? Gli inviati spagnoli insistono, in non buono italiano: “È preoccupata?”, “No”, “Non è preoccupata?”, “No”, “Non si sente minacciata?”, “No”.
Con l’aiuto dei volenterosi castigliani la donna mette anche il paletto decisivo: “Perché è andata alla Procura?” “Io non ci sono andata: sono venuti loro a prendermi”. Il giudice Scelsi è avvisato.
Tutto questo nel miglior giornale spagnolo. Socialista.

Obama, il presidente degli Stati Uniti, si reca in visita a Mosca, per due giorni. Non capita tutti i giorni, e non è chi non veda l’importanza della visita. Eccetto che in Italia, dove, si dice, Obama potrebbe chiedere “la mediazione di Berlusconi”.
Si dice per ridere? Per provocare, siamo tutti antiberlusconiani? Per stupidità? La stupidità esiste.

Le ronde civiche saranno anche un segno di barbarie. Sono, di certo, un ritorno indietro di due secoli, a quando la cattura dei criminali era, a Londra, a Parigi, e in molte parti d’Europa, una funzione privata. Ma sono state autorizzate da tempo e attuate localmente, in Comuni amministrati dalla sinistra, nel Veneto, nel Friuli, in Emilia, nella Romagna, in Toscana, in Piemonte, oltre un centinaio, per lo più nelle città. Si grida allo scandalo giusto per riempire il minutaggio in tv che la par condicio impone (si pensava che lo garantisse)?
A Milano la ronda esiste da tempo, pagata dal Comune. Che ora, dopo la legge, non potrà più pagarla.

Ecclestone dopo Mosley, la Formula 1 si dichiara nazista. Senza scandalo per i giornali inglesi. Che amano il pettegolezzo, ma selettivo.
Ecclestone poi è baronetto della regina. Mosley no, ma è figlio cadetto di un Lord, e di lady Cynthia Curzon, che era figlia del vicerè delle Indie.
Ecclestone e Max Mosley dichiaravano simpatie laburiste nei lunghi anni di Tony Blair. Anche Lord Mosley, Sir Oswald, fu fabiano, cioè quasi socialista, prima di fondare le Camicie Nere inglesi, nazista professo.
Che non vuol dire nulla, se non che il nazismo non era impopolare e non è morto.

Dice Bossi venerdì che le chiacchiere su Berlusconi sono roba di servizi segreti. Che non è vero, naturalmente, ma è vero: è indimostrabile cioè, ma si sa come vanno le cose.
Il fatto è che la sinistra ha dei dossier contro Berlusconi, Berlusconi non ne ha contro la sinistra. E questo è anomalo in due modi: Berlusconi è il capo dei servizi segreti, la sinistra non è fatta di spioni, la tipologia spione è tipicamente di destra. Si può pensare che tutto il male sia a destra, ma tutti sanno che non è vero. La verità è che lo spione, l’agente dei servizi di scorta, il maresciallo, il capitano, il giornalista di assalto, anche di destra, porta il suo dossier alla sinistra perché la sente consona alla sua mentalità. È tutta qui la “Seconda Repubblica”: una sinistra che convive col partito dei Procuratori della Repubblica, che sono il pantano sui cui cresce la questione morale, e questo è peccato dichiarato.

A due anni dai due milioni di “cartelle pazze” del sindaco Veltroni, che costò la rielezione al suo vicario Rutelli, non si esaurisce l’effetto deleterio per Equitalia. L’esattore del Tesoro, per quanto sempre minaccioso, annaspa a recuperare i crediti, in buona parte fasulli. Dopo avere moltiplicato i costi con gli inutili numeri verdi e “centri operativi” di Napoli.

Il bancario tourné operatore finanziario ha perso la fiducia nel cliente. Era abituato a considerarlo una persona rispettabile, essendo dotato di capitali, operoso, accorto. Ne constata ogni giorno la pusillanimità, nei giochi di Borsa di cui inevitabilmente è vittima, come delle truffe ripetute, per primo attraverso i titoli della sua stessa banca.

Per una coincidenza, il giorno del disastro di Viareggio il procuratore Scelsi annuncia a Bari che non indagherà Berlusconi, non c’è prostituzione né cocaina a casa sua. E Nichi Vendola dimette tutti i suoi assessori, la giunta della Regione Puglia, per le tangenti alla Sanità sulle quali a Bari si dovrebbe infine indagare. Le notizie sono sempre (co)incidentali.

Più del “Corriere” può a Bari “La Stampa”. Tutte le piste vengono buone nella capitale pugliese, nelle cronache del giornale di Calabresi: le martiri escort, la cocaina, le telefonate. Tutte eccetto le tangenti alla locale Sanità.
Mario Calabresi studia da successore designato di Mauro a “Repubblica”. Ma, poi, non dica che non c’era nella stanza.

Martedì, è ormai una settimana, il giudice Scelsi continua a tacere. E il “Corriere della sera”, per rianimare il fallito golpe, non trova di meglio che Formica. Rino Formica, il “commercialista di Bari”. Il quale chiama in causa il ’68…
O Formica rientra nel tentativo del “Corriere” di rifare “il Manifesto”, dopo quarant’anni?

Domenica, anche il giudice Scelsi riposa. Il “Corriere” manifestarolo in ritardo invece infaticabile riempie la pagina con Andreotti, che (non) parla di Berlusconi, e con una carrellata storica che “papi” riconduce a Mussolini, passando per quel porco (cinghialone) di Craxi.
Tutt’e tre milanesi, di nascita o elezione, come il “Corriere”.
Poi si dice che Milano non ha identità, che l’ha perduta, eccetera: ma se è un trojaio.

Letture - 10

letterautore

Freud – Ipernarcisista. Non amante, non buon marito, ma forte padre-padrone, iperpossessivo nell’amicizia, e non per pulsioni sessuali, non cristiano, non ebreo, non ateo, non religioso seppure mitizzante, così riduttivo della storia e dell’arte, compreso il mito.
La psicanalisi è un esercizio in narcisismo. In quanto ricostituzione dell’Io (ricostituzione dell’Io?) in ostilità agli altri – la madre, il padre, la storia familiare, i maggiori, i minori, tutti corruttori. In quanto cioè liberazione dalle pulsioni dell’Io, perfino dell’aggressività, nella vita relazionale. È scienza indiziaria, ma Sherlock Holmes ne avrebbe riso, non a torto – che poi era Arthur Conan Doyle, stolido dottore a caccia di spiriti e mondi scomparsi. Scardina le opere di misericordia spirituale sostituendole con l’autocritica, ma senza darle corpo, se non come autodistruzione. Dello scardinamento di ogni limite, ogni contorno, ogni area di sosta fa anzi il suo pregio.
La sua è una terapia volutamente distruttiva. Per una gnoseologia volutamente confusa: la logica dell’abbattere è quella di chi si addentra in territori incerti o sconosciuti senza strumenti di rilevazione (critici) e quindi senza la possibilità di scoprire (riconoscere) alcunché – di chi faccia addentrare soggetti deboli in territori sconosciuti.

Ha rotto tabù e pregiudizi, ha quindi avuto un effetto liberatorio, e ancora ne beneficia – quando qualche tabù si vorrebbe ricostituito. La rottura dei pregiudizi è sempre affascinante, ma è un fatto storico: come andare di corpo, dopo una crisi di stitichezza. Il suo fascino rinnovato sta nella semplificazione: la psicanalisi semplifica – anche nelle forme selvagge – in nome di preconcetti più grandi e via via anch’essi radicati, come i complessi, la simbologia, gli archetipi, e altre piccole-grandi costruzioni. Non può essere che così, poiché si pone un fine terapeutico. Ma questa immediata circolarità – riproduzione di pregiudizi – inficia la psicanalisi come scienza.

Manzoni – Non ha interrotto la narrazione, che non c’era – il racconto è sempre manierato in Italia, sulla traccia dei poemi cavallereschi. Ma l’ha deviata sulla declamazione e la politica. Abile retore e formidabile leader culturale, tutto ha organizzato: la storia, la lingua, la filosofia morale, la poesia civile, riducendo i personaggi a marionette, mossi con gesti goffi, parlati con frasi fatte. Ha scavato una traccia che è una trincea, che dura da centocinquant’anni. Tanto più in questo dopoguerra, pregno del moralismo verista, neorealista, comico all’italiana, drammista alla Pasolini. Sotto l’egemonia presunta dei sovietizzanti, che i cattolici invece si assoggettano senza combattere, per corrività.
Quant’è diverso il suo romanzo storico da quello di Walter Scott, per non dire di Stendhal, senza sublime, senza bellezza, senza grazia. Senza il più piccolo scarto del soprannaturale.

Mitteleuropea - È l’anti-Germania, dice Magris. E com’è possibile?
È “tedesco-magiara-slava-romanza-ebraica”. E perché non italiana (lombardo-veneta)? Perché è tedesca.

Nietzsche – Brahms, dice Wittgenstein, è kelleriano: ascoltando l’uno è come leggere l’altro. Se si misurasse quanto Nietzsche è malgrado tutto wagneriano? Iperromantico, morbido, attraente, superiore. Tutto ciò che tiene su prima dell’atto: eccitante.

Proust – È il principe dei “sublimari”, gli insaziati di sublime. Fino alle mamme d’attempati figlioli, Mme de Caillavet, Mme Straus. Piccole emozioni, visite promesse o rimandate, una sedia da vendere, a dimensioni dantesche. Ma senza asperità: Proust è un precursore buonista.

O della pittura pop? Potrebbe essere. Se non bastano cinquecento e più pagine per dare rilievo ad Albertine, mancando il guizzo, il tratto caratterizzante, la parola chiave, il taglio, l’aneddoto rivelatore, o checchessia, l’origine di tanta malia potrebbe essere il multiplo, la ripetizione. Magari nobilitata, in estenuazione, ossessione (fantasma: Albertine è un fantasma), deliquio, deragliamento.

La durata è l’incontinenza verbale (Cohen in “Belle du Seigneur” fa telegrammi di quattro pagine). Non è un altro tempo, né reale né figurato. Gli appuntamenti al Ritz alle 13.30 pile sono intercalati da centinaia di pagine di ricordi, sentimenti, filosofie e morali. È l’incontinenza razionalizzata.

La storia di Albertine, ricalcata per intero sulla storia vissuta con Alfred Agostinelli (non memorabile peraltro, se non per il pettegolezzo) è esempio atroce di mascheratura, così prolungato. Sono questi amori finti tra finti personaggi che caricano la “Recherche” di artificio, di uno snobismo incontinente. La frase più lunga delle sue lunghe frasi è, “Sodomia e Gomora”, Pléiade, III, 17-19, la classificazione degli invertiti. È anche il suo punto più drammatico.
Artificioso in secondo grado naturalmente, se la letteratura è artificio.

Si può leggere in chiave grottesca. I suoi modelli dal vero, immortalati nelle fotografie invece che nei dipinti, sono atroci. Ordinari, brutti. Le pose che usavano nei ritratti dipinti, riutilizzate nelle foto sono grottesche.

Amori idilliaci: è qui la chiave della sua popolarità? Idilliaci moderni, fantasmizzati. L’altro è indistinto, è lui\lei, ieri\oggi, vago, decorativo, normalmente inespresso, figurine di cera. E inespressivo\a, se non per derive moderniste: umori vegetali, ghirigori minerali, mutismi allusivi su cui tutto è possibile al lettore costruire.
È una parte caratteristica dell’animo piccolo-borghese, che è asociale, specie quando è artista. Ma è anche una maniera d’essere dell’uomo, del maschio, all’epoca della parità dei sessi, un ritrarsi nell’onanismo, riducendo lei\lui ad affabulazione. Normalmente di cose turpi, distrazione, superficialità, inganno, solo salvando le “vecchie” amiche, meglio se ricche e nobili, e la mamma.
È il procedimento della pornografia, così tipicamente onanistica (Sontag): fantasmizzare per estrapolazione, fuori contesto, fuori storia, fuori ogni reale.

È l’ultimo romantico in senso spiccio. L’epitome dell’adolescenza attardata: le fanciulle-fiore, il damismo, la gelosia, la diversità vissuta come diversità, la distrazione per gli eventi. Viene riportato a Kant e, in funzione di precursore, a Heidegger, l’essere come tempo, la durata, Bergson, la fisica einsteiniana, l’oblio (o la memoria?). Di un uomo e un letterato alieno dalla storia e dalla società. Incapace di vivere l’epoca, o anche soltanto di capirla: quando scrive, o riscrive, la belle époque è finita drammaticamente. Fuori dal secolo ventesimo: attardato dietro una piccola borghesia di provincia, che egli fantasmizza – quanto di più lontano, per gusti e vezzi, dall’aristocrazia del sangue e del denaro.
È vero che con la fenomenologia, comunque con Heidegger, il sentimentalismo torna centrale.

L’imborghesimento della nobiltà si vede se dalla “Recherche” si risale, oltre che a “Guerra e pace”, fino a Stendhal, la “Certosa” e “Il rosso e il nero”. Senza Stendhal sembra che Proust, borghese, ristabilisca la nobiltà che Tolstòj, nobile, ha imborghesito, tra eredità, stupidità, e romanticismo. Con Stendhal si parte dal romanticismo, o borghesia dei sentimenti, si ha un sussulto aristocratico in Tolstòj (la summa snob è all’inizio di “Guerra e pace”: “Le vicomte de Mortemart, il est allié aux Montmorency par les Rohans” – di un personaggio mediocre) e si conclude con Proust all’imborghesimento della nobiltà, tra gelosie, vecchie zie, e buggeratori con scrupoli.

Ristabilire la nobiltà? È importante per la storia, la critica letteraria, la storia della letteratura - o come valore?

Racconto - È ricordo. Anche l’invenzione: è richiamo di ciò che si – o non si – sarebbe voluto.
È interpretazione. Esegesi attorno alla (alle, a una) realtà. Che può non essere la storia – la natura, Dio.

Ogni narrazione è per se stessa.

Revisionismo – È dispositivo totalitario – Stalin ne fu maestro. La storia viene aggiustata alla “nuova necessità”.

Sherlock Holmes - È l’opposto del logico deduttore-abduttore di tanta scienza semiologica, o del divertito Umberto Eco. È un istrione e un immaginario, “me lo sento” è la sua divisa. Contro ogni prova, ogni ragionevolezza, ogni verità (condizione che condivide – da lui copiata? – con Auguste Dupin e Nero Wolfe, due per i quali l’osservazione del reale è dannosa). Che anche grazie a lui sono diventate altro da quello che erano, la prova, la ragione, la verità. Andrebbe messo con la trimurti del Dubbio che ci assedia dal secondo Ottocento: Marx, Nietzsche, Freud.
Quello delle “celluline grigie” è Poirot. E ancora: di una verità sempre avventurosa, e su base incredula - per la non-identità del personaggio, in età, grasso, lento, belga, cioè senza età, senza passione, senza carattere nazionale.

Western – Nobilita la violenza. Che invece è sempre brutta, non ci può essere il buono\bello nella violenza.
È l’autopurificazione dell’America: l’America si battezza con il sangue.
È il Medio Evo della storia americana. In questo senso, ex post, si può creare il mito della violenza buona, come esorcismo.

letterautore@antiit.eu

domenica 5 luglio 2009

Il tarlo dell'ironia

Sempre notevole, benché invecchiata, raccolta di saggi su Pessoa, di cui Tabucchi è stato il caronte italiano. Per primo per la differenza tra le scritture di Tabucchi e la posteriore introduzione, che non dice nulla, dello stesso Tabucchi ma alapagizzata sullo “spazio letterario” di Blanchot – chi era costui?
“Il poeta più misterioso del Novecento” è il Pessoa di Tabucchi. Per il fatto che fu quattro poeti distinti, e tanti autori diversi di racconti, critiche, polemiche, saggi storici e politici, interventi, una guida turistica di Lisbona, alcuni pseudonimi, altri come voleva eteronomi, cioè dotati di una propria “vita”, nonché più volte editore, anche di un numero rilevante di riviste. Per un grano di follia, si disse subito di lui in vita. O per la solitudine, aggiunge Tabucchi, e per i tempi, quelli della dissociazione dell’io. Ma perché? Pessoa è uno psicagogo e non un folle, fu attivissimo, socievolissimo e conosciutissimo, anche se morì, è vero, di cirrosi epatica. Mentre di dissociazione dell’io non è morto mai nessuno e in tanti semmai ci hanno prosperato, compresi Conrad, Kafka e Beckett che Tabucchi cita. Tabucchi stesso peraltro attribuisce a Pessoa “la perversione di abdicare al reale per possedere l’essenza del reale. Una radicale, quasi disgustata, rimozione”, che ne fa “il più sublime poeta del rovescio, dell’assenza e del negativo di tutto il Novecento” (p.24)
Molto viene da Kierkegaard, come sarà poi accertato. Autore dai molti pseudonimi – e perfino, cosa che stranamente non si rileva, di un intero libro di prefazioni, di libri non scritti, ai autori che il filosofo vuole altri da sé. Gli eteronomi di Pessoa, altri autori, come opposti ai pseudonimi, camuffamenti dell’autore, possono anche essere “tentativi di resistenza, e di conciliazione, col mondo” (Eduardo Lourenço). La lettura migliore è quella che Tabucchi applicherà al “Libro dell’inquietudine”: sono personaggi di una narrazione, Pessoa si voleva e fu anche romanziere. Che, in fatto di nomi (Ophelia, l’amata) e di personaggi (Sá-Carneiro, “l’amico dell’anima”, suicida a Parigi a ventisei anni, senza ragione apparente, in frac, nel mezzo di una guerra truculenta) se ne trovava di ben inverosimili nella realtà. O meglio di un teatro. Domestico. Personale. Illimitato. Pessoa può essere anche, sotto la specie di Álvaro de Campos, “un poeta metafisico che odia la metafisica” (p. 87). Ma “odia” è troppo per Pessoa. No, “non c’è altra metafisica al mondo se non cioccolate”, dice lo stesso “ingegner” de Campos: il tarlo dell’ironia non consente passioni, se non sigarette. È questo il punto: l’ironia dissecca.
Ci sono esistenze “impossibili” perché tarlate dall’ironia. Che è brillante e seducente ma, nella narrazione, più spesso faticosa, e inerte. Il contrasto anima l’ Ironia. E l’antifrasi di base è la narrazione il cui oggetto è la narrazione. Col rovesciamento, l’estraniazione poi di Brecht, l’interruzione. Che però non reggono la narrativa, sia pure poetica, solo l’aneddotica. Se non lievitata – alleviata – al modo dell’Ariosto, per una lettura multiforme, più immaginativa che critica, esagerata, che diventi patrimonio popolare. Swift, per questo, Voltaire, anche Sterne, sono un impianto - una posizione nella vita, una rigidità: l’ironia che dissecca.
In Pessoa questa riserva non c’è, poiché c’è l’ottimismo. Malgrado tutto, anzi proprio per l’esibizione di pessimismo, di dolore che si sa – si sente – non vissuto. La lettera, che Tabucchi trascrive, in cui Pessoa descrive e spiega a Casais Monteiro la sua istero-nevrastenia è un capolavoro, nemmeno tanto occultato, di sveviana simulazione. Nei testi in effetti l’eteronimia, presto divenuta un aneddoto esaurito e scontato, si ravviva: per aver ridotto l’ironia a una venatura sottile, accidentale, che attraversa la storia, più spesso girata in positivo, nel senso della lievità e bonarietà (sottolineature, a parte, macarismi, paradossi).
Pessoa vive del resto una fanciullezza e una gioventù straordinarie, nel senso delle esperienze – non c’è altro scrittore che vanti una biografia così avventurosa dei primi vent’anni. E una grande guerra che non registra in alcun modo. Che è forse il modo dei poeti di fronte alla guerra. Se Omero sintetizza in un anno, l’ultimo, una guerra durata già nove anni, che è l’ultima di nove o dieci guerre, e l’ultimo atto di una storia durata mille anni, facendone con distacco - con ironia – un’epopea di truculenza greca (achea, dorica), tipicizzata in episodi rivoltanti, e salvando per converso le donne, di ogni parte, Elena compresa, la fedifraga, e Ettore per il suo senso della famiglia. Ma è pur vero che l’ironia, seppure non cinica, è inevitabile nei fattacci. Anche il terribile Dio della Bibbia ha più di un sospetto d’ironia – litoti, esagerazioni, maledizioni.
Molto è stato detto, sia prima che dopo Tabucchi, su Pessoa, che ne chiariscono – appiattiscono - la molteplicità, la sorpresa. È inevitabile, anche per la stessa ripetizione. E per l’intervento inevitabile della biografia, che la stessa vita plurima appiattisce: una vita in famiglia, da spiritista noto, traduttore della Blavatsky, amico e complice di Crowley, e editore febbrile. Non c’è sostanza nella sorpresa, se non negli scritti. Ineguali.
Della raccolta è parte un’intervista con Zanzotto che da sola merita la rilettura. Il Pessoa quadruplicato come il diavolo del Vangelo, che si sente legione. L’io divso che “va a braccetto con un superlogico fingidor”, il marionettista. “E d’altra parte, negli innumerevoli autori che si diedero pseudonimi…, quanta falsa coscienza v’era proprio nell’accettare questo termine?”. Dal Foscolo Didimo dell’“Ipercalisse” a quella “intera società di pseudonimi” che fu l’Arcadia. Moltiplicata oggi nella rete, degli innumerevoli publisher di blog come questo, editori, autori, redattori (e forse lettori unici) di ogni minuto verbo. “E che dire dei romanzieri”, aggiunge Zanzotto, “dei «creatori di personaggi» presentati non importa se nelle prime o nelle terze persone verbali?” Con Gesù tornato bambino, in una delle poesie qui incluse da Tabucchi, Pessoa s’immagina di andare “godendo il nostro comune segreto\che è di sapere dappertutto\che non c’è mistero nel mondo”. Ma questo, si sa, non è vero – è l’antifrasi base.
Antonio Tabucchi, Un baule pieno di gente

Secondi pensieri (27)

zeulig

Amore - “Gli amori infelici reggono il mondo” è una battuta di Corrado Alvaro. Ma l’idea della intelaiatura tiene: cos’altro regge il mondo? L’amore come desiderio di amore – la curiosità (la scoperta), il coraggio.

Deserto - Ha esaurito il tempo, è lo spazio senza tempo. Senza trasformazione o mutamento, benché non privo di vita: se ne può arguire una forma di vita senza tempo? Talvolta senza ricordi, che comunque ha abraso, qualsiasi traccia di costruzione o altre storie.
Alimenta la religione, coi profeti e i santi, ma non ne ha colpa: è rasserenante, malgrado la mancanza di punti di riferimento. Alla fine della giornata, nella quale non c’è nulla da fare, non c’è senso di colpa.

Filosofia – È astrazione. Astrazione dal mutamento, altrimenti è la follia. Il filosofo che ha superato – in buona fede – il pensiero anteriore, sarà presto superato da una nuova critica e avrà vissuto un solo momento di certezza – errata – in un mare d’inquietudine.
Non c’è altro approccio. Non c’è alternativa all’approccio risolutore – classicista. Anche in mezzo alle avanguardie. Se non nel deragliamento e nella fanfaronaggine. Ma la filosofia è storia della filosofia, una tela da ritessere.

Matrimonio – La comunicazione (comprensione, mutuum adiutorium) è nei fatti, la convivenza, i figli, la casa, anche soltanto dormire insieme. Non funziona come amore romantico – a meno di non fare a meno di uno degli ingredienti del romanticismo, l’immaturità.

Morte - È l’unica certezza dell’uomo, quindi una verità.
Ma non è la fine – è una fine. Quindi non c’è fine, altra certezza. C’è stato un inizio?

Psicanalisi – Gli autori che vi hanno fatto ricorso nel Novecento, Svevo, Fellini, Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti, lo stesso Berto che l’ha raccontata, Moravia e gli altri innumerevoli clienti del dottor Bernhard, dominano meglio il mondo, compresa l’analisi. Con più strumenti e maggiore solidità – certezza d’autore. Non, evidentemente, grazie all’analisi in quanto terapia.
È liberatoria in quanto apre nuove tracce all’immaginazione. O meglio la snida e la nobilita, più che altro nella sessualità. Ma questo effetto è già al passato: le nuove frontiere sono presto retroguardia.

Roma – È senza passione, si sa. È il lato oscuro di questa città di luce.
Si può vivere senza passioni, senza nervi? Evidentemente sì, poiché Roma è la maggiore città in Italia, e l’unica che cresce. Ma forse per questo siamo tanto nervosi.

Sentimenti – Sono sempre buoni. Non ci sono in principio cattivi sentimenti – un giorno non ci saranno nemmeno per Hitler. Il male è ontologico, e soverchia l’uomo?

Sesso - È l’unico tabù che resiste, non dicibile. L’amplesso è l’unica cosa che non si può vedere al cinema, se non per simulazioni. E non da ora, in questa epoca di probizionismo etico. Anche nel 1968 pornografico era non solo l’atto ma anche l’immaginazione (S. Sontag, “L’immaginazione pornografica”). Ballard tenta in “La mostra delle atrocità” di accomunarvi nell’interdetto la guerra, gli incidenti stradali, gli attentati, le connesse fantasie, ma queste restano rappresentabili (dicibili), anche in tv, cioè per la strada.

Sogno - È il ricordo di un sogno, di una sessione di sogni. Niente di più della sua fisiologia: un ricordo abbastanza lucido ma non troppo, nella fase del risveglio, quando la mente costruisce scenari nei quali leggere le memorie che insorgono scollegate, non governate, nella notte corticale.

È allusione. Non ci sono sogni riparatori o consolatori, per questo loro linguaggio aperto, fortemente connotativo ma incerto – di persone e eventi identificati e scanditi ma senza volto, senza occhi, senza suono, senza tempo, ripetitivi, ripetuti.

Solidarietà - È fisiologica per alcune specie. Nell’uomo è istituzionale. In senso generale, come apparato di usi e di norme giuridiche, e nella pratica (in società, nel paese, in famiglia).
Nell’uomo non è fisiologico nemmeno nella maternità, che si ritiene il rapporto più diretto: la madre non “riconosce” il bambino se non per apparati di riti e di norme, e può rifiutarlo.

Max Weber – Sarebbe inorridito a essere considerato esegeta dei primati. In quanto storico e sociologo ha indagato i rapporti tra il capitalismo e alcune sette protestanti. Come Sombart aveva studiato i rapporti tra capitalismo e ebraismo in esilio. È un indirizzo di studi, quello della ricerca dello spirito (Geist) dei fenomeni, che andava a fine Ottocento. Schmoller, senza generalizzare, trovava per converso identiche forme di economia in contesti culturali (Geist) diversi. Non c’è naturalmente un Grande Sociologo Tedesco che abbia studiato con eguale clamore lo spirito del cattolicesimo, per esempio nella forma lombarda e poi borromeiana, - ci sono i Luzzatto, i Fanfani, e un impacciato Le Goff. Ma i Grandi Sociologi, siano essi Tedeschi, evitano di stabilire nessi di causalità esclusiva e tanto meno primati spirituali – tanto più per essere essi stessi, al fondo, anticapitalisti.
Tre volte errata, e ingiuriosa, l’opinione corrente in Italia: 1) non c’è un’etica del capitalismo, ma una serie di fenomeni, di modi, per far fruttare il denaro: l’etica è solo quella del codice civile, solo in Italia vi si ambisce per un deteriore snobismo; 2) il capitalismo “etico” non è esclusivo dello “spirito protestante”, e neanche caratteristico; 3) M.Weber non è studioso da piccola (massonica) polemica anti-gesuitica.

Wittgenstein – Ha un linguaggio di semplicità estrema, perfino rozzo: tutto calcolo e sistema. Bizzarramente sistematico. Non per essere coerente ma per cercare soluzioni universali, in termini di procedure, regole, grammatiche. Con l’uso casuale delle parole, talvolta indistinte (mente = spirito = anima…)
Quanto incide il personaggio avventuroso sugli esiti della sua ricerca? Quanto contribuisce, anche l’estrema povertà filosofica del Novecento, col suo grasso Heidegger e l’inutile Sartre?

Demolisce lo psicologismo, riportato a Locke, per cui significato e concetto sono immagini, rappresentazioni mentali? Beh, quanto cambia se sono rappresentazioni verbali? Se la filosofia è la narrazione delle cose siamo ancora più sprofondati nello psicologismo.

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