Mantiene la vivezza del debutto fulminante, nel 1992 a ventitrè anni, questa storia di cartilagini e di avatar, che inaugura la galleria dei nichilisti freddi à la Nothomb, ventriloqui, rigurgitanti. Dell’“estetica del vomito” contro “la letteratura degli stati d’animo, detti sentimenti”. La cartilagine è “l’articolazione che permette di andare in avanti, ma anche indietro, aprendo l’accesso all’eternità”. E la scrittura è “una gigantesca cartilagine verbale” - una metaforissima, dopo il vituperio di prammatica della metafora, con i simboli e la dialettica. Ipotizzandone la nullità, prima ancora di uscire, nell’“epoca della malafede”, in un mondo di “lettori non lettori”, a partire dall’“Iliade” e dall’“Odissea”, e di “uomini-rana” che attraversano un libro “senza prendere una goccia d’acqua” – quindici anni fa, oggi si direbbe “persone-rana”. Quanto agli avatar, essi ritornano in epoca non sospetta, Internet era solo una ipotesi.
Amèlie, nome eletto come la protagonista Léopoldine, e persona che s’indovina generosa, perché il genio è generoso, fa distinto Settecento. Che potrebbe essere la cifra del Millennio. Pur evocando Céline, non ne ha la corporeità. Anche quando fa rivivere, come qui, il sogno dell’infanzia. Senza l’incontinenza, ecco, che giustamente rimprovera a madame de Lafayette. Sul principio che “amare è difettivo”: si coniuga solo al singolare, anche nelle forme plurali, “se due persone dicono di amarsi, l’una delle due deve sparire per ristabilire il singolare”. La coniugazine è l’esistenza, la coniugazione del verbo: “Se la coniugazione non esistesse, non avremmo neanche coscienza di essere individui distinti”. Non viceversa. E l’assassinio è “rapido e pulito” perché “il classicismo non commette mai peccati di gusto”.
E tuttavia il libro, il racconto, s’interrompe a metà. Quando il ruolo di eversore, tenuto dal protagonista scrittore, grasso, pieno, passa alla sua contestatrice, svelta, dissolvente. C’è la novità, paradossalmente, dove c’è il ruolo: lo scrittore può solo essere architetto, con tutto il suo dichiarato nichilismo, se è un indagato o un correo non è niente, non rende.
Amélie Nothomb, Igiene dell’assassino
venerdì 31 luglio 2009
Mani Pulite e batoste nell'antica Roma
Anche i Romani prendevano batoste, ma all’epoca la cosa non si pubblicizzava, i nemici degli sconfitti più spesso trovavano utile non avvantaggiarsi. Per il resto quell’anno 186 a.C., in cui il grosso dell’esercito romano fu ridotto male dai Liguri-Apuani nella gola appenninica detta Saltus Marcius, dal nome del console sconfitto Quinto Marcio Filippo, sembra oggi, la storia è immutabile. Il tranello riuscì in un anno funestato dai presagi, che consigliarono ai consoli di trascurare la "pacificazione" dell'Iberia per curare la politica interna: a Roma e dintorni cadevano pietre dal cielo e fuoco che si attaccava alle vesti, un ermafrodito di manifestò in Umbria, evento molto infausto, e una prostituta, Ispala Fescennia, si prestò a una comoda quasi guerra civile contro gli Emili-Scipioni, famiglia prominente colta e innovatrice.
Invece della guerra, Roma fece lo scandalo dei Baccanali: come per Ispala, dichiarata “pentita”, furono istituiti premi in denaro per altri pentiti denuncianti, che consentirono migliaia di arresti, metà dei quali assortiti da pena di morte, a meno di pentimento seguito da delazione, la quale comportava la remissione della pena e, a sua volta, premi in denaro, insomma Mani Pulite, Marcio era Borrelli, Roma sembrava Milano. Una vicenda famosa, che Tito Livio, a differenza dell’imboscata al Saltus Marcius, narra per esteso, al libro XXXIX, capp. 8-19. I Romani perdettero nella gola tra i sette e i novemila uomini. Il Marcio-Borrelli disperse successivamente l’esercito: la cosa si faceva dopo una vittoria, in territorio “pacificato”, il console lo fece per non consentire la conta dei morti.
Esemplare libro di storia locale, con una documentazione formidabile, e un uso anche accorto delle fonti. E tuttavia la storia locale non si libera dai noti limiti del genere. Tutti legati allo autodidattismo, con tanto entusiasmo e poca disciplina, al rovescio della storia ufficiale, disappetente. Con l’assurdo, quindi, ripetuto parallelo tra i Liguri e Apuani e i Dakota, i Cheyenne, eccetera, con tanto di Cavallo Pazzo e Toro Seduto. Non la sola caduta.
Lorenzo Marcuccetti, Saltus Marcius. La sconfitta di Roma contro la nazione Ligure-Apuana, petrartedizioni, pp.309, €25
Invece della guerra, Roma fece lo scandalo dei Baccanali: come per Ispala, dichiarata “pentita”, furono istituiti premi in denaro per altri pentiti denuncianti, che consentirono migliaia di arresti, metà dei quali assortiti da pena di morte, a meno di pentimento seguito da delazione, la quale comportava la remissione della pena e, a sua volta, premi in denaro, insomma Mani Pulite, Marcio era Borrelli, Roma sembrava Milano. Una vicenda famosa, che Tito Livio, a differenza dell’imboscata al Saltus Marcius, narra per esteso, al libro XXXIX, capp. 8-19. I Romani perdettero nella gola tra i sette e i novemila uomini. Il Marcio-Borrelli disperse successivamente l’esercito: la cosa si faceva dopo una vittoria, in territorio “pacificato”, il console lo fece per non consentire la conta dei morti.
Esemplare libro di storia locale, con una documentazione formidabile, e un uso anche accorto delle fonti. E tuttavia la storia locale non si libera dai noti limiti del genere. Tutti legati allo autodidattismo, con tanto entusiasmo e poca disciplina, al rovescio della storia ufficiale, disappetente. Con l’assurdo, quindi, ripetuto parallelo tra i Liguri e Apuani e i Dakota, i Cheyenne, eccetera, con tanto di Cavallo Pazzo e Toro Seduto. Non la sola caduta.
Lorenzo Marcuccetti, Saltus Marcius. La sconfitta di Roma contro la nazione Ligure-Apuana, petrartedizioni, pp.309, €25
La scuola di dialetto è tutta invidia
Con apprensione il “Corriere della sera” ha lanciato la questione dialetto, dedicando l’apertura mercoledì alla richiesta della Lega di formare insegnanti di dialetto. Sono a rischio l’unità, il Risorgimento, l’innovazione tecnologica, le tre i del cavaliere milanese, oggi quattro con l’idiozia, il solito argomentare stanco degli ultimi venti anni. È il pendolo: un giorno il “Corriere” ci impone la Lega, e il giorno dopo la denigra, per lasciarci nell’incertezza.
E' pure vero che la Lega ama sparale sempre grosse, è un modo di sentirsi vivi che piace, non solo al Nord-Est suo feudo. Ma non dispiacerebbe a nessuno che Milano si manifestasse per una volta quella che è, incapace d’imparare l’inglese, e forte dove si sente protetta. Se non fosse che è l’ennesima manifestazione d’invidia: Milano, l’eletta della nazione, invidia il detestato Sud, dove si parla dialetto con gusto, per non riuscire ad imparare nemmeno l’italiano, cosa che anche un bambino sa fare.
Questa non si sapeva, ma non è una novità. Già da tempo Milano invidia a Napoli il dialetto che vuole la traduzione in sovrimpressione, delle canzoni e dei film. Che è cioè un’altra lingua, e ben efficace. A Roma il romanesco. Ogni estate da molti anni la Lega propone di eliminare dalla rai gli speaker e i presentatori che parlano romano, e di ridurre i finanziamenti al cinema, dove di solito si parla romano. E alla Sicilia il dialetto con cui fa letteratura da storia se non da manuale, da Cielo d’Alcamo a Verga e Ignazio Buttitta, che la sua poesia più famosa dedica proprio alla difesa della parlata dialettale. Nonché ad Andrea Camilleri – eh sì: lo scrittore e il personaggio più letti di tutta la storia libraria scrivono e parlano e pensano in dialetto. Non solo la cucina, quindi, il sole e la strafottenza, il vero portamento elegante, ma anche la sicumera con cui si chiudono a riccio Milano invidia ai terroni.
La soluzione della questione meridionale
Questo è un fatto. Ma non negativo, dal punto di vista risorgimentale, e anzi potrebbe entrare nei programmi, ancora vuoti, del Comitato di studiosi del centocinquantenario: la proposta potrebbe finalmente risolvere la questione meridionale. Proprio nel momento in cui la questione meridionale insorge con prepotenza, con sicuri gladiatori tipo Micciché, benché ingrassato, Lombardo, nomen omen, e Bassolino, anzi pure con Loiero. Una piccola trasformazione che potrebbe infine dopo due secoli, o sono millenni, disinnescare il divario Nord-Sud. Se Milano pensasse in dialetto, si ristabilirebbero condizioni di parità con Napoli e la Sicilia.
È noto che la dilettazione a pensare e scrivere localmente va di pari passo con due fenomeni che oggi più non si citano per la vergogna ma che hanno avuto fino a ieri cultori illustri, la napoletanità e la sicilitudine. Quella centrata sull’anema e core, questa sulla metafisica, due falsi, se non erano prese per il culo del protervo Nord. Di cui non si può dire che siano all’origine del divario Nord-Sud, ma sicuramente ne sono espressione. Con la connessa difficoltà a pensare un’altra latina, sia pure l’italiano facile facile, per la comune ascendenza latina. Il sardo, che non è latino, non ha difficoltà a imparare l’italiano, così che l’isola pietrosa è meglio amministrata e ben più ricca della ferace Campania, della Sicilia che la storia più antica dell’Europa e dell’Ocidente, e della Calabria che ha il suo stesso chilometraggio marino. Ma questo non importa. Ora, se si creasse un lombardismo, con gli zoccoli, gli olmi, le sciure palanche e i cumenda, il divario, chissà, si ridurrebbe.
E' pure vero che la Lega ama sparale sempre grosse, è un modo di sentirsi vivi che piace, non solo al Nord-Est suo feudo. Ma non dispiacerebbe a nessuno che Milano si manifestasse per una volta quella che è, incapace d’imparare l’inglese, e forte dove si sente protetta. Se non fosse che è l’ennesima manifestazione d’invidia: Milano, l’eletta della nazione, invidia il detestato Sud, dove si parla dialetto con gusto, per non riuscire ad imparare nemmeno l’italiano, cosa che anche un bambino sa fare.
Questa non si sapeva, ma non è una novità. Già da tempo Milano invidia a Napoli il dialetto che vuole la traduzione in sovrimpressione, delle canzoni e dei film. Che è cioè un’altra lingua, e ben efficace. A Roma il romanesco. Ogni estate da molti anni la Lega propone di eliminare dalla rai gli speaker e i presentatori che parlano romano, e di ridurre i finanziamenti al cinema, dove di solito si parla romano. E alla Sicilia il dialetto con cui fa letteratura da storia se non da manuale, da Cielo d’Alcamo a Verga e Ignazio Buttitta, che la sua poesia più famosa dedica proprio alla difesa della parlata dialettale. Nonché ad Andrea Camilleri – eh sì: lo scrittore e il personaggio più letti di tutta la storia libraria scrivono e parlano e pensano in dialetto. Non solo la cucina, quindi, il sole e la strafottenza, il vero portamento elegante, ma anche la sicumera con cui si chiudono a riccio Milano invidia ai terroni.
La soluzione della questione meridionale
Questo è un fatto. Ma non negativo, dal punto di vista risorgimentale, e anzi potrebbe entrare nei programmi, ancora vuoti, del Comitato di studiosi del centocinquantenario: la proposta potrebbe finalmente risolvere la questione meridionale. Proprio nel momento in cui la questione meridionale insorge con prepotenza, con sicuri gladiatori tipo Micciché, benché ingrassato, Lombardo, nomen omen, e Bassolino, anzi pure con Loiero. Una piccola trasformazione che potrebbe infine dopo due secoli, o sono millenni, disinnescare il divario Nord-Sud. Se Milano pensasse in dialetto, si ristabilirebbero condizioni di parità con Napoli e la Sicilia.
È noto che la dilettazione a pensare e scrivere localmente va di pari passo con due fenomeni che oggi più non si citano per la vergogna ma che hanno avuto fino a ieri cultori illustri, la napoletanità e la sicilitudine. Quella centrata sull’anema e core, questa sulla metafisica, due falsi, se non erano prese per il culo del protervo Nord. Di cui non si può dire che siano all’origine del divario Nord-Sud, ma sicuramente ne sono espressione. Con la connessa difficoltà a pensare un’altra latina, sia pure l’italiano facile facile, per la comune ascendenza latina. Il sardo, che non è latino, non ha difficoltà a imparare l’italiano, così che l’isola pietrosa è meglio amministrata e ben più ricca della ferace Campania, della Sicilia che la storia più antica dell’Europa e dell’Ocidente, e della Calabria che ha il suo stesso chilometraggio marino. Ma questo non importa. Ora, se si creasse un lombardismo, con gli zoccoli, gli olmi, le sciure palanche e i cumenda, il divario, chissà, si ridurrebbe.
mercoledì 29 luglio 2009
Il mondo com'è - 19
astolfo
Antifascismo - Cesare Pavese, sollecitato a partecipare alla scuola ebraica doo le leggi razziali, non rispose. Pavese e Bobbio non gradivano essere considerati antifascisti.
Austria - È bizzarro che il mito dell'Austria Felix rinasca, senza essere una moda culturale, e si allarghi. Anche a Milano e Trieste, come crogiolo d'intelligenza e modernità, tra Otto e Novecento, senza ricordane su questo versante le ambiguità.
L'Austria è la prima reponsabile dell'orribile Ottocento, più della regina Vittoria e di Napoleone III: delle censure e le polizie politiche, delle continue ripetute rivolte obbligate per ottenere diritti minimi, e del terrorismo. Soprattutto in Italia, nei suoi domini e negli stati da essa controllati, il papato e il napoletano, i ducati padani, e perfino la Toscana. L'Austria è la responsabile primaria dell'imbastardimento della politica italiana - della politica contemporanea e del Risorgimento, dopo la morte precoce di Cavour.
La stessa fioritura musicale che si ascrive a merito dell'Austria avviene, tutto sommato, malgrado Vienna. Haydn, Mozart, Beethoven operano a Vienna solo grazie a protettori ungheresi, tedeschi, russi, italiani, misconosciuti dal pubblico e maltrattati dalla corte.
Barbarie - Non esiste - disse il barbaro.
Comunicazione - È trapassata ad aggressione: ognuno lancia se stesso contro l'altro, millantando, commiserando, esponendo, ma sempre e solo se stesso, le proprie disgrazie e i propi successi, le fobie, le malattie, le grandezzate, le pene d'amore e familiari, le ansie per la fine del mondo, e l'astio sempre contro gli altri. È una forma di misantropia, aggressiva: tutto degli altri è irrefrenabilmente soggetto a critica o lamento, la passione politica o l'abbigliamento, il portamento, le relazioni, l'attività, lo stile di vita, e anche il tifo calcistico.
La più invasiva è quella dei media. Un colloquio si può sempre rifiutare, o una conversazione in treno, anche con la prenotazione obbligatoria, i media no La pubblca esposizione per molti anni è stata una condanna e una pena, la gogna, ora è un privilegio e un vantaggio: esponendosi, ci s'impone. Discrezione e pudore non sono virtù, e anzi non sono, se non per snobismo.
Cristo - Storicamente, è l'interruzione del rapporto, filosofico, poetico, con la natura. Nel linguaggio, nella logica, nei riti ha senz'altro mediato l'Oriente per l'Occidente pagano, greco-romano. Ma come figura storica ha interrotto la naturalità dell'esperienza umana.
Democrazia - C'è ipoteticamente, in natura, dove i singoli all'interno della specie sono identici e fungibili, e le stesse specie lo sono, morfologicamente e come "valore". Nella società è un derivato, un voler essere.
Duemila - L'uomo del Duemila non c'è. Bush, Gore, Obama sono manichini. Sono di cera i divi del cinema, anche le dive, e dello sport.
La donna c'è ancora, ma è confusa.
Heidegger - Se il filosofo fu nazista è questione oziosa, poiché lo fu - e malgrado tutto non ci ha tenuito a rinnegarlo. Non oltranzista. Fu antisemita ma, come tutti, vergognandosi della Soluzione Finale. Fu un nazista sconfitto. non c'è dubbio, neppure minimo. Ritenne il nazismo la politica della sua filosofia. Lo argomentò a lungo. A lungo tentò d'imporla a Hitler.
Il "Discorso del Rettorato" va riportato a quella che era - la proiezione sociale - la filosofia di Heidegger all'epoca, in Germania e in mezza Europa, all'università e tra i giovani studiosi, a quello che era, figurava essere, Heidegger, filosofo appassionato e antiaccademico, innovativo e quindi aperto, impegnato e quindi onesto. Cosa che la "volpe" non era. Ma è da quell'immagine che si misura, in negativo, l'effetto e il peso del suo schieramento con Hitler. Il "Discorso" è tanto piatto quanto inequivocabile. Il filosofo è, Heidegger-Platone, politicamente ingenuo, come ogni militante della politica, cioè dilettante e entusiasta. Il tipo che si ama e si apprezza se ci si riconosce.
Heidegger ha riaperto la filosofia, il libro della filosofia. Dopo i divincolamenti di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, e le rassegnate riedizione di kantismo, platonismo, scolasticismo, hegelismo, marxismo perfino. Riapre tutto il campo cambiando il modo di filosofare: aprire tracciati invece di delimitarli. Il modo d'interrogarsi e il tipo di risposte da cercare. Tutta una nuova maniera d'essere, per la filosofia, e una nuova strumentazione, la terminologia - le categorie. Ma vi introdoce il sentimentalismo, della terra e la tribù, della tradizione, dei sentimenti stessi. E forse ha già lasciato solo macerie, malgrado la monumentalità dell'Ausgabe.
Illuminismo - È un chiarimento di varia specie. C'è quello della ragione, come s'intende in italiano, e quello della magia e del mistero, come s'intende in francese. Ma c'è un'ambivalenza anche nel nostro illuminismo, non basta, non serve, dimenticare Cagliostro: Illuminati dalla magia furono in Italia prima che altrove, in Scozia, Baviera, praga, eccetera.
Ineguaglianza - È come la libertà, è uno spreco, ma non ce lo possono togliere.
Obama - Nella "nascita" improvvisa, nel portamento, sempre uniforme, mai appassionato mai stanco, nella medietà, e anche nel fisico, sembra l'Impersonificatore del Nuovo Impero Americano, la creatura di una segreta regia di androidi. È da lungo tempo ormai, da una ventina d'anni, che gli Usa governano il mondo con la fredda distanza dell'impero delle "Guerre stellari" alla Lucas. Sempre impegnati in una qualche guerra, anche in due e tre guerre insieme, con eserciti dei cui effettivi non si curano, anch'essi robotizzati, nell'inverosimile affardellamento delle foto di guerra, remoti gestori di un impero che non considerano e non conoscono, e solo identificano per le coordinate geografiche. Al comando di un clone che si è chamato Clinton, e poi Bush, e ora sembra proprio Obama.
Una politica altera e remota, freddamente bellicosa. Dalla guerra del Golfo, ma già da prima, dalle guerre stellari di Reagan. E la guerra ha portato negli omonim film alla Lucas, tirandola fuori dal diritto internazionale e dalle umane sofferenze. Vi si muore, e anche in grandi numeri, ma si intendono le guerre come delle lezioni, da dare a questo e a quello, sulla base di un titolo non dichiarato ma ovvio. Già nel 1969 Ballard immaginava il suo paese desertizzato in una vaga resistenza contro gli Stati Uniti, che lo occupavano senza una ragione detta, e il suo paese era la Gran Bretagna. Obama, il Grande Capo più umano di questo Impero, ha perfino la sagoma del perfetto androide, che parla come l'aquila dello stemma, guardando da destra e da sinistra (in realtà legge i messaggi prefabbricati dalla Forza Oscura....), figlio di un africano uscito dal bush e ivi scomparso, di una fattrice bianca di cui altro non si sa, educato nelle lontane Hawai da vecchi saggi, in figura di nonni...
C'è un unilateralismo non dichiarato ma indiscusso, piano, nei fatti, della politica americana. Se non dalle guerre stellari di Reagan, da Tienanmen e dalla caduta del Muro, dal fatidco 1989 che ha segnato il crollo dell'impero del Male, e Obama venuto dal nulla ne è interprete da copione. C'è l'indifferenza a Tienanmen, in pieno regime dei diritti umanitari, e anzi "l'asse con la Cina". Sostanzioso, giacchè metà America può fare la spesa solo con i prodotti cinesi a basso prezzo, ma anch'esso parte della politica dei riflessi muscolari, senza alterazioni sanguigne e senza cuore. L'ignoranza dell geografia, e l'indifferenza, non è una novità in America, grande paese continentale, che basta cioè a se stesso. Ma perduto è ora il senso del diritto, che bisogna dire vigoroso finché serviva all'America per scuotere il Vecchio Mondo. Apparentemente, è questo un esito della politica dei diritti umani, che ha soppiantato il diritto di non intervento. In realtà, non c'è una guerra umanitaria, c'è un non dichiarato diritto d'intervento, per ogni fine, anche non "buono", e a nessun effetto, se non, il più spesso, peggiorativo per gli stessi diritti umani. Partendo proprio dalle bombe intelligenti, che hanno sostituito il combattente, anche se muore solo questo, e magari sprigiona radiazioni mortali, di cui non vale nemmeno parlare.
Sessantotto - È stato l'estrema torsione del progetto laico, di tutto crearsi e assoggettare: la libertà, il desiderio, l'amore, la rivoluzione.
Illuminista? Non è un movimento intellettuale - senza contare che dopo l'illuminismo ci sono stati, ben popolari, Schopenhauer, Kierkegaard, Niezsche. È cultura materiale, e di massa. È il capitalismo, la cui essenza è l'attivismo, l'aspettativa della crescita. Dalla scuola al femminismo, dalle istituzioni alla coppia, e al rifiuto della guerra, dappertutto la tensione è all'innovazione, anche radicale, utopica. Non c'è un obiettivo e una meta, un modello, un'ideologia sistemica, ma la tensione, e quindi la certezza, di creare se stessi. Per questo è stato detto generazionale mentre non lo è, è un movimento di massa.
Culturalmente si sostiene col neo scientismo (Freud, Debord, Basaglia, Laing, i "Grundrisse") e con i buoni propositi (di nuovo i "Grundrisse"). La sua utopia è quella immediata, realistica, del capitalismo, o dell'efficientismo - la fantasia al potere si vuole produttiva e non eversiva. Per questo è anche semplificatore.
Il Sessantotto come punta o freccia del capitalismo - dell'ottimismo della volontà, nel suo movimento ascensionale: non è una trovata, è un fatto.
Rivoluzione - È borghese - di quando c'era quindi la borghesia, una con un progetto. È infatti ordinata in un progetto: regolata, progressista, secondo una logica cioè costruttivista, di accumulazione.
Ma è vittima dell'Ottantanove. Che ha gettato la maschera on Bonaparte. Per tornarte a Luigi XVIII, monarca mezzo costituzionale. Si dice: la rivoluzione si stanca. No, si svena. Dopo l'Ottantanove è la norma, la dissipazione - l'Ottantanove è l'"invenzione" più riuscita dell'ordine costituito.
astolfo@antiit.eu
Antifascismo - Cesare Pavese, sollecitato a partecipare alla scuola ebraica doo le leggi razziali, non rispose. Pavese e Bobbio non gradivano essere considerati antifascisti.
Austria - È bizzarro che il mito dell'Austria Felix rinasca, senza essere una moda culturale, e si allarghi. Anche a Milano e Trieste, come crogiolo d'intelligenza e modernità, tra Otto e Novecento, senza ricordane su questo versante le ambiguità.
L'Austria è la prima reponsabile dell'orribile Ottocento, più della regina Vittoria e di Napoleone III: delle censure e le polizie politiche, delle continue ripetute rivolte obbligate per ottenere diritti minimi, e del terrorismo. Soprattutto in Italia, nei suoi domini e negli stati da essa controllati, il papato e il napoletano, i ducati padani, e perfino la Toscana. L'Austria è la responsabile primaria dell'imbastardimento della politica italiana - della politica contemporanea e del Risorgimento, dopo la morte precoce di Cavour.
La stessa fioritura musicale che si ascrive a merito dell'Austria avviene, tutto sommato, malgrado Vienna. Haydn, Mozart, Beethoven operano a Vienna solo grazie a protettori ungheresi, tedeschi, russi, italiani, misconosciuti dal pubblico e maltrattati dalla corte.
Barbarie - Non esiste - disse il barbaro.
Comunicazione - È trapassata ad aggressione: ognuno lancia se stesso contro l'altro, millantando, commiserando, esponendo, ma sempre e solo se stesso, le proprie disgrazie e i propi successi, le fobie, le malattie, le grandezzate, le pene d'amore e familiari, le ansie per la fine del mondo, e l'astio sempre contro gli altri. È una forma di misantropia, aggressiva: tutto degli altri è irrefrenabilmente soggetto a critica o lamento, la passione politica o l'abbigliamento, il portamento, le relazioni, l'attività, lo stile di vita, e anche il tifo calcistico.
La più invasiva è quella dei media. Un colloquio si può sempre rifiutare, o una conversazione in treno, anche con la prenotazione obbligatoria, i media no La pubblca esposizione per molti anni è stata una condanna e una pena, la gogna, ora è un privilegio e un vantaggio: esponendosi, ci s'impone. Discrezione e pudore non sono virtù, e anzi non sono, se non per snobismo.
Cristo - Storicamente, è l'interruzione del rapporto, filosofico, poetico, con la natura. Nel linguaggio, nella logica, nei riti ha senz'altro mediato l'Oriente per l'Occidente pagano, greco-romano. Ma come figura storica ha interrotto la naturalità dell'esperienza umana.
Democrazia - C'è ipoteticamente, in natura, dove i singoli all'interno della specie sono identici e fungibili, e le stesse specie lo sono, morfologicamente e come "valore". Nella società è un derivato, un voler essere.
Duemila - L'uomo del Duemila non c'è. Bush, Gore, Obama sono manichini. Sono di cera i divi del cinema, anche le dive, e dello sport.
La donna c'è ancora, ma è confusa.
Heidegger - Se il filosofo fu nazista è questione oziosa, poiché lo fu - e malgrado tutto non ci ha tenuito a rinnegarlo. Non oltranzista. Fu antisemita ma, come tutti, vergognandosi della Soluzione Finale. Fu un nazista sconfitto. non c'è dubbio, neppure minimo. Ritenne il nazismo la politica della sua filosofia. Lo argomentò a lungo. A lungo tentò d'imporla a Hitler.
Il "Discorso del Rettorato" va riportato a quella che era - la proiezione sociale - la filosofia di Heidegger all'epoca, in Germania e in mezza Europa, all'università e tra i giovani studiosi, a quello che era, figurava essere, Heidegger, filosofo appassionato e antiaccademico, innovativo e quindi aperto, impegnato e quindi onesto. Cosa che la "volpe" non era. Ma è da quell'immagine che si misura, in negativo, l'effetto e il peso del suo schieramento con Hitler. Il "Discorso" è tanto piatto quanto inequivocabile. Il filosofo è, Heidegger-Platone, politicamente ingenuo, come ogni militante della politica, cioè dilettante e entusiasta. Il tipo che si ama e si apprezza se ci si riconosce.
Heidegger ha riaperto la filosofia, il libro della filosofia. Dopo i divincolamenti di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, e le rassegnate riedizione di kantismo, platonismo, scolasticismo, hegelismo, marxismo perfino. Riapre tutto il campo cambiando il modo di filosofare: aprire tracciati invece di delimitarli. Il modo d'interrogarsi e il tipo di risposte da cercare. Tutta una nuova maniera d'essere, per la filosofia, e una nuova strumentazione, la terminologia - le categorie. Ma vi introdoce il sentimentalismo, della terra e la tribù, della tradizione, dei sentimenti stessi. E forse ha già lasciato solo macerie, malgrado la monumentalità dell'Ausgabe.
Illuminismo - È un chiarimento di varia specie. C'è quello della ragione, come s'intende in italiano, e quello della magia e del mistero, come s'intende in francese. Ma c'è un'ambivalenza anche nel nostro illuminismo, non basta, non serve, dimenticare Cagliostro: Illuminati dalla magia furono in Italia prima che altrove, in Scozia, Baviera, praga, eccetera.
Ineguaglianza - È come la libertà, è uno spreco, ma non ce lo possono togliere.
Obama - Nella "nascita" improvvisa, nel portamento, sempre uniforme, mai appassionato mai stanco, nella medietà, e anche nel fisico, sembra l'Impersonificatore del Nuovo Impero Americano, la creatura di una segreta regia di androidi. È da lungo tempo ormai, da una ventina d'anni, che gli Usa governano il mondo con la fredda distanza dell'impero delle "Guerre stellari" alla Lucas. Sempre impegnati in una qualche guerra, anche in due e tre guerre insieme, con eserciti dei cui effettivi non si curano, anch'essi robotizzati, nell'inverosimile affardellamento delle foto di guerra, remoti gestori di un impero che non considerano e non conoscono, e solo identificano per le coordinate geografiche. Al comando di un clone che si è chamato Clinton, e poi Bush, e ora sembra proprio Obama.
Una politica altera e remota, freddamente bellicosa. Dalla guerra del Golfo, ma già da prima, dalle guerre stellari di Reagan. E la guerra ha portato negli omonim film alla Lucas, tirandola fuori dal diritto internazionale e dalle umane sofferenze. Vi si muore, e anche in grandi numeri, ma si intendono le guerre come delle lezioni, da dare a questo e a quello, sulla base di un titolo non dichiarato ma ovvio. Già nel 1969 Ballard immaginava il suo paese desertizzato in una vaga resistenza contro gli Stati Uniti, che lo occupavano senza una ragione detta, e il suo paese era la Gran Bretagna. Obama, il Grande Capo più umano di questo Impero, ha perfino la sagoma del perfetto androide, che parla come l'aquila dello stemma, guardando da destra e da sinistra (in realtà legge i messaggi prefabbricati dalla Forza Oscura....), figlio di un africano uscito dal bush e ivi scomparso, di una fattrice bianca di cui altro non si sa, educato nelle lontane Hawai da vecchi saggi, in figura di nonni...
C'è un unilateralismo non dichiarato ma indiscusso, piano, nei fatti, della politica americana. Se non dalle guerre stellari di Reagan, da Tienanmen e dalla caduta del Muro, dal fatidco 1989 che ha segnato il crollo dell'impero del Male, e Obama venuto dal nulla ne è interprete da copione. C'è l'indifferenza a Tienanmen, in pieno regime dei diritti umanitari, e anzi "l'asse con la Cina". Sostanzioso, giacchè metà America può fare la spesa solo con i prodotti cinesi a basso prezzo, ma anch'esso parte della politica dei riflessi muscolari, senza alterazioni sanguigne e senza cuore. L'ignoranza dell geografia, e l'indifferenza, non è una novità in America, grande paese continentale, che basta cioè a se stesso. Ma perduto è ora il senso del diritto, che bisogna dire vigoroso finché serviva all'America per scuotere il Vecchio Mondo. Apparentemente, è questo un esito della politica dei diritti umani, che ha soppiantato il diritto di non intervento. In realtà, non c'è una guerra umanitaria, c'è un non dichiarato diritto d'intervento, per ogni fine, anche non "buono", e a nessun effetto, se non, il più spesso, peggiorativo per gli stessi diritti umani. Partendo proprio dalle bombe intelligenti, che hanno sostituito il combattente, anche se muore solo questo, e magari sprigiona radiazioni mortali, di cui non vale nemmeno parlare.
Sessantotto - È stato l'estrema torsione del progetto laico, di tutto crearsi e assoggettare: la libertà, il desiderio, l'amore, la rivoluzione.
Illuminista? Non è un movimento intellettuale - senza contare che dopo l'illuminismo ci sono stati, ben popolari, Schopenhauer, Kierkegaard, Niezsche. È cultura materiale, e di massa. È il capitalismo, la cui essenza è l'attivismo, l'aspettativa della crescita. Dalla scuola al femminismo, dalle istituzioni alla coppia, e al rifiuto della guerra, dappertutto la tensione è all'innovazione, anche radicale, utopica. Non c'è un obiettivo e una meta, un modello, un'ideologia sistemica, ma la tensione, e quindi la certezza, di creare se stessi. Per questo è stato detto generazionale mentre non lo è, è un movimento di massa.
Culturalmente si sostiene col neo scientismo (Freud, Debord, Basaglia, Laing, i "Grundrisse") e con i buoni propositi (di nuovo i "Grundrisse"). La sua utopia è quella immediata, realistica, del capitalismo, o dell'efficientismo - la fantasia al potere si vuole produttiva e non eversiva. Per questo è anche semplificatore.
Il Sessantotto come punta o freccia del capitalismo - dell'ottimismo della volontà, nel suo movimento ascensionale: non è una trovata, è un fatto.
Rivoluzione - È borghese - di quando c'era quindi la borghesia, una con un progetto. È infatti ordinata in un progetto: regolata, progressista, secondo una logica cioè costruttivista, di accumulazione.
Ma è vittima dell'Ottantanove. Che ha gettato la maschera on Bonaparte. Per tornarte a Luigi XVIII, monarca mezzo costituzionale. Si dice: la rivoluzione si stanca. No, si svena. Dopo l'Ottantanove è la norma, la dissipazione - l'Ottantanove è l'"invenzione" più riuscita dell'ordine costituito.
astolfo@antiit.eu
I sette dolori di don Giovanni
Contiene, oltre ai noti "Amour Dure", "Un cassettone matrimoniale", "Una voce incantata", tre racconti non tradotti: "Prince Alberic and the Snake Lady", "The legend of Madame Krasinska" e il testo che dà il titolo al libro. Forte, la rielaborazione più originale del Don Giovanni: in un patto con la Bellezza (la Vergine delle sette spade), don Giovanni impegna, e quindi perde, l’inestinguibile lussuria. "Prince Alberic", con una locazione per una volta indefinita, sembra riferirsi a Massa, per una serie di indizi: il palazzo ducale è rosso, contiene una grottesca, ha tappezzerie francesi, con paesaggi tra montagna e mare, come il ducato, e un castello diruto delle Acque Frizzanti, vicino alla città di Luna, da cui la dinastia prende il nome, con terrazze coperte da pergole e viti tutt'attorno.Si riferisce ad Alberico I Cibo Malaspina, che, pur non vivendo la vita e gli amori del titolo, ha costruito e gestito il suo ducato, a metà Seicento, gli anni del racconto, con criteri dichiaratamente esoterici - l'esoterismo "normale", che è dell'esistenza, la chiave del fascino della scrittrice.
Vernon Lee, The Virgin of the Seven Daggers, Penguin, pp.230, £ 7,99
Vernon Lee, The Virgin of the Seven Daggers, Penguin, pp.230, £ 7,99
La guerra fallita d'Irène
Pubblicato postumo nel 1948, è il romanzo che ha cancellato dalle lettere la scrittrice. Fino alla riscoperta nel 2004 con "Suite francese". Singolare prima prova del romanzo della guerra francese, ordinato e piatto, che Iréne Némirovsky rifarà negli stessi mesi con tanta più forza in "...", e in "Suite francese". L'identificazione con la Francia "profonda" soffriva in questo brogliaccio dello choc inizale della politica antisemita nella Francia occupata?
Irène Némirovsky, Les Feux de l'automne, Livre de Poche, pp.281, € 7,15
Irène Némirovsky, Les Feux de l'automne, Livre de Poche, pp.281, € 7,15
martedì 28 luglio 2009
Le origini della guerra sono stupide
Libro sempre sorprendente. Anche se per motivi diversi dalla vulgata degli anni Sessanta, che tutto attribuiva alla follia o alla malvagità di Hitler. E' che non si studiano più le cause delle guerre. Non si studiano nemmeno le guerre, anche se se ne fanno tante (l'Italia ne sta facendo due o tre). Le "origini" della prima guerra mondiale sono di una stupidità terrificante. Ora che l'Europa non dettapiù legge e non fa l'opinione, la cosa è incontestabile. La seconda è stata addirittura preparata, con costanza, con furbizia, con arte.
A.J.P.Taylor, Le cause della seconda guerra mondiale
A.J.P.Taylor, Le cause della seconda guerra mondiale
Secondi pensieri (29)
zeulig
Donna - È il desiderio dell'uomo. Per questo può atteggiarsi. Sarebbe altrimenti un ammasso di carne, come ogni altro meno concupito.
La cosa non è senza profondità – benché al di là del povero Freud, e del potere del maschio: per il maschio stesso, per la donna naturalmente, e per il genere umano. Giacché il giorno in cui non ci fosse più desiderio, giorno oggi configurabile, l'umanità si fermerebbe. In tre mosse. Dapprima si riduce la fertilità e la procreazione: uomini e donne, singolarmente, separatamente, acquisiscono figli da centri specializzati, con tasso di riproduzione che per essere artificiale e tendente allo zero è una festa solo per la regolazione delle nascite. Quindi, nel quadro della freudiana autorealizzazione, la stessa filiazione, benché limitata e artificiale, perde ogni richiamo e anzi è ostile. Infine, si arriverà a una riproduzione forzata per il mercato o benessere: per il lavoro, la crescita economica, e la pensione. Già oggi la merce umana è molto apprezzata nei mercati clandestini, e non per la prostituzione o il traffico di organi ma proprio in quanto produttiva di reddito attraverso il lavoro (cinesi e asiatici in genere).
Ma allora sarà una nuova storia. La fine propriamente della storia, anche – l'attesa fine della storia, eccola qua.
Il femminismo non ha liberato, ha cancellato. La donna non ha migliorato la condizone reale-legale, professionale, se non di quel tanto che era nello spirito dei tempi, mentre ha perduto le connotazioni ideali-reali. Le ha perduta volontariamente, e questo è il peggiore arretramento, semplificatore, vendicativo...
La differenza sostanziale introdotta dal femminismo è una diversa percezione del rapporto uomo-donna.tra l'uomo e la donna. L'uomo vede la donna come un oggetto, sessuale, estetico, affettivo, riproduttivo. La donna vede l'uomo impersonalmente, in una sorta di metafisica, un incontro di destini, tanto più arduo quanto più distinto. Le donne stavano in un empireo. Questo ne faceva la preziosità (differenza). E fa catastrofica la discesa.
L'eterno femminino è la procreazione. Questo fatto materiale, di dolore e sangue, è la creazione. La fecondità è di natura superiore.
Essere - Prende le forme dell'ente, dell'eterno, o del nulla, tutte egualmente impossibili, nei fatti e nella logica, perché riflette la morte, la paura della morte - l'essere-per-la-morte. In sé sarebbe un'indagine sulle forme della voita, sul suo coagularsi, cristallizzarsi, dissolversi - non in laboratorio, naturalmente.
Ciò non confligge con la religione, la poesia, la legge, e ogni altra maniera di conoscere e d'essere dettata dalla passione. Non sraduica la passione - la paura, la collera: la riorienta. La passione ha assunto - per un movimento iniziale inconsulto? - un certo indirizzo, su cui la storia si è depositata per accumulo, proponendosi quindi come verità. Naturalmente insoddisfacente. Non è facile sottrarsi alla piramide. ma uscire dalla paura è un primo passo in sé gratificante.
Estremismo - Si acompagna all'indifferenza, etica, estetica, erotica. E' fisiologicamente uno stato inerte, un automatismo. La passione si accompagna alla riflessione: è amore di libertà, in politica e nella vita di relazione.
Estremismo >< Progressismo (libertà)
X
Passione >< Indifferenza (estremismo, sesso)
Eternita - È nel presente.
Nel presente è l'immortalità. Compresa la storia, se vuol'essere immortale. Compreso il futuro, se mai esiste(rà).
Etimologia - Non porta un nessun luogo, se non ad altre etimologie. Come le genealogie, è autoreferente.
Figli - Sono la trasposizione dell'inconsistenza dell'essere nella realtà dell'essere. Non una proiezione, non un rapporto di possesso, ma una realtà, distinta e insieme unita. La certificazione di un'esistenza pluralista - di un'esistenza.
Filosofia - Si può dire la vita una meteora di cui la filosofia non trova le coordinate. È dunque gestualità, un mimo senza soggetto.
Non è una forma di conoscenza. Senza residui si è rintanata nel nominalismo, fra etimologie e genealogie, in un'espoca che annovera guerre mondiali, e totali, olocausti, bombe atomiche, guerre endemiche. Con l' "esistenzialisno" di Heidegger rifiuta del resto il mondo, le tecniche, il governo, e la stessa storia. Ma è il detto che conta, o il dire? E a che fine ricostituire il detto?
Sotto sotto, sempre la filosofia ha rifiutato il mondo. Per una forma surrettizia del dire. Con la mancanza sempre di coraggio, di presenza, di responsabilità (o di libertinismo), e la propensione a dissimulare. Da qui la filosofia che insegna ai greci cosa hanno voluito dire. Ermeneutica come imboscamento.
Storia - Col senno di poi non si fanno errori. Ma neanche la storia esisterebbe.
Se ne è scritta più sul rock-and-roll, da Elvis in poi, che sulla rivoluzione francese. E dunque è inesauribile.
Tempo - Ritorna con la storia. In questo modo l'eternità si realizza, nel tempo.
Verità - Anche quella dei filosofi in definitiva è letteratura. Tra approssimazioni, insufficienze, oscurità, errori, da Platone a sant'Agostino e a San Tommaso, a Kant, Adam Smith, Kierkegaard, Nietzsche e, una volta padroni della chiave, Heidegger, la verità si rivela la qualità della scrittura.
È buona dea, generosa, una sola cosa rifiutando ai suoi adoratori, la certezza.
Si allarga sempre, più si precisa e più si scava, necessitando nuove ricerche. Il desiderio di verità è in realtà un desiderio di ricerca ("l'evoluzione della scienza dissolve sempre più il mito nell'ignoto" è uno dei "Frammenti postumi" di Nietzsche). E in questo si ricompatta: la verità non deprime proprio per essere imprendible.È l'avventura, la deduzion e da ciò che è di ciò che non è.
Vita - Scorre in fretta, ma più che altro è sprecata, tra ozi, rinvii, e depressioni.
Nasce dall'inanimato. Deserta è la natura, la vita vi si forma per reazioni minime. L'uomo rappresenta un salto radicale e un principio opposto alla catena della natura. Non c'è qui di salto diabolico nell'evoluzione dell'agire umano, per la transgenerazione, la clonazione eccetera: ci sono percorsi ciechi e anche distruttivi (razzismo, bomba, totalitarismo), ma è tutto l'agire umano (l'essenza dell'agire umano) che è anti-natura. Se c'è evoluzione, è di due specie.
zeulig@antiit.eu
Donna - È il desiderio dell'uomo. Per questo può atteggiarsi. Sarebbe altrimenti un ammasso di carne, come ogni altro meno concupito.
La cosa non è senza profondità – benché al di là del povero Freud, e del potere del maschio: per il maschio stesso, per la donna naturalmente, e per il genere umano. Giacché il giorno in cui non ci fosse più desiderio, giorno oggi configurabile, l'umanità si fermerebbe. In tre mosse. Dapprima si riduce la fertilità e la procreazione: uomini e donne, singolarmente, separatamente, acquisiscono figli da centri specializzati, con tasso di riproduzione che per essere artificiale e tendente allo zero è una festa solo per la regolazione delle nascite. Quindi, nel quadro della freudiana autorealizzazione, la stessa filiazione, benché limitata e artificiale, perde ogni richiamo e anzi è ostile. Infine, si arriverà a una riproduzione forzata per il mercato o benessere: per il lavoro, la crescita economica, e la pensione. Già oggi la merce umana è molto apprezzata nei mercati clandestini, e non per la prostituzione o il traffico di organi ma proprio in quanto produttiva di reddito attraverso il lavoro (cinesi e asiatici in genere).
Ma allora sarà una nuova storia. La fine propriamente della storia, anche – l'attesa fine della storia, eccola qua.
Il femminismo non ha liberato, ha cancellato. La donna non ha migliorato la condizone reale-legale, professionale, se non di quel tanto che era nello spirito dei tempi, mentre ha perduto le connotazioni ideali-reali. Le ha perduta volontariamente, e questo è il peggiore arretramento, semplificatore, vendicativo...
La differenza sostanziale introdotta dal femminismo è una diversa percezione del rapporto uomo-donna.tra l'uomo e la donna. L'uomo vede la donna come un oggetto, sessuale, estetico, affettivo, riproduttivo. La donna vede l'uomo impersonalmente, in una sorta di metafisica, un incontro di destini, tanto più arduo quanto più distinto. Le donne stavano in un empireo. Questo ne faceva la preziosità (differenza). E fa catastrofica la discesa.
L'eterno femminino è la procreazione. Questo fatto materiale, di dolore e sangue, è la creazione. La fecondità è di natura superiore.
Essere - Prende le forme dell'ente, dell'eterno, o del nulla, tutte egualmente impossibili, nei fatti e nella logica, perché riflette la morte, la paura della morte - l'essere-per-la-morte. In sé sarebbe un'indagine sulle forme della voita, sul suo coagularsi, cristallizzarsi, dissolversi - non in laboratorio, naturalmente.
Ciò non confligge con la religione, la poesia, la legge, e ogni altra maniera di conoscere e d'essere dettata dalla passione. Non sraduica la passione - la paura, la collera: la riorienta. La passione ha assunto - per un movimento iniziale inconsulto? - un certo indirizzo, su cui la storia si è depositata per accumulo, proponendosi quindi come verità. Naturalmente insoddisfacente. Non è facile sottrarsi alla piramide. ma uscire dalla paura è un primo passo in sé gratificante.
Estremismo - Si acompagna all'indifferenza, etica, estetica, erotica. E' fisiologicamente uno stato inerte, un automatismo. La passione si accompagna alla riflessione: è amore di libertà, in politica e nella vita di relazione.
Estremismo >< Progressismo (libertà)
X
Passione >< Indifferenza (estremismo, sesso)
Eternita - È nel presente.
Nel presente è l'immortalità. Compresa la storia, se vuol'essere immortale. Compreso il futuro, se mai esiste(rà).
Etimologia - Non porta un nessun luogo, se non ad altre etimologie. Come le genealogie, è autoreferente.
Figli - Sono la trasposizione dell'inconsistenza dell'essere nella realtà dell'essere. Non una proiezione, non un rapporto di possesso, ma una realtà, distinta e insieme unita. La certificazione di un'esistenza pluralista - di un'esistenza.
Filosofia - Si può dire la vita una meteora di cui la filosofia non trova le coordinate. È dunque gestualità, un mimo senza soggetto.
Non è una forma di conoscenza. Senza residui si è rintanata nel nominalismo, fra etimologie e genealogie, in un'espoca che annovera guerre mondiali, e totali, olocausti, bombe atomiche, guerre endemiche. Con l' "esistenzialisno" di Heidegger rifiuta del resto il mondo, le tecniche, il governo, e la stessa storia. Ma è il detto che conta, o il dire? E a che fine ricostituire il detto?
Sotto sotto, sempre la filosofia ha rifiutato il mondo. Per una forma surrettizia del dire. Con la mancanza sempre di coraggio, di presenza, di responsabilità (o di libertinismo), e la propensione a dissimulare. Da qui la filosofia che insegna ai greci cosa hanno voluito dire. Ermeneutica come imboscamento.
Storia - Col senno di poi non si fanno errori. Ma neanche la storia esisterebbe.
Se ne è scritta più sul rock-and-roll, da Elvis in poi, che sulla rivoluzione francese. E dunque è inesauribile.
Tempo - Ritorna con la storia. In questo modo l'eternità si realizza, nel tempo.
Verità - Anche quella dei filosofi in definitiva è letteratura. Tra approssimazioni, insufficienze, oscurità, errori, da Platone a sant'Agostino e a San Tommaso, a Kant, Adam Smith, Kierkegaard, Nietzsche e, una volta padroni della chiave, Heidegger, la verità si rivela la qualità della scrittura.
È buona dea, generosa, una sola cosa rifiutando ai suoi adoratori, la certezza.
Si allarga sempre, più si precisa e più si scava, necessitando nuove ricerche. Il desiderio di verità è in realtà un desiderio di ricerca ("l'evoluzione della scienza dissolve sempre più il mito nell'ignoto" è uno dei "Frammenti postumi" di Nietzsche). E in questo si ricompatta: la verità non deprime proprio per essere imprendible.È l'avventura, la deduzion e da ciò che è di ciò che non è.
Vita - Scorre in fretta, ma più che altro è sprecata, tra ozi, rinvii, e depressioni.
Nasce dall'inanimato. Deserta è la natura, la vita vi si forma per reazioni minime. L'uomo rappresenta un salto radicale e un principio opposto alla catena della natura. Non c'è qui di salto diabolico nell'evoluzione dell'agire umano, per la transgenerazione, la clonazione eccetera: ci sono percorsi ciechi e anche distruttivi (razzismo, bomba, totalitarismo), ma è tutto l'agire umano (l'essenza dell'agire umano) che è anti-natura. Se c'è evoluzione, è di due specie.
zeulig@antiit.eu
lunedì 27 luglio 2009
Londra contro l'Italia per Blair
E' la candidatura berlusconiana di Blair alla presidenza della commissione europea all'origine del grido di guerra britannico contro Berlusconi stesso e contro l'Italia. E' questa la convinzione maturata dalla Farnesina, dopo il monitoraggio determinato dalla virulenza e la durata della campagna britannica antitaliana - dal gossip alle banche, alla moralità pubblica, e alla legittimità della presenza dell'Italia negli affari internazionali. Il fenomeno era stato in un primo momento sottovalutato, attribuito alla tecnica dello scandalo scaccia crisi, e la Gran Bretagna ne aveva e ne ha di acute, dalla caduta dei redditi a quella ormai palese della moralità pubblica, per i rimborsi non dovuti, oltre che alla peste suina dopo la mucca pazza. In questa chiave si è pensato che un intervento di Frattini alla Bbc bastasse ad appianare l'onda. Ma la persistenza e l'acutezza dell'antitalianismo ha convinto il nostro ministero degli Esteri che l'animosità ha ragione più stabili.
Si è pensato in un primo momento che la polemica nascesse da un riflesso interno, dal passaggio probabile del paese dopo dodici anni di laburismo ai conservatori: che si attaccasse il governo italiano per indebolire i tories. Ma la violentissima discesa in campo del "Daily Telegraph", giornale conservatore, che fa tabula rasa di Berlusconi e di tutta l'Italia, accomunati in Al Capone, il gangster per eccellenza, ha fatto capire che la campagna è più insidiosa: interna, ma in altro senso, per toccare un nervo più scoperto che non l'alternarsi dei governi. La candidatura di Blair alla presidenza dell'Unione europea sembra in questa chiave la causa vera dell'ira. Blair è considerato un traditore da molti in Gran Bretagna per essersi fatto cattolico. E un opportunista: sono in molti a dire che la conversione è finalizzata alla candidatura europea. Molti più inglesi del resto non vogliono Blair a Bruxelles perché non vogliono l'Europa: la Farnesina è certa di questo. Non si tratta solo di una generica diffidenza verso un esecutivo extranazionale e burocratico - per il quale invece i britannici si sono mostrati fra i più portati rispetto alle altre nazionalità europee. E' un ritorno di fiamma isolazionista, dell'isola che troppo a lungo si è sentita al di fuori, e al di sopra, dell'Europa. Soprattutto nella sua parte inglese, londinese.
Si è pensato in un primo momento che la polemica nascesse da un riflesso interno, dal passaggio probabile del paese dopo dodici anni di laburismo ai conservatori: che si attaccasse il governo italiano per indebolire i tories. Ma la violentissima discesa in campo del "Daily Telegraph", giornale conservatore, che fa tabula rasa di Berlusconi e di tutta l'Italia, accomunati in Al Capone, il gangster per eccellenza, ha fatto capire che la campagna è più insidiosa: interna, ma in altro senso, per toccare un nervo più scoperto che non l'alternarsi dei governi. La candidatura di Blair alla presidenza dell'Unione europea sembra in questa chiave la causa vera dell'ira. Blair è considerato un traditore da molti in Gran Bretagna per essersi fatto cattolico. E un opportunista: sono in molti a dire che la conversione è finalizzata alla candidatura europea. Molti più inglesi del resto non vogliono Blair a Bruxelles perché non vogliono l'Europa: la Farnesina è certa di questo. Non si tratta solo di una generica diffidenza verso un esecutivo extranazionale e burocratico - per il quale invece i britannici si sono mostrati fra i più portati rispetto alle altre nazionalità europee. E' un ritorno di fiamma isolazionista, dell'isola che troppo a lungo si è sentita al di fuori, e al di sopra, dell'Europa. Soprattutto nella sua parte inglese, londinese.
Berlusconi salvato dalle donne?
Se Berlusconi fosse il tipo che l'opposizione dice che sia, un imbroglione, in questa storia si sarebbe divertito un sacco, e ci avrebbe divertiti. Invece si diverte solo la D'Addario, che fa il mestiere, e le donne del mestiere che si fanno moraliste e ricattatrici impunite sono antipatiche. Berlusconi è solo un piccolo borghese lombardo, che tiene al suo decoro, e quindi è indifendibile. E tuttavia...
Berlusconi ha contro gli uomini. Faticano a credere all'ingenuità di un Berlusconi femminista e giovanilista, abbandonato dalla moglie proterva, circuito dagli Scapagnini e gli elisir di vita eterna, che scambia per una donzella una puttana di provincia, che pretende di averlo stretto. Un tasso di coglioneria che fa inorridire chi aveva puntato su di lui ruspante, scaltro, vincente. E tuttavia anche loro lo compatiscono: poveretto, con quella moglie e i suoi preti crudeli – preti e puttane non piacciono, come le mogli giustiziere, in Italia, non solo alle donne.
Le donne invece gli danno ragione, e non solo per antipatia verso la donna: se si è ridotto a scopare la D'Addario, puttana quarantenne e ricattarice, e anzi a corteggiarla, con poesiole, telefonatine e tombe false, dev'essere ridotto proprio male. Le donne in genere non amano le altre donne, sicuramente non la medea di Macherio, con le sue amiche del martedì pomeriggio ricche e sciocche. E poi, ha ragione Toni Negri, i perseguitati sono spesso simpatici, i persecutori sempre antipatici.
E tuttavia, quindi, potremmo non liberarcene, le donne sono più degli uomini. E poi, a un certo punto, bisognerà pure fare scudo contro la perfida Albione, che mai non smette le sue insidiose crociate, antieuropee, anticattoliche, antitaliane. Da sempre invidiando all'Italia il Mediterraneo, la lingua, il diritto, e le storie. A Londra dobbiamo i casini che ingombrano l'area, la Palestina, Cipro, la Jugoslavia, e bisognerà pure un giorno difendersi. Ci hanno tentato con la Grecia, e non cessano di tentarci con l'Italia, dopo aver sottomesso, questione di obbedienze, il Portogallo e la Spagna.
Berlusconi ha contro gli uomini. Faticano a credere all'ingenuità di un Berlusconi femminista e giovanilista, abbandonato dalla moglie proterva, circuito dagli Scapagnini e gli elisir di vita eterna, che scambia per una donzella una puttana di provincia, che pretende di averlo stretto. Un tasso di coglioneria che fa inorridire chi aveva puntato su di lui ruspante, scaltro, vincente. E tuttavia anche loro lo compatiscono: poveretto, con quella moglie e i suoi preti crudeli – preti e puttane non piacciono, come le mogli giustiziere, in Italia, non solo alle donne.
Le donne invece gli danno ragione, e non solo per antipatia verso la donna: se si è ridotto a scopare la D'Addario, puttana quarantenne e ricattarice, e anzi a corteggiarla, con poesiole, telefonatine e tombe false, dev'essere ridotto proprio male. Le donne in genere non amano le altre donne, sicuramente non la medea di Macherio, con le sue amiche del martedì pomeriggio ricche e sciocche. E poi, ha ragione Toni Negri, i perseguitati sono spesso simpatici, i persecutori sempre antipatici.
E tuttavia, quindi, potremmo non liberarcene, le donne sono più degli uomini. E poi, a un certo punto, bisognerà pure fare scudo contro la perfida Albione, che mai non smette le sue insidiose crociate, antieuropee, anticattoliche, antitaliane. Da sempre invidiando all'Italia il Mediterraneo, la lingua, il diritto, e le storie. A Londra dobbiamo i casini che ingombrano l'area, la Palestina, Cipro, la Jugoslavia, e bisognerà pure un giorno difendersi. Ci hanno tentato con la Grecia, e non cessano di tentarci con l'Italia, dopo aver sottomesso, questione di obbedienze, il Portogallo e la Spagna.
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