Quindi Pasolini era completamente “scarico” di erotismo, seppure ne era ossessionato prima della morte. La sua passione è di testa: numeri, geometrie, filologie (il belliano “fregare”, le decostruzioni, i calchi, il Sade ritornante del film). Passionalità infantile, che spiega la sua forsennata innocenza. Ma con un sospetto di calcolo: calcolo infantile (imbronciato), scoperto.
Grande creatore d’immagini: è questa la sua cifra poetica. Con le luci (colori) e i luoghi più vivi dei più sorprendenti personaggi. Sua è anche la “devozione alla morte” che Furio Jesi rileva di Pavese in “Letteratura e mito”. Pasolini è proprio questo, un mitologo. Di se stesso anzitutto, ogni mito è trasposizione, e vuole un io molto forte: “Petrolio” sarebbe stato un gigantesco monumento a Pasolini.
Pier Paolo Pasolini, Petrolio
sabato 19 dicembre 2009
Gli affari di Berlusconi, l'onore del "Paìs"
È allucinante, se non fosse ridicolo, il salvataggio del “Paìs”, il giornale spagnolo, da parte di Berlusconi. Il giornale che più si è dato dare, con quelli inglesi di Murdoch, per “uccidere” Berlusconi nella lunga estate dei veleni. Ora, d’amore e d’accodo, Berlusconi salva il “Paìs” dai debiti comprandogli delle televisioni fallite per 252 milioni. E il “Paìs” diventa socio di Berlusconi in Spagna. Tanto per l’etica degli affari, e per l’etica, in Italia e in Spagna: senza vergogna?
Ancora si ricordano le trepide interviste del “Paìs” alla signora D’Addario, per iscritto e in video, due ore di conversazione, due giornalisti mobilitati e una troppe, più i diritti dell’intervistata. Berlusconi avrà pagato anche per questa spesuccia? Due ore sono un libro. Ma non c’è da farsi problemi: salvati i conti, e le sedie dei padroni-manager, il giornale sarà libero di tornare sui denti rotti e le altre debolezze d Berlusconi, c’è già il precedente di “Repubblica”, che fu salvata da Berlusconi quando trent’anni fa salvò Mondadori, comprando la Quattro, e quindi il giornale. L’onore nel giornalismo è sempre salvo, il problema è che alcuni giornali pretendono di farci la morale.
Berlusconi con un esborso minimo si posiziona al primo posto stabile fra i veicoli di pubblicità in Spagna. E diventa consocio di Telefònica, con la quale ha un contatto, per ora minimo ma non si sa mai, in Telecom Italia, che l’operatore spagnolo controlla – sempre più di malavoglia. Berlusconi in Spagna arriva, con le tv del “Paìs”, al 40 per cento del mercato pubblicitario televisivo. E questo in virtù di una legge del governo Zapatero che bandisce dal 2010 la pubblicità sulla tv pubblica. Un governo socialista.
Ancora si ricordano le trepide interviste del “Paìs” alla signora D’Addario, per iscritto e in video, due ore di conversazione, due giornalisti mobilitati e una troppe, più i diritti dell’intervistata. Berlusconi avrà pagato anche per questa spesuccia? Due ore sono un libro. Ma non c’è da farsi problemi: salvati i conti, e le sedie dei padroni-manager, il giornale sarà libero di tornare sui denti rotti e le altre debolezze d Berlusconi, c’è già il precedente di “Repubblica”, che fu salvata da Berlusconi quando trent’anni fa salvò Mondadori, comprando la Quattro, e quindi il giornale. L’onore nel giornalismo è sempre salvo, il problema è che alcuni giornali pretendono di farci la morale.
Berlusconi con un esborso minimo si posiziona al primo posto stabile fra i veicoli di pubblicità in Spagna. E diventa consocio di Telefònica, con la quale ha un contatto, per ora minimo ma non si sa mai, in Telecom Italia, che l’operatore spagnolo controlla – sempre più di malavoglia. Berlusconi in Spagna arriva, con le tv del “Paìs”, al 40 per cento del mercato pubblicitario televisivo. E questo in virtù di una legge del governo Zapatero che bandisce dal 2010 la pubblicità sulla tv pubblica. Un governo socialista.
mercoledì 16 dicembre 2009
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (50)
Giuseppe Leuzzi
In Francia la servitù della gleba fu abolita nel 1779, in Austria, portata a modello di civile amministrazione, due anni dopo (ma in Ungheria solo nel 1848). Le leggi non contano molto per la “società civile”, la convivenza sì, l’interesse compartecipato.
Il Corso, lo struscio, la passeggiata serale, è fenomeno comune, “a Sud di differenti paralleli di latitudine, dal Portogallo alla Grande Muraglia”. Patrick Leigh Fermor, “Between the Woods and the Water”, 62.
Ib. 36: Da Carlisle al mar Nero i legionari romani di frontiera avevano sempre con sé un bassorilievo di Mitra dal berretto frigio, che sgozza con la spada un toro.
La Magna Grecia viene prima della colonizzazione. Era nota e frequentata dai greci prima delle prime colonizzazioni stabili, attorno al 700 a.C., a Siracusa, Napoli, Crotone, Taranto, Locri. I resti micenei lo documentano, la diffusione della simbologia del Toro, la toponomastica.
Calabria
A 33 anni Dumas lancia un prestito per “La Méditerranée et ses cités”, un progetto di cui presenta il 10 ottobre 1834 il prospetto su giornali e riviste. Riesce a ottenere il patrocinio del governo. E due mesi dopo parte. Ha con sé le commendatizie del presidente del consiglio e dei ministri della Marina e degli Affari Esteri, ma non gli artisti e i poeti promessi dal prospetto. Ha con sé solo il pittore Jadin, col suo gatto Mylord, e un truffatore, Jules Lecomte, che si fa passare per de Musset, e già a Marsiglia ha affondato la spedizione sotto i debiti. Per il discredito Dumas perde anche i finanziamenti governativi. Lancia allora una società per azioni, col proposito di raccogliere centomila franchi. L’esito non è noto: solo si sa che Victor Hugo ha sottoscritto 250 franchi, Nerval mille, e che il Lloyd francese ha dato il patrocinio. Quanto basta comunque perché Dumas parta, il 15 giugno1835, in carrozza. Fa tappa a Firenze e a Roma. Qui l’ambasciatore del re di Napoli, Ludorff, gli rifiuta il visto d’ingresso. Dumas si fa fare allora un passaporto falso da Ingres, che dirigeva a Roma l’Accademia francese, a nome di Joseph-Benoît Guichard. A Napoli s’imbarca sulla speronara Santa Maria di Piedigrotta, del capitano Giuseppe Arena, della Pace di Messina. Con la cantante Caroline Ungher e il di lei fidanzato Henri de Ruolz Monchal, che presto soffrirà il mal di mare e si ritirerà dalla competizione. Sulla speronara Dumas fa il giro della Sicilia, incontrando qua e là la notte Caroline, che intanto è andata a cantare la “Norma” a Palermo.
Lo sbarco in Calabria, contro burrasca, bonaccia e correnti, sarà specialmente benedetto da Dumas. Ma il viaggio lungo la costa calabrese, da Villa San Giovanni a San Lucido (Cosenza), sarà un seguito di sfide e pericoli. Così perlomeno lo racconterà Dumas sette anni dopo, scrivendone in volontario esilio a Firenze, in una camera sulla via Rondinella, il progetto “La Mediterranée” recuperando in tre titoli che vende via via a puntate ai migliori giornali di Parigi e poi in volume, separatamente e, in due tomi, col titolo complessivo “Le capitaine Arena”: “Moeurs et coûtumes siciliennes”, “Excursions aux îles éoliennes”, e “Voyage en Calabre”.
In quest’ultimo viaggio Dumas, al quale “la prudenza del serpente” era stata raccomandata per la Calabria, non va oltre le aspettative. Con non memorabili: “Tutti streghe e stregoni in Calabria”, “Per quanto calabresi, sono uomini”, e “Questi fannulloni di calabresi”. Dipingendo tra l’altro una società borbonica che oggi si direbbe democratica. Si può viaggiare dunque solo per scrivere libri.
Rossano ha molti titoli di nobiltà: due papi, un antipapa, sette monasteri, le chiese della Panaghìa, di san Marco evangelista, di Santa Maria del Pàtire, nascite illustri, san Nilo eccetera. Il pensionato che sulla piazza sopra la Cattedrale discute con gli amici la politica nazionale non sa del Codice Purpureo, dove si possa trovare, dov’è il museo diocesano che lo ospita – è sotto la cattedrale.
C’è una Madonna di Reggio, detta anche l’Africana, a Vernazza, nelle Cinque Terre. In un santuario dello stesso nome, che risale al Mille. Ma nulla si dice delle origini.
I calabresi che mangiano un pane di paglia era topos ricorrente un secolo fa. In De Amicis, “Sull’Oceano”, pp. 45-47-59. In Corrado Alvario, conferenza al Lyceum di Firenze, 1929.
.
In “Etruscan places” D.H.Lawrence ricorda a Cerveteri “il vino nero della Calabria” – di malumore, per un pasto insapore.
Calabraise e braise fanno tutt’uno”, dice Paul Louis Courier, ufficiale napoleonico, nelle “Lettere di un polemista”.
Le donne sono rapidissime, fulminee, gli uomini torpidi, e quando decidono restano indecisi. Se siamo stati popolati dalle locresi, donne libere che si unirono con gli schiavi, si spiega: è un fatto di dna.
Bernardino Telesio Bacone tenne in considerazione per la sua filosofia della scienza “più seria che celebre” ("Cogitata et visa”, XIII).
Pochi santi e moltissime Madonne. Molte sorgenti d’acqua, anche, elemento femminile della fisica naturale (dei quattro elementi). Il culto di Persefone persiste, se non vi è nato, della Grande Madre, e del matriarcato ad esso collegato di Locri. Non solo a Solano, Bagnara,e altre isole matriarcali, ma nell’insieme dei comportamenti culturali.
Secondo Gautier, della sotadica “Lettera alla presidentessa”, la Calabria è “quella regione che dà lo stivale in culo alla Sicilia”.
Reggio si pensa greca, poco sotto Atene, e parla latino, ciceroniano – come immagina che Cicerone parlasse. Ma non si può ridere. È la debolezza del Sud, il ritardo culturale. Non rispetto alla contemporaneità, cui anzi il meridionale, in quanto provinciale e per di più sradicato, è disponibile più di altri, è l’assenza o il rifiuto della propria storia o specificità. Che è la conseguenza del Risorgimento, di un’unità intesa come annessione, cui il meridionale più di altri fu pronto – sempre per la disponibilità alla modernità. La lotta al Borbone si faceva con Inghilterra, Francia e Piemonte, anche fuori dalle logge massoniche, nel nome della libertà e del futuro, e quindi l’annessione è stata un esercizio di libertà, nella specie della servitù volontaria. Ma fu – è – in realtà una colonizzazione: il dispossessamento attraverso la libertà, che passa per la negazione della personalità del colonizzato, per l’obliterazione o la vilificazione del suo modo d’essere – il colonialismo s’immagina truce, con la forca e il forcone, ma no, viene nel nome della libertà e del progresso
Tucidide, “La guerra del Peloponneso”, libro secondo, pp. 77 segg., stabilisce che i Siculi abitavano la Calabria. Che fu chiamata Italia da Italo, un re dei siculi. Pressati dagli Opici, i Siculi passarono lo Stretto e sconfissero i Sicani. Questo trecento anni prima che nell’isola, che si chiamava Trinacria ed era stata ribattezzata Sicania, approdassero i Greci. Ma trovandovi già gli Elimi, che erano ex Troiani, stabiliti a Segesta e Erice.
Zancle fu fondata dai pirati calcidesi di Cuma, nel paese degli Opici (campani): il nome però le fu dato dai Siculi, che chiamavano zancle la falce. I Siculi furono cacciati da Messina dai Samii, in fuga dai Persiani. I Samii furono a loro volta cacciati da Anassilao, tiranno di Reggio, che dà alla città il nome di Messana, in ricordo della sua patria di origine.
Non è una storia semplice, e gli effetti si vedono. I reggini sono calcidesi, vengono quindi alla penisola calcidica, nell’Egeo. Oggi sarebbero mezzi turchi.
È tutta a rischio sismico elevato. Nella vecchi carta di terremoti e nella nuova. Per questo i calabresi sono nervosi, anche se non sanno il perché.
Calabria in epoca romana era il Salento. Si sono invertiti i nomi, ma condividono le Madonne della Purità, la cadenza della parlata, il linguaggio asintattico , al limitare delle aree grecaniche propriamente dette. In tante parole che fanno sentire a casa come in Grecia: spasa per vassoio di offerta, ruga per quartiere, tigana per scodella, torre per villaggio, e ovunque i vopi.
Il calabrese va per antifrasi, la costruzione sintattica, o la semplice appoggiatura della voce, per cui si intende, e si dice, il contrario di ciò che “si dice”. Con tono naturale. Il calabrese buono – intelligente cioè e onesto – che vede la realtà scorrere in modo anomalo, la mima sorpreso. Sprezzante anche, ma profondamente deluso: il crimine, la menzogna, la stupidità lo urtano in quanto essere razionale, come negazioni della logica. È l’umorismo di Lionello o Ezio Luzzi, understated più spesso che espressivo – Lionello aspetta il nemico alla sua tagliola, Luzzi lo aggredisce.
Andare a Roma, e tornare. Nello stesso giorno. Far marciare il frantoio per sedici ore di seguito. Sei, sette giorni di seguito. Elevare la casa di un piano in una notte: mura perimetrali e sottotetto. Sono casi di normale follia in Calabria: la capacità di applicarsi non mancherebbe, ma il lavoro non è ritenuto onorevole.
Anziane analfabete in Calabria pagano mille euro al mese a giovani, belle, istruite polacche, rumene o ucraine per essere accudite - non da ora, lo facevano in valuta forte, marchi o dollari, prima dell’euro: le vecchie analfabete, che solo conoscono il dialetto, sapevano procurarsela. Non c’è verso per una donna calabrese disoccupata, allora e oggi, di assumersi questo reddito.
leuzzi@antiit.eu
In Francia la servitù della gleba fu abolita nel 1779, in Austria, portata a modello di civile amministrazione, due anni dopo (ma in Ungheria solo nel 1848). Le leggi non contano molto per la “società civile”, la convivenza sì, l’interesse compartecipato.
Il Corso, lo struscio, la passeggiata serale, è fenomeno comune, “a Sud di differenti paralleli di latitudine, dal Portogallo alla Grande Muraglia”. Patrick Leigh Fermor, “Between the Woods and the Water”, 62.
Ib. 36: Da Carlisle al mar Nero i legionari romani di frontiera avevano sempre con sé un bassorilievo di Mitra dal berretto frigio, che sgozza con la spada un toro.
La Magna Grecia viene prima della colonizzazione. Era nota e frequentata dai greci prima delle prime colonizzazioni stabili, attorno al 700 a.C., a Siracusa, Napoli, Crotone, Taranto, Locri. I resti micenei lo documentano, la diffusione della simbologia del Toro, la toponomastica.
Calabria
A 33 anni Dumas lancia un prestito per “La Méditerranée et ses cités”, un progetto di cui presenta il 10 ottobre 1834 il prospetto su giornali e riviste. Riesce a ottenere il patrocinio del governo. E due mesi dopo parte. Ha con sé le commendatizie del presidente del consiglio e dei ministri della Marina e degli Affari Esteri, ma non gli artisti e i poeti promessi dal prospetto. Ha con sé solo il pittore Jadin, col suo gatto Mylord, e un truffatore, Jules Lecomte, che si fa passare per de Musset, e già a Marsiglia ha affondato la spedizione sotto i debiti. Per il discredito Dumas perde anche i finanziamenti governativi. Lancia allora una società per azioni, col proposito di raccogliere centomila franchi. L’esito non è noto: solo si sa che Victor Hugo ha sottoscritto 250 franchi, Nerval mille, e che il Lloyd francese ha dato il patrocinio. Quanto basta comunque perché Dumas parta, il 15 giugno1835, in carrozza. Fa tappa a Firenze e a Roma. Qui l’ambasciatore del re di Napoli, Ludorff, gli rifiuta il visto d’ingresso. Dumas si fa fare allora un passaporto falso da Ingres, che dirigeva a Roma l’Accademia francese, a nome di Joseph-Benoît Guichard. A Napoli s’imbarca sulla speronara Santa Maria di Piedigrotta, del capitano Giuseppe Arena, della Pace di Messina. Con la cantante Caroline Ungher e il di lei fidanzato Henri de Ruolz Monchal, che presto soffrirà il mal di mare e si ritirerà dalla competizione. Sulla speronara Dumas fa il giro della Sicilia, incontrando qua e là la notte Caroline, che intanto è andata a cantare la “Norma” a Palermo.
Lo sbarco in Calabria, contro burrasca, bonaccia e correnti, sarà specialmente benedetto da Dumas. Ma il viaggio lungo la costa calabrese, da Villa San Giovanni a San Lucido (Cosenza), sarà un seguito di sfide e pericoli. Così perlomeno lo racconterà Dumas sette anni dopo, scrivendone in volontario esilio a Firenze, in una camera sulla via Rondinella, il progetto “La Mediterranée” recuperando in tre titoli che vende via via a puntate ai migliori giornali di Parigi e poi in volume, separatamente e, in due tomi, col titolo complessivo “Le capitaine Arena”: “Moeurs et coûtumes siciliennes”, “Excursions aux îles éoliennes”, e “Voyage en Calabre”.
In quest’ultimo viaggio Dumas, al quale “la prudenza del serpente” era stata raccomandata per la Calabria, non va oltre le aspettative. Con non memorabili: “Tutti streghe e stregoni in Calabria”, “Per quanto calabresi, sono uomini”, e “Questi fannulloni di calabresi”. Dipingendo tra l’altro una società borbonica che oggi si direbbe democratica. Si può viaggiare dunque solo per scrivere libri.
Rossano ha molti titoli di nobiltà: due papi, un antipapa, sette monasteri, le chiese della Panaghìa, di san Marco evangelista, di Santa Maria del Pàtire, nascite illustri, san Nilo eccetera. Il pensionato che sulla piazza sopra la Cattedrale discute con gli amici la politica nazionale non sa del Codice Purpureo, dove si possa trovare, dov’è il museo diocesano che lo ospita – è sotto la cattedrale.
C’è una Madonna di Reggio, detta anche l’Africana, a Vernazza, nelle Cinque Terre. In un santuario dello stesso nome, che risale al Mille. Ma nulla si dice delle origini.
I calabresi che mangiano un pane di paglia era topos ricorrente un secolo fa. In De Amicis, “Sull’Oceano”, pp. 45-47-59. In Corrado Alvario, conferenza al Lyceum di Firenze, 1929.
.
In “Etruscan places” D.H.Lawrence ricorda a Cerveteri “il vino nero della Calabria” – di malumore, per un pasto insapore.
Calabraise e braise fanno tutt’uno”, dice Paul Louis Courier, ufficiale napoleonico, nelle “Lettere di un polemista”.
Le donne sono rapidissime, fulminee, gli uomini torpidi, e quando decidono restano indecisi. Se siamo stati popolati dalle locresi, donne libere che si unirono con gli schiavi, si spiega: è un fatto di dna.
Bernardino Telesio Bacone tenne in considerazione per la sua filosofia della scienza “più seria che celebre” ("Cogitata et visa”, XIII).
Pochi santi e moltissime Madonne. Molte sorgenti d’acqua, anche, elemento femminile della fisica naturale (dei quattro elementi). Il culto di Persefone persiste, se non vi è nato, della Grande Madre, e del matriarcato ad esso collegato di Locri. Non solo a Solano, Bagnara,e altre isole matriarcali, ma nell’insieme dei comportamenti culturali.
Secondo Gautier, della sotadica “Lettera alla presidentessa”, la Calabria è “quella regione che dà lo stivale in culo alla Sicilia”.
Reggio si pensa greca, poco sotto Atene, e parla latino, ciceroniano – come immagina che Cicerone parlasse. Ma non si può ridere. È la debolezza del Sud, il ritardo culturale. Non rispetto alla contemporaneità, cui anzi il meridionale, in quanto provinciale e per di più sradicato, è disponibile più di altri, è l’assenza o il rifiuto della propria storia o specificità. Che è la conseguenza del Risorgimento, di un’unità intesa come annessione, cui il meridionale più di altri fu pronto – sempre per la disponibilità alla modernità. La lotta al Borbone si faceva con Inghilterra, Francia e Piemonte, anche fuori dalle logge massoniche, nel nome della libertà e del futuro, e quindi l’annessione è stata un esercizio di libertà, nella specie della servitù volontaria. Ma fu – è – in realtà una colonizzazione: il dispossessamento attraverso la libertà, che passa per la negazione della personalità del colonizzato, per l’obliterazione o la vilificazione del suo modo d’essere – il colonialismo s’immagina truce, con la forca e il forcone, ma no, viene nel nome della libertà e del progresso
Tucidide, “La guerra del Peloponneso”, libro secondo, pp. 77 segg., stabilisce che i Siculi abitavano la Calabria. Che fu chiamata Italia da Italo, un re dei siculi. Pressati dagli Opici, i Siculi passarono lo Stretto e sconfissero i Sicani. Questo trecento anni prima che nell’isola, che si chiamava Trinacria ed era stata ribattezzata Sicania, approdassero i Greci. Ma trovandovi già gli Elimi, che erano ex Troiani, stabiliti a Segesta e Erice.
Zancle fu fondata dai pirati calcidesi di Cuma, nel paese degli Opici (campani): il nome però le fu dato dai Siculi, che chiamavano zancle la falce. I Siculi furono cacciati da Messina dai Samii, in fuga dai Persiani. I Samii furono a loro volta cacciati da Anassilao, tiranno di Reggio, che dà alla città il nome di Messana, in ricordo della sua patria di origine.
Non è una storia semplice, e gli effetti si vedono. I reggini sono calcidesi, vengono quindi alla penisola calcidica, nell’Egeo. Oggi sarebbero mezzi turchi.
È tutta a rischio sismico elevato. Nella vecchi carta di terremoti e nella nuova. Per questo i calabresi sono nervosi, anche se non sanno il perché.
Calabria in epoca romana era il Salento. Si sono invertiti i nomi, ma condividono le Madonne della Purità, la cadenza della parlata, il linguaggio asintattico , al limitare delle aree grecaniche propriamente dette. In tante parole che fanno sentire a casa come in Grecia: spasa per vassoio di offerta, ruga per quartiere, tigana per scodella, torre per villaggio, e ovunque i vopi.
Il calabrese va per antifrasi, la costruzione sintattica, o la semplice appoggiatura della voce, per cui si intende, e si dice, il contrario di ciò che “si dice”. Con tono naturale. Il calabrese buono – intelligente cioè e onesto – che vede la realtà scorrere in modo anomalo, la mima sorpreso. Sprezzante anche, ma profondamente deluso: il crimine, la menzogna, la stupidità lo urtano in quanto essere razionale, come negazioni della logica. È l’umorismo di Lionello o Ezio Luzzi, understated più spesso che espressivo – Lionello aspetta il nemico alla sua tagliola, Luzzi lo aggredisce.
Andare a Roma, e tornare. Nello stesso giorno. Far marciare il frantoio per sedici ore di seguito. Sei, sette giorni di seguito. Elevare la casa di un piano in una notte: mura perimetrali e sottotetto. Sono casi di normale follia in Calabria: la capacità di applicarsi non mancherebbe, ma il lavoro non è ritenuto onorevole.
Anziane analfabete in Calabria pagano mille euro al mese a giovani, belle, istruite polacche, rumene o ucraine per essere accudite - non da ora, lo facevano in valuta forte, marchi o dollari, prima dell’euro: le vecchie analfabete, che solo conoscono il dialetto, sapevano procurarsela. Non c’è verso per una donna calabrese disoccupata, allora e oggi, di assumersi questo reddito.
leuzzi@antiit.eu
Ombre - 37
Mourinho vuole dire che nella partita Juventus-Inter gli sono state fischiate troppe punizioni contro. Ma non lo dice, accenna. Allude. E dunque la mafia ha contagiato l’italiano? Sembrerebbe: i giornalisti spiegano solleciti che Mourinho non può dire di più, altrimenti verrà censurato o punito dalle autorità calcistiche, ma proprio questo è mafia, il qui lo dico e qui lo nego, e l’omertà dei giornalisti.
C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta insensibilità.
Seduta accanto alle regine e principesse scandinave, Michelle Obama potrebbe essere una di esse, non fosse per il colore: stessa robusta ossatura, stessa mascella forte, stesso abbigliamento un po’ come viene. Sono sedute anche alla stessa maniera, da educande impacciate sulle sedie troppo piccole.
Premio Nobel per la Pace, Obama fa a Oslo il discorso della guerra. Partendo dalla premessa che la guerra giusta o umanitaria è discutibile. È più onesto dei suoi giudici.
Alla conferenza dei grandi della terra a Copenhagen, Sarkozy si copre la bocca con la mano per parlare con Brown. Ridicolo, rifare Totti in campo. Privacy? Diritto all’informazione? È ludibrio, il disfacimento di ogni autorevolezza, insieme con la riservatezza. In quel terribile egualizzatore che è il pettegolezzo: tutti merde.
Il boss mafioso Gerlando Alberti, condannato all’ergastolo per aver fatto uccidere, tra gli altri, una ragazza diciassettenne, è stato messo in libertà dopo pochi di carcere. Non è evaso, ha avuto la libertà dai giudici. Che a suo tempo avevano anche dimenticato di farlo carcerare, dopo averlo condannato.
La ragazza era stata uccisa perché, stiratrice in una lavanderia, aveva trovato nella tasca di una giacca di Alberti un’agenda, e forse l’aveva letta.
Il giudice Claudio Dall’Acqua, e che giudice, presidente di Corte d’assise d’appello, seppure di Palermo, si umilia a farsi rimbeccare da un mafioso: “Perché dovevo ricorrere ai politici, non ero stato condannato”. In un processo a cui s’è prestato a dare un rilievo abnorme, spostando a grandissimi costi la sua Corte da Palermo a Torino. Non sarebbe stato dovere del Pubblico ministro sentire prima il suo inattendibile teste? Perché il giudice Dall’Acqua non ammonisce il Pubblico ministero? Perché si umilia?
La Spagna è a tutti gli effetti fallita, ma non si può dire. Poggia su una bolla immobiliare che da quasi due anni è una partita di giro senza una domanda e senza prospettive, ma banche che sono piene di crediti inesigibili vengono date per solide. Come le sue super squadre di calcio, che hanno tanti debiti da far rabbrividire (gestite da immobiliaristi…). Lo spirito nazionale è forte: ma è un asset o un handicap?
Si fa una festa nel reatino dell’olio d’oliva. A cui partecipano specialisti e scienziati del settore. Si possono così ascoltare analisi spassionate del tipo: “L’olio spagnolo è connotato all’olfatto da inconfondibile piscio di gatto”. Vomitevole allora? No, al contrario, dev’essere connotazione di pregio, poiché l’extra vergine spagnolo si vende ad almeno otto euro al kg, quasi il doppio che l’equivalente italiano – non si vende in Italia, ma nel Centro Europa sì, così pare. E il perché non è un mistero: è il marketing, che la puzza fa diventare un sapore.
C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta insensibilità.
Seduta accanto alle regine e principesse scandinave, Michelle Obama potrebbe essere una di esse, non fosse per il colore: stessa robusta ossatura, stessa mascella forte, stesso abbigliamento un po’ come viene. Sono sedute anche alla stessa maniera, da educande impacciate sulle sedie troppo piccole.
Premio Nobel per la Pace, Obama fa a Oslo il discorso della guerra. Partendo dalla premessa che la guerra giusta o umanitaria è discutibile. È più onesto dei suoi giudici.
Alla conferenza dei grandi della terra a Copenhagen, Sarkozy si copre la bocca con la mano per parlare con Brown. Ridicolo, rifare Totti in campo. Privacy? Diritto all’informazione? È ludibrio, il disfacimento di ogni autorevolezza, insieme con la riservatezza. In quel terribile egualizzatore che è il pettegolezzo: tutti merde.
Il boss mafioso Gerlando Alberti, condannato all’ergastolo per aver fatto uccidere, tra gli altri, una ragazza diciassettenne, è stato messo in libertà dopo pochi di carcere. Non è evaso, ha avuto la libertà dai giudici. Che a suo tempo avevano anche dimenticato di farlo carcerare, dopo averlo condannato.
La ragazza era stata uccisa perché, stiratrice in una lavanderia, aveva trovato nella tasca di una giacca di Alberti un’agenda, e forse l’aveva letta.
Il giudice Claudio Dall’Acqua, e che giudice, presidente di Corte d’assise d’appello, seppure di Palermo, si umilia a farsi rimbeccare da un mafioso: “Perché dovevo ricorrere ai politici, non ero stato condannato”. In un processo a cui s’è prestato a dare un rilievo abnorme, spostando a grandissimi costi la sua Corte da Palermo a Torino. Non sarebbe stato dovere del Pubblico ministro sentire prima il suo inattendibile teste? Perché il giudice Dall’Acqua non ammonisce il Pubblico ministero? Perché si umilia?
La Spagna è a tutti gli effetti fallita, ma non si può dire. Poggia su una bolla immobiliare che da quasi due anni è una partita di giro senza una domanda e senza prospettive, ma banche che sono piene di crediti inesigibili vengono date per solide. Come le sue super squadre di calcio, che hanno tanti debiti da far rabbrividire (gestite da immobiliaristi…). Lo spirito nazionale è forte: ma è un asset o un handicap?
Si fa una festa nel reatino dell’olio d’oliva. A cui partecipano specialisti e scienziati del settore. Si possono così ascoltare analisi spassionate del tipo: “L’olio spagnolo è connotato all’olfatto da inconfondibile piscio di gatto”. Vomitevole allora? No, al contrario, dev’essere connotazione di pregio, poiché l’extra vergine spagnolo si vende ad almeno otto euro al kg, quasi il doppio che l’equivalente italiano – non si vende in Italia, ma nel Centro Europa sì, così pare. E il perché non è un mistero: è il marketing, che la puzza fa diventare un sapore.
martedì 15 dicembre 2009
Se liberale è autoritario
Dell’attentato a Berlusconi il “Guardian” se la ride: “Saluti da Milano”, titola, “un colpo spedisce Berlusconi all’ospedale”. Non è solo, e non è importante, non più. Ma il giornale di Manchester è stato, e si vuole, un baluardo liberale in Gran Bretagna. Una lettura per questo obbligata, a lungo. Fino al luglio del 1996, quando pubblicò una lettera di Orwell a Celia Kirwan, con una lista di scrittori e giornalisti da contattare per una campagna antistaliniana, e la proposta di una lista di scrittori e giornalisti da evitare, “criptocomunisti, compagni di strada o simpatizzanti, su cui non si può contare per una tale propaganda”. Tanto bastò al giornale liberale per dire Orwell al soldo dei servizi segreti. Tanto più che Celia Kirwan era cognata di Koestler, e quindi, lasciava intendere il “Guardian”, essa stessa nella manica dei servizi. Tacendo ciò che il giornale stesso sapeva: cha la Kirwan lavorava per la BBC, e che la BBC aveva o stava montando un servizio radio per l’Est Europa.
Nulla di “comunista” evidentemente in questo giornale, nel 1996 non ce n’era motivo, e a maggior ragione ora. Ma nulla nemmeno di liberale, in senso proprio. Se non della rovina del liberalismo, in Gran Bretagna come in Italia, preda dei corvi pieni di sé di ogni bordo. O, a voler essere seriosi, di un illiberalismo che è la deriva autoritaria del liberalismo quando è pieno di se stesso: che è il nucleo ancora vivo dell’orwellismo, nell’analisi di Jean-Michel Michéa. Dell’autoritarismo di ogni ideologia slegata dalla “decenza naturale” del lavoratore, dalla “società decente”. Nel giornalismo si chiama supponenza e pregiudizio, ma la sua natura è sempre violenta e totalitaria.
Questa natura ridicolmente conferma l’appaiamento con la reazione della Bindi, di Franceschini e altri democristiani professi. Il “Guardian” probabilmente sarebbe sorpreso di pensare e parlare come dei sacrestani, ma una differenza non c’è. È la stessa mentalità poco positiva e molto pregiudiziale che, ora che contro i totalitarismi il mondo è vaccinato, servirà probabilmente ad andare in paradiso, chissà.
Nulla di “comunista” evidentemente in questo giornale, nel 1996 non ce n’era motivo, e a maggior ragione ora. Ma nulla nemmeno di liberale, in senso proprio. Se non della rovina del liberalismo, in Gran Bretagna come in Italia, preda dei corvi pieni di sé di ogni bordo. O, a voler essere seriosi, di un illiberalismo che è la deriva autoritaria del liberalismo quando è pieno di se stesso: che è il nucleo ancora vivo dell’orwellismo, nell’analisi di Jean-Michel Michéa. Dell’autoritarismo di ogni ideologia slegata dalla “decenza naturale” del lavoratore, dalla “società decente”. Nel giornalismo si chiama supponenza e pregiudizio, ma la sua natura è sempre violenta e totalitaria.
Questa natura ridicolmente conferma l’appaiamento con la reazione della Bindi, di Franceschini e altri democristiani professi. Il “Guardian” probabilmente sarebbe sorpreso di pensare e parlare come dei sacrestani, ma una differenza non c’è. È la stessa mentalità poco positiva e molto pregiudiziale che, ora che contro i totalitarismi il mondo è vaccinato, servirà probabilmente ad andare in paradiso, chissà.
Secondi pensieri (34)
zeulig
Città – Quell’ombra che gli antichi prediligevano nel’edilizia urbana “era rifugio ai cupi soltanto, o non più ancora alle anime?” (B.Croce, “Storie e leggende napoletane”, 17). La città come antro. Un rifugio anonimo, un viluppo di pieghe nelle quali l’uomo si appiattisce nascondendosi perfettamente. Ecco perché la visibilità è difficile nelle città, la visibilità umana: è difficile mettere a fuoco, difficile ricordare, difficile significare. Ecco donde viene l’inaridimento dell’uomo urbano: perché è venuto in città per attaccarsi, con nervi e articolazioni, a un labirinto di pietre, strettamente, fino a farsene camaleonte, dello stesso grigio colore della pietra. Quale altro animo può proteggere l’ombra urbana, se non quello di diminuirsi, sottrarsi, camuffarsi, cancellarsi?
Dio – Esiste solo per la ragione. Alla fede si presenta ostico: dovrebbe essere un signor Dio, onnipotente, onnisciente, di ogni virtù e ogni bontà. Ma è duro da amare, o anche soltanto da obbedire, chi ti fa soffrire – Gesù non lo soffriva. Razionalmente, invece, c’è solo da aspettare.
Avrebbe creato il mondo per stizza? Se siamo figli anomali di Dio, non si viene a capo di nulla, a meno di bestemmiare. Si torna alla natura unica di Dio, e all’opposizione fra Dio e mondo, e noi siamo la parte brutta.
La storia del peccato originale è la meno convincente: Non ha senso: prova? sfida? ribellione? L’opposizione fra Dio e natura dev’essere anteriore, altrimenti non c’è sfida possibile né provocazione. Ma allora la natura sarebbe il diavolo. E come può essere?
Sono io. Anche io. E non perché è la somma, come è stato detto, di tutti i punti di vista, ma perché il creatore non esiste senza il creato – non è un paradosso, dev’essere un nodo teologico notevole, l’eternità e la creazione (meglio l’evoluzione…).
Filosofia - Dice Jünger di Heidegger: “Io stavo a Berlino, lui è un uomo della Foresta Nera”. E intende: io sapevo cosa succedeva, lui era un pensatore. Ma il pensiero non è sempre critico? Quello consolatorio è ideologia, esortazione, teleologia, etc., è il contrario della forza attiva.
Dice Kant: la filosofia non è una scienza ma una morale. O non il contrario? La filosofia non può essereche critica, in senso kantiano, e dunque non morale.
Gesù – Non ha corpo né storia – non ha desideri. È interamente verbo, messaggio. Creatura dell’ermeneutica.
Nella passione soffre. Ma è vero sangue il suo? Poiché risuscita integro e bello.
Libertà – “Puttana libertà” ha il Berni, nelle “Rime”. La libertà si definisce solo socialmente, con la libertà degli altri. La legge che modernamente entra nei diritti soggettivi (suicidio, eutanasia, droga, terrorismo intellettuale) ha in ciò l’origine e il limite. Individualmente, la trasgressione può essere grande quanto quella della legge, per il piacere dell’abiezione, e della violenza.
Morte – La paura della morte è recente. Viene con la chimica, la medicina spagirica di Paracelso? Nei racconti degli antichi (Cicerone, Agostino…), come dei moderni non aggiornati (Mozart…) il trapasso non apre scompensi, è naturale.
Narciso - Il basilisco lo fulmina la sua propria immagine.
Normale - Come orthos, di cui è l’equivalente, serve in grammatica per indicare un ordine. Senza sanzione, non sottopostio cioè al potere. Non è quindi da buttare, né la parola né il concetto. Anche se – Ovidio – l’ordine (l’età dell’oro) non può deviare, una normalità regolarità che è mediocre, aurea mediocritas.
Parola – È la scoperta più straordinaria. In sé e come strumento. È lo strumento più creativo – la musica viene ovviamente dopo. E non è inventio – non è strumento cognitivo, checché la filosofia dica. Se non per qualche mostruoso caso dal quale evidentemente siamo lontani.
Progresso - È un fatto. Cioè una costante nella storia. L’uomo nella stria ha alti e bassi, con regressioni crudeli, ma il progresso materiale, o tecnico, dal più sporco al più pulito, dal più al meno faticoso, dalla povertà alla ricchezza, dalla malattia alla salute, questa ricerca non ferma. Neanche nei secoli di regresso sociale o morale: il barbaro vuole anch’egli migliorare le condizioni materiali.
Perché questo fatto è discusso e irriso? Per la vergogna – della guerra di massa, il nazismo, la bomba atomica. Perché l’aristocrazia dello spirito rifugge dalle cose materiali. Per accelerare la crisi e la rivoluzione. E perché non sappiamo. Essere conservatori d’altra parte fa fino, per tutti.
È nell’idea della creazione come in quella dell’evoluzione. La creazione non può avere altro senso che come prova voluta dal dio. Altrimenti non avremmo che incongruenze logiche: una cosa che è eterna ma fino a un certo punto non c’era, e una materia che diventa spirito.
Ma è vero che la resurrezione costituisce una seconda interruzione del tempo, dopo la creazione. Il tempo, come il progresso, va a sbalzi?
Quello della tecnica è indubitabile. Anzi, è troppo veloce: lo vogliamo infatti, ne siamo curiosissimi, ma ci sfianca, si vede. Non altrettanto può dirsi dell’etica, o organizzazione sociale: antiquata sempre – oggi con i suoi riti paraindividuali in un mondo compattato da sfasciacarrozze.
È anche vero che il progresso accelera in una fase di accentuata confusione delle lingue, e di appiattimento – comunicazioni di massa, consumi di massa, edilizia di massa. È come un pesce fuori dal mare gelato.
.
Religione – Non c’è senza il destino individuale, un disegno di consolazione (intelligenza, salvezza). Altrimenti è culto: rito, iniziazione, festa cerimoniale, una misera manifestazione di ordine.
Pensiero – Democrito si strappa gli occhi per non pensare.
Teologia – Ultimamente è materia femminile.
zeulig@antiit.eu
Città – Quell’ombra che gli antichi prediligevano nel’edilizia urbana “era rifugio ai cupi soltanto, o non più ancora alle anime?” (B.Croce, “Storie e leggende napoletane”, 17). La città come antro. Un rifugio anonimo, un viluppo di pieghe nelle quali l’uomo si appiattisce nascondendosi perfettamente. Ecco perché la visibilità è difficile nelle città, la visibilità umana: è difficile mettere a fuoco, difficile ricordare, difficile significare. Ecco donde viene l’inaridimento dell’uomo urbano: perché è venuto in città per attaccarsi, con nervi e articolazioni, a un labirinto di pietre, strettamente, fino a farsene camaleonte, dello stesso grigio colore della pietra. Quale altro animo può proteggere l’ombra urbana, se non quello di diminuirsi, sottrarsi, camuffarsi, cancellarsi?
Dio – Esiste solo per la ragione. Alla fede si presenta ostico: dovrebbe essere un signor Dio, onnipotente, onnisciente, di ogni virtù e ogni bontà. Ma è duro da amare, o anche soltanto da obbedire, chi ti fa soffrire – Gesù non lo soffriva. Razionalmente, invece, c’è solo da aspettare.
Avrebbe creato il mondo per stizza? Se siamo figli anomali di Dio, non si viene a capo di nulla, a meno di bestemmiare. Si torna alla natura unica di Dio, e all’opposizione fra Dio e mondo, e noi siamo la parte brutta.
La storia del peccato originale è la meno convincente: Non ha senso: prova? sfida? ribellione? L’opposizione fra Dio e natura dev’essere anteriore, altrimenti non c’è sfida possibile né provocazione. Ma allora la natura sarebbe il diavolo. E come può essere?
Sono io. Anche io. E non perché è la somma, come è stato detto, di tutti i punti di vista, ma perché il creatore non esiste senza il creato – non è un paradosso, dev’essere un nodo teologico notevole, l’eternità e la creazione (meglio l’evoluzione…).
Filosofia - Dice Jünger di Heidegger: “Io stavo a Berlino, lui è un uomo della Foresta Nera”. E intende: io sapevo cosa succedeva, lui era un pensatore. Ma il pensiero non è sempre critico? Quello consolatorio è ideologia, esortazione, teleologia, etc., è il contrario della forza attiva.
Dice Kant: la filosofia non è una scienza ma una morale. O non il contrario? La filosofia non può essereche critica, in senso kantiano, e dunque non morale.
Gesù – Non ha corpo né storia – non ha desideri. È interamente verbo, messaggio. Creatura dell’ermeneutica.
Nella passione soffre. Ma è vero sangue il suo? Poiché risuscita integro e bello.
Libertà – “Puttana libertà” ha il Berni, nelle “Rime”. La libertà si definisce solo socialmente, con la libertà degli altri. La legge che modernamente entra nei diritti soggettivi (suicidio, eutanasia, droga, terrorismo intellettuale) ha in ciò l’origine e il limite. Individualmente, la trasgressione può essere grande quanto quella della legge, per il piacere dell’abiezione, e della violenza.
Morte – La paura della morte è recente. Viene con la chimica, la medicina spagirica di Paracelso? Nei racconti degli antichi (Cicerone, Agostino…), come dei moderni non aggiornati (Mozart…) il trapasso non apre scompensi, è naturale.
Narciso - Il basilisco lo fulmina la sua propria immagine.
Normale - Come orthos, di cui è l’equivalente, serve in grammatica per indicare un ordine. Senza sanzione, non sottopostio cioè al potere. Non è quindi da buttare, né la parola né il concetto. Anche se – Ovidio – l’ordine (l’età dell’oro) non può deviare, una normalità regolarità che è mediocre, aurea mediocritas.
Parola – È la scoperta più straordinaria. In sé e come strumento. È lo strumento più creativo – la musica viene ovviamente dopo. E non è inventio – non è strumento cognitivo, checché la filosofia dica. Se non per qualche mostruoso caso dal quale evidentemente siamo lontani.
Progresso - È un fatto. Cioè una costante nella storia. L’uomo nella stria ha alti e bassi, con regressioni crudeli, ma il progresso materiale, o tecnico, dal più sporco al più pulito, dal più al meno faticoso, dalla povertà alla ricchezza, dalla malattia alla salute, questa ricerca non ferma. Neanche nei secoli di regresso sociale o morale: il barbaro vuole anch’egli migliorare le condizioni materiali.
Perché questo fatto è discusso e irriso? Per la vergogna – della guerra di massa, il nazismo, la bomba atomica. Perché l’aristocrazia dello spirito rifugge dalle cose materiali. Per accelerare la crisi e la rivoluzione. E perché non sappiamo. Essere conservatori d’altra parte fa fino, per tutti.
È nell’idea della creazione come in quella dell’evoluzione. La creazione non può avere altro senso che come prova voluta dal dio. Altrimenti non avremmo che incongruenze logiche: una cosa che è eterna ma fino a un certo punto non c’era, e una materia che diventa spirito.
Ma è vero che la resurrezione costituisce una seconda interruzione del tempo, dopo la creazione. Il tempo, come il progresso, va a sbalzi?
Quello della tecnica è indubitabile. Anzi, è troppo veloce: lo vogliamo infatti, ne siamo curiosissimi, ma ci sfianca, si vede. Non altrettanto può dirsi dell’etica, o organizzazione sociale: antiquata sempre – oggi con i suoi riti paraindividuali in un mondo compattato da sfasciacarrozze.
È anche vero che il progresso accelera in una fase di accentuata confusione delle lingue, e di appiattimento – comunicazioni di massa, consumi di massa, edilizia di massa. È come un pesce fuori dal mare gelato.
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Religione – Non c’è senza il destino individuale, un disegno di consolazione (intelligenza, salvezza). Altrimenti è culto: rito, iniziazione, festa cerimoniale, una misera manifestazione di ordine.
Pensiero – Democrito si strappa gli occhi per non pensare.
Teologia – Ultimamente è materia femminile.
zeulig@antiit.eu
lunedì 14 dicembre 2009
A voce bassa il paese reale
Ci saranno molti interrogativi sull’attentato a Berlusconi – perché è andata bene, e anche ridicolmente bene, ma è un attentato. Chi è l’attentatore? Sarà lo storione più frequentato, e facile prevederlo, tutti i grandi attentati sono eseguiti da persone instabili: Gianni Versace, Rabin, Lafontaine, Reagan, Lennon, Robert Kennedy, Jack Kennedy, giù giù fino all’incendiario del Reichstag, l’attentatore è sempre instabile - su uno di essi, Gary Gilmore, che amava uccidere per essere ucciso, Norman Mailer dovette sospendere il giudizio, dopo le mille e rotte pagine di "The Executioner's Song". E perché non c’è protezione attorno a Berlusconi? Perché i contestatori del comizio sono saliti fino sul palco dove doveva parlare Berlusconi? Perché c’è sempre di mezzo in queste cose Milano, quella del 12 dicembre 1969, come quella del 12 dicembre 2009, e del 13 dicembre? Perché il questore lascia scoperto Berlusconi, nominato da Maroni e da questi protetto?
Si ricamerà come al solito senza fine. Il complotto è peraltro infine dichiarato come una forma del pettegolezzo. Ci si chiederà anche perché non abbiano parlato i cardinali, né Bagnasco né Tettamanzi, né il12 né il 13 dicembe. Ma forse erano alla funzione. Per ora vale attenersi a cosa ne pensa il pubblico, alle file infinite alla Posta per l’Ici, al mercato, al bar. I commenti sono disparati. Ma tutti a voce bassa. Solo si distinguono un giovanotto con molta barba e pochi capelli, che però fa anche lui il pazzo, e una signora, una gentile impiegata delle Poste. La quale dice che tutti sentano: “L’hanno menato. Eh beh?” E uno non sa se è una fascista, magari liberale di Fini, oppure una comunista.
Si ricamerà come al solito senza fine. Il complotto è peraltro infine dichiarato come una forma del pettegolezzo. Ci si chiederà anche perché non abbiano parlato i cardinali, né Bagnasco né Tettamanzi, né il12 né il 13 dicembe. Ma forse erano alla funzione. Per ora vale attenersi a cosa ne pensa il pubblico, alle file infinite alla Posta per l’Ici, al mercato, al bar. I commenti sono disparati. Ma tutti a voce bassa. Solo si distinguono un giovanotto con molta barba e pochi capelli, che però fa anche lui il pazzo, e una signora, una gentile impiegata delle Poste. La quale dice che tutti sentano: “L’hanno menato. Eh beh?” E uno non sa se è una fascista, magari liberale di Fini, oppure una comunista.
"Un governo si fa in cinque minuti"
Un frizzo ha ghiacciato le schiene dei politici nel weekend, prima che l’attentato a Berlusconi riportasse il sorriso: il governo che “si fa in cinque minuti” dell’onorevole Casini ha lasciato senza parole tutti quanti. Per l’eterno ritorno della Dc, maneggiona, sprezzante, buggerona. Non fantasmatica, poiché l’onorevole è la punta di diamante dei vescovi. Per l’avvilimento delle ragioni del proporzionale. Per la spettrale riesumazione di Mastella in aspetto di Casini, il vecchio ticket - nel 1994 Casini, che a Bologna non aveva i voti, si faceva eleggere a Mastella in Campania. Con uno spruzzo di leghismo sicilianista, e l’inevitabile richiamo al milazzismo. Da Bersani al Quirinale, la certezza dell’onorevole Casini deve avere dato, col brivido, anche un senso di vuoto, dell’inutilità della passione politica, poiché l’onorevole disinvolto li ha letteralmente lasciati senza parole.
Oggi va un po’ meglio, lo sconcerto è parzialmente rientrato, di fronte a questo nuovo candidato leader della sinistra. Se ne vedono i limiti, oltre al cinismo dei governi che si fanno e si disfano. Avere Napolitano in tasca. Avere Bersani in tasca. Avere i giornali di Lor Signori in tasca. L’onorevole Casini appare nuovamente come al solito superficiale: avere in tasca Lor Signori...
Da Prodi a Casini l’itinerario non è esaltante per il centro-sinistra, da una terza fila della (ex) Dc a un figurante, l’attor giovane. È vero come dice Albertazzi che ci vuole un sessantenne in teatro per fare bene un giovane, ma allora è teatro. E Lor Signori non sono stupidi. Dopo il fallimento di Tremonti, che sembrava il Candidato ideale del ribaltone, si sono anzi fatti d’improvviso cauti con gli attor giovani, Fini e Rutelli inclusi, e le autocandidature in genere.
Oggi va un po’ meglio, lo sconcerto è parzialmente rientrato, di fronte a questo nuovo candidato leader della sinistra. Se ne vedono i limiti, oltre al cinismo dei governi che si fanno e si disfano. Avere Napolitano in tasca. Avere Bersani in tasca. Avere i giornali di Lor Signori in tasca. L’onorevole Casini appare nuovamente come al solito superficiale: avere in tasca Lor Signori...
Da Prodi a Casini l’itinerario non è esaltante per il centro-sinistra, da una terza fila della (ex) Dc a un figurante, l’attor giovane. È vero come dice Albertazzi che ci vuole un sessantenne in teatro per fare bene un giovane, ma allora è teatro. E Lor Signori non sono stupidi. Dopo il fallimento di Tremonti, che sembrava il Candidato ideale del ribaltone, si sono anzi fatti d’improvviso cauti con gli attor giovani, Fini e Rutelli inclusi, e le autocandidature in genere.
La Spagna è più fallita della Grecia
Prima e più che la Grecia, la Spagna avrebbe dovuto essere declassata nei rating internazionali. Il paese iberico è sempre ammirevole per il senso nazionale di unità, fra destra e sinistra, fra Nord e Sud, fra cattolici e mangiapreti, e nei giornali, dove vale il principio che cane non morde cane. Tanto più mentre si dilania: la Catalogna fa i referendum sull‘indipendenza, il diritto civile è ridotto a burla (si cambia sesso con una telefonata), si scavano le fosse comuni del franchismo. Ma i fatti sono lì, nel senso del fallimento incombente del sistema economico, e difficilmente ricomponibili. Anzi, dopo un anno di sotterfugi contabili, non più rinviabili. La Spagna ha e continua ad avere il dbeito pubblico più basso di tutta l'area auro, in rapporto al pil, e tanto basta per tenerla al riparo dai giudici di Bruxelles e New York. Ma l'economia galleggia sul nulla.
Il dato è certo e chiaro. La Spagna si regge su un boom immobiliare che da due anni ormai, prima ancora della crisi dei mutui subprime, galleggia come partita di giro: le banche si reggono mutuamente l’un l’altra, ma non c’è denaro fresco: nessuno compra, gli immobiliaristi non rientrano delle enormi esposizioni, e chi ha comprato spesso non paga il mutuo. La contabilità delle insolvenze non è tenuta, non pubblicamente, ma si sa che tutto il sistema bancario, grande e piccolo, si regge sul vuoto.
La situazione è diversa che nei sistemi bancari americano e britannico, i sue più toccato dalla crisi, perché i grandi banchi spagnoli hanno attività limitate sui mercati speculativi. Ma è anche più solida, i buchi sono reali, e semmai non è coperta dalle grandi operazioni a termine. Il reddito è peraltro in forte contrazione per la disoccupazione record. Che è quasi tutta dell’edilizia-immobiliare e difficilmente riallocabile.
La Spagna è il paese più indebitato d’Europa, dopo la Gran Bretagna – che però è più solida economicamente e molto più diversificata. Sia in valori che in rapporto al pil. Tre mesi fa il Cgia Mestre calcolava per la famiglia italiana un debito medio pari a 21.270 euro, contro i 36.150 euro della Francia, i 37.785 della Germania, i 55.886 euro della Spagna e i 63.447 del Regno Unito. I valori della Spagna sono poi rapidamente peggiorati, e oggi si aggirano sui 60 mila euro. In rapporto al pil i debiti delle famiglie sono il 34,2 per cento in Italia, in Francia poco meno del 50 per cento, in Spagna dell’83,6 per cento. Rapporto anch’esso peggiorato, poiché il pil è in forte contrazione.
Il dato è certo e chiaro. La Spagna si regge su un boom immobiliare che da due anni ormai, prima ancora della crisi dei mutui subprime, galleggia come partita di giro: le banche si reggono mutuamente l’un l’altra, ma non c’è denaro fresco: nessuno compra, gli immobiliaristi non rientrano delle enormi esposizioni, e chi ha comprato spesso non paga il mutuo. La contabilità delle insolvenze non è tenuta, non pubblicamente, ma si sa che tutto il sistema bancario, grande e piccolo, si regge sul vuoto.
La situazione è diversa che nei sistemi bancari americano e britannico, i sue più toccato dalla crisi, perché i grandi banchi spagnoli hanno attività limitate sui mercati speculativi. Ma è anche più solida, i buchi sono reali, e semmai non è coperta dalle grandi operazioni a termine. Il reddito è peraltro in forte contrazione per la disoccupazione record. Che è quasi tutta dell’edilizia-immobiliare e difficilmente riallocabile.
La Spagna è il paese più indebitato d’Europa, dopo la Gran Bretagna – che però è più solida economicamente e molto più diversificata. Sia in valori che in rapporto al pil. Tre mesi fa il Cgia Mestre calcolava per la famiglia italiana un debito medio pari a 21.270 euro, contro i 36.150 euro della Francia, i 37.785 della Germania, i 55.886 euro della Spagna e i 63.447 del Regno Unito. I valori della Spagna sono poi rapidamente peggiorati, e oggi si aggirano sui 60 mila euro. In rapporto al pil i debiti delle famiglie sono il 34,2 per cento in Italia, in Francia poco meno del 50 per cento, in Spagna dell’83,6 per cento. Rapporto anch’esso peggiorato, poiché il pil è in forte contrazione.
Se gli Zappadu ingombrano le Feltrinelli
Tra i libri in evidenza nelle librerie Feltrinelli, in alte pile, negli angoli strategici, negli aeroporti e in città, ha dominato l'autunno questo Zappadu: non si può nemmeno scappare, uno se lo ritrova sempre davanti. Se va alle Feltrinelli beninteso - ma in certi luoghi non c'è altro. Questo Zappadu è il fratello dello Zappadu fotografo con sede alle Bahamas, che ha avuto agio di fotografare le palle di Berlusconi sotto la doccia. E ne fa la biografia: di quando il fratello ebbe la visione della fotografia, delle sue prime macchine fotografiche, di quali filtri usa. Poiché è un instant book, si suppone che sia un libro in grande domanda. E uno si scopre d’improvviso un alieno: che ci faccio qui, in queste librerie?
Cioè. Le Feltrinelli non vendono Cicciolina, nemmeno Moana. Non vendono i manuali di difesa personale (pistole, coltelli, armi occasionali). Non vendono neppure le barzellette dei carabinieri. Non si censurano, è da presumere, ma sanno che i clienti delle Feltrinelli non comprano questi generi. Invece evidentemente comprano Zappadu fratello che illumina il fratello. E il problema si pone: non saranno infettivi?
Salvatore Zappadu, La vera storia di Antonello Zappadu, Castelvecchi, pp. 185, € 12
Cioè. Le Feltrinelli non vendono Cicciolina, nemmeno Moana. Non vendono i manuali di difesa personale (pistole, coltelli, armi occasionali). Non vendono neppure le barzellette dei carabinieri. Non si censurano, è da presumere, ma sanno che i clienti delle Feltrinelli non comprano questi generi. Invece evidentemente comprano Zappadu fratello che illumina il fratello. E il problema si pone: non saranno infettivi?
Salvatore Zappadu, La vera storia di Antonello Zappadu, Castelvecchi, pp. 185, € 12
domenica 13 dicembre 2009
Letture - 21
letterautore
Baudelaire – Vede e soffre, nella vita e nella poesia, tutto il male possibile, ma opera con costanza, con forza. Il protopito del pessimismo è invece un ottimista - l’ottimismo non è l’entusiasmo ma la fiducia, il pessimismo non è il senso critico, ma la sfiducia. Pessimista è Verlaine, o Rimbaud: qualcuno che fa l’amore intensamente, è molto attivo nel suo mondo, della letteratura, ricerca e sperimenta, ma non crede all’amore e non ama la poesia.
Per primo apre la poesia alla musica – Wagner – e alla pittura – Delacroix. Con lui la poesia si lega alla musica, nel secondo Ottocento e nel Novecento. La grande lirica di fine Settecento-primo Ottocento si lega invece alla filosofia e alla filologia: Hölderlin o Schiller a Schelling, Hegel (Manzoni, Foscolo, Leopardi, sono loro migliori filosofi e filologi, perché i loro pensatori erano mediocri). La musica, anche grande, era isolata culturalmente: Mozart, Rossini, Beethoven – Stendhal ne scrive le biografie per guadagnare.
Guareschi – Era detto fascista, e lo sarà stato, se ne compiaceva. Ma nessuno più di lui ha fatto per il Pci, nemmeno Togliatti. Per i comunisti violenti, quelli della Bassa. La serie dei “Don Camillo”, che si ripete immarcescibile in tv, così campanilistica, arguta, gozzaniana, piena di buoni sentimenti, è quelle che ha indelebilmente reso popolare, buon italiano, buon compagno, ogni comunista. Dunque, ci vuole un fascista per fare un buon comunista.
Koestler – Nella sua passeggiata da Londra a Costantinopoli Leigh Fermor incontra un personaggio di grande spessore, il conte Eugenio, o Jëno, Teleki. Che tra le tante teorie interessanti argomenta solidamente quella di Hugo von Teleki sulla discendenza degli ebrei ashkenaziti dai khazari, l’impero sconosciuto che aveva abbandonato nell’Alto Medio Evo il paganesimo per l’ebraismo.
“Il ricordo del conte emerse in una taverna di Atene circa vent’anni fa”, racconta Leigh Fermor in “Between the woods and the river”, p. 119, nel 1986, “a pranzo con Arthur Kostler. Subito all’erta, Koestler disse che la cosa interessava anche lui, ma che non ne sapeva quanto avrebbe voluto. Un anno o due dopo “La tredicesima tribù” apparve”, opera di Koestler.
Patrick Leigh Fermor non è l’unico a esprimere dubbi sulla correttezza di Koestler. Come per Silone, può essere che l’abbandono del comunismo – o la pratica del comunismo – induca alla simulazione?
Latino – È lingua morta ma di grammatica ricca, soprattutto di forme verbali (concettuali), gerundio, participio futuro, e di una serie imbattibile di complementi (azioni, eventi). Tale da superare la capacità nostra di padroneggiarlo, donde il suo fascino, da miniera inesauribile.
Le lingue progrediscono per semplificazione? Si dice di più dicendo di meno?
Machiavelli – La politica è l’assunzione e la gestione del potere, non ce n’è altra. E come si può far finta (Rousseau) che non ci sia un potere, una violenza legalizzata? Come Hobbes, e a differenza dell’accademico Rousseau, Machiavelli aveva scritto senza protezione in tempi minacciosi: basta questo a rendere credibile la sua (e quella di Hobbes) ricerca della libertà.
Manzoni – Uno che non ha amato le mogli, e neppure le figlie, e forse odiava la madre – la disprezzava. Come Tolstòj, che però era appassionato, non contava le virgole.
Il suo catalogo è certo impressionante: mafia, stupro, aborto, anche in convento, gli sciacalli nella peste, la corruzione della giustizia e della religione, morte, puzza, idiozia. Non c’è altro romanzo, gotico, nero, che accumuli così tanta turpitudine. Tanto più per un’anima pia, che si assolve nella Provvidenza, e proprio perché si assolve. Pretendendo che Dio lo ascolti e lo aiuti.
Mario Soldati nel “Natale giansenista” (il racconto è nella raccolta “Rami secchi”) osserva che “Manzoni credeva di credere ma in fondo non credeva, era soprattutto superstizioso e temeva l’inferno” – mentre “Leopardi, al contrario, credeva di non credere e invece credeva”.
Petrarca – O della poesia come professione. Colto, appassionato il giusto, intelligente, produttivo, lagnoso quanto è necessario sui destini del mondo ingrato. Quasi perfetto, un modello. Da imitate e imitato. Mentre al poeta come a ognuno è richiesto anche qualche vizio, l’ira, la superbia, l’accidia, e qualche debolezza. Ne ha perfino Gesù nei Vangeli, testi apologetici.
Cosa distingue Petrarca da Omero, Dante, Shakespeare? E la letteratura italiana dalla letteratura – Dante non è italiano (lo è?). L’ammanieramento della fantasia. L’oleografia: mancano gli inciampi. Troppo ordine, troppi sbadigli: la perfezione è nella maniera (nella maniera c’è anche l’avanguardia)?
Prosa – Viene dopo la poesia, insistono Vico, Rousseau e Borges. Per Leopardi, secondo i “Ricordi” di Antonio Ranieri, pp. 121-122, la buona prosa è più difficile della buona poesia: quella è come una donna abbigliata riccamente, questa è come una donna nuda.
Proust – Ha canonizzato prima e meglio di tutti (Joyce, V.Woolf, Céline, Svevo-Zeno) la “frase pregna” (stream of consciousness), con flashback, anticipazioni, precisazioni, digressioni, ricordi, insinuazione, e l’ha ordinata, logicamente e grammaticalmente. È questa riuscita l’handicap del romanzo? Perché su quattromila pagine la scrittura aperta o pregnante provoca inconvenienti gravi: Saint-Loup fa gli scherzacci a quattro con gli amici, la combriccola, ma ha una donna, ma perché la umilia nella casa d’appuntamenti, e perché è ebrea? di lei non sappiamo niente altro, per esempio perché si umilia). Insensatezze: “Albertine” è il romanzo della gelosia di un amore che non c’è stato - e come può succedere che due ragazzi convivano, e la serva-padrona taccia, dopo il profluvio di mamme, zie, conoscenti, patronesse? Ridicolaggini: le frequentazioni dei Verdurin. In più della stessa lunghezza insensata. Decisamente, Proust non esce dai personaggi e i soggetti della letteratura fin-de-siècle e del deuxième rayon, la ragazza maschietto, il gay pamé, la piccola borghesia con le piccole virtù, le demi-vierges, le grandi baciatrici.
Se la chiave fosse l’ironia, invece che l’elegia, potrebbe diventarne il capolavoro –tanto più che con l’ironia non si costruisce. Quel mondo che rappresenta, che non vuol essere passatista (romantico), ma non sa essere moderno (democratico), ha il peggio di tutt’e due: incistato nella memoria, e nel disprezzo (lo snobismo è l’orrore di essere). Riflette l’incertezza della élite, anche in senso pratico – l’élite è un palcoscenico affollato di entrate e uscite. Incerta e aggressiva, non amabile, a differenza della casta, odiosa ma amabile. Come appassionarsi dei suoi problemi? Mai esistenziali, e di semplice posizionamento nell’abbondanza, e nell’occhio della gente. Borghesi.
Il tempo durata, invece che frazionato dalla minuzia cronologica, è dei verbi semiti, ebraico, aramaico (Aron, “Gli anni oscuri di Gesù”, pp. 63-67). Che distinguono solo compiuto (passato remoto) e incompiuto (imperfetto).
Psicanalisi – Lo studioso Bachtin e molti erotomani la pongono nel triangolo magico. Che è femminile: il triangolo magico non è esoterico, e femminile. Tanti studi e tante fatiche letterarie si concentrano in effetti su quel posto minimo, il triangolo femminile.
Rinascimento – È voglia di essere esteticamente, ricreando cioè modelli alti. Non è rinascita, non nel senso generativo, di flusso vitale nuovo. La voglia del modello fu però tale che la riproduzione è creativa. Molto di più, quantitativamente e qualitativamente, di qualsiasi altra epoca di rottura, romantica, espressionista. C’era molto mestiere (applicazione) nel Rinascimento, oltre all’ambizione. È da qui che nasce il buongusto, cioè la “produttività della creatività”.
Rousseau – O della diseducazione. Dell’incitamento alla violenza: pericoloso è autoingannarsi, non sapere (Machiavelli, Hobbes). L’autoinganno genera la misantropia oppure la violenza.
Dell’ipocrisia anche.
È la rivoluzione nell’accademia: concorsi a premi, amicizie ossia consorterie, polemiche graziose.
Saturnino – È propriamente ozioso, più che malinconico, il temperamento del rinvio. Saturno è il pianeta dell’evoluzione lenta, l’astro dell’esitazione e del ritardo.
letterautore@antiit.eu
Baudelaire – Vede e soffre, nella vita e nella poesia, tutto il male possibile, ma opera con costanza, con forza. Il protopito del pessimismo è invece un ottimista - l’ottimismo non è l’entusiasmo ma la fiducia, il pessimismo non è il senso critico, ma la sfiducia. Pessimista è Verlaine, o Rimbaud: qualcuno che fa l’amore intensamente, è molto attivo nel suo mondo, della letteratura, ricerca e sperimenta, ma non crede all’amore e non ama la poesia.
Per primo apre la poesia alla musica – Wagner – e alla pittura – Delacroix. Con lui la poesia si lega alla musica, nel secondo Ottocento e nel Novecento. La grande lirica di fine Settecento-primo Ottocento si lega invece alla filosofia e alla filologia: Hölderlin o Schiller a Schelling, Hegel (Manzoni, Foscolo, Leopardi, sono loro migliori filosofi e filologi, perché i loro pensatori erano mediocri). La musica, anche grande, era isolata culturalmente: Mozart, Rossini, Beethoven – Stendhal ne scrive le biografie per guadagnare.
Guareschi – Era detto fascista, e lo sarà stato, se ne compiaceva. Ma nessuno più di lui ha fatto per il Pci, nemmeno Togliatti. Per i comunisti violenti, quelli della Bassa. La serie dei “Don Camillo”, che si ripete immarcescibile in tv, così campanilistica, arguta, gozzaniana, piena di buoni sentimenti, è quelle che ha indelebilmente reso popolare, buon italiano, buon compagno, ogni comunista. Dunque, ci vuole un fascista per fare un buon comunista.
Koestler – Nella sua passeggiata da Londra a Costantinopoli Leigh Fermor incontra un personaggio di grande spessore, il conte Eugenio, o Jëno, Teleki. Che tra le tante teorie interessanti argomenta solidamente quella di Hugo von Teleki sulla discendenza degli ebrei ashkenaziti dai khazari, l’impero sconosciuto che aveva abbandonato nell’Alto Medio Evo il paganesimo per l’ebraismo.
“Il ricordo del conte emerse in una taverna di Atene circa vent’anni fa”, racconta Leigh Fermor in “Between the woods and the river”, p. 119, nel 1986, “a pranzo con Arthur Kostler. Subito all’erta, Koestler disse che la cosa interessava anche lui, ma che non ne sapeva quanto avrebbe voluto. Un anno o due dopo “La tredicesima tribù” apparve”, opera di Koestler.
Patrick Leigh Fermor non è l’unico a esprimere dubbi sulla correttezza di Koestler. Come per Silone, può essere che l’abbandono del comunismo – o la pratica del comunismo – induca alla simulazione?
Latino – È lingua morta ma di grammatica ricca, soprattutto di forme verbali (concettuali), gerundio, participio futuro, e di una serie imbattibile di complementi (azioni, eventi). Tale da superare la capacità nostra di padroneggiarlo, donde il suo fascino, da miniera inesauribile.
Le lingue progrediscono per semplificazione? Si dice di più dicendo di meno?
Machiavelli – La politica è l’assunzione e la gestione del potere, non ce n’è altra. E come si può far finta (Rousseau) che non ci sia un potere, una violenza legalizzata? Come Hobbes, e a differenza dell’accademico Rousseau, Machiavelli aveva scritto senza protezione in tempi minacciosi: basta questo a rendere credibile la sua (e quella di Hobbes) ricerca della libertà.
Manzoni – Uno che non ha amato le mogli, e neppure le figlie, e forse odiava la madre – la disprezzava. Come Tolstòj, che però era appassionato, non contava le virgole.
Il suo catalogo è certo impressionante: mafia, stupro, aborto, anche in convento, gli sciacalli nella peste, la corruzione della giustizia e della religione, morte, puzza, idiozia. Non c’è altro romanzo, gotico, nero, che accumuli così tanta turpitudine. Tanto più per un’anima pia, che si assolve nella Provvidenza, e proprio perché si assolve. Pretendendo che Dio lo ascolti e lo aiuti.
Mario Soldati nel “Natale giansenista” (il racconto è nella raccolta “Rami secchi”) osserva che “Manzoni credeva di credere ma in fondo non credeva, era soprattutto superstizioso e temeva l’inferno” – mentre “Leopardi, al contrario, credeva di non credere e invece credeva”.
Petrarca – O della poesia come professione. Colto, appassionato il giusto, intelligente, produttivo, lagnoso quanto è necessario sui destini del mondo ingrato. Quasi perfetto, un modello. Da imitate e imitato. Mentre al poeta come a ognuno è richiesto anche qualche vizio, l’ira, la superbia, l’accidia, e qualche debolezza. Ne ha perfino Gesù nei Vangeli, testi apologetici.
Cosa distingue Petrarca da Omero, Dante, Shakespeare? E la letteratura italiana dalla letteratura – Dante non è italiano (lo è?). L’ammanieramento della fantasia. L’oleografia: mancano gli inciampi. Troppo ordine, troppi sbadigli: la perfezione è nella maniera (nella maniera c’è anche l’avanguardia)?
Prosa – Viene dopo la poesia, insistono Vico, Rousseau e Borges. Per Leopardi, secondo i “Ricordi” di Antonio Ranieri, pp. 121-122, la buona prosa è più difficile della buona poesia: quella è come una donna abbigliata riccamente, questa è come una donna nuda.
Proust – Ha canonizzato prima e meglio di tutti (Joyce, V.Woolf, Céline, Svevo-Zeno) la “frase pregna” (stream of consciousness), con flashback, anticipazioni, precisazioni, digressioni, ricordi, insinuazione, e l’ha ordinata, logicamente e grammaticalmente. È questa riuscita l’handicap del romanzo? Perché su quattromila pagine la scrittura aperta o pregnante provoca inconvenienti gravi: Saint-Loup fa gli scherzacci a quattro con gli amici, la combriccola, ma ha una donna, ma perché la umilia nella casa d’appuntamenti, e perché è ebrea? di lei non sappiamo niente altro, per esempio perché si umilia). Insensatezze: “Albertine” è il romanzo della gelosia di un amore che non c’è stato - e come può succedere che due ragazzi convivano, e la serva-padrona taccia, dopo il profluvio di mamme, zie, conoscenti, patronesse? Ridicolaggini: le frequentazioni dei Verdurin. In più della stessa lunghezza insensata. Decisamente, Proust non esce dai personaggi e i soggetti della letteratura fin-de-siècle e del deuxième rayon, la ragazza maschietto, il gay pamé, la piccola borghesia con le piccole virtù, le demi-vierges, le grandi baciatrici.
Se la chiave fosse l’ironia, invece che l’elegia, potrebbe diventarne il capolavoro –tanto più che con l’ironia non si costruisce. Quel mondo che rappresenta, che non vuol essere passatista (romantico), ma non sa essere moderno (democratico), ha il peggio di tutt’e due: incistato nella memoria, e nel disprezzo (lo snobismo è l’orrore di essere). Riflette l’incertezza della élite, anche in senso pratico – l’élite è un palcoscenico affollato di entrate e uscite. Incerta e aggressiva, non amabile, a differenza della casta, odiosa ma amabile. Come appassionarsi dei suoi problemi? Mai esistenziali, e di semplice posizionamento nell’abbondanza, e nell’occhio della gente. Borghesi.
Il tempo durata, invece che frazionato dalla minuzia cronologica, è dei verbi semiti, ebraico, aramaico (Aron, “Gli anni oscuri di Gesù”, pp. 63-67). Che distinguono solo compiuto (passato remoto) e incompiuto (imperfetto).
Psicanalisi – Lo studioso Bachtin e molti erotomani la pongono nel triangolo magico. Che è femminile: il triangolo magico non è esoterico, e femminile. Tanti studi e tante fatiche letterarie si concentrano in effetti su quel posto minimo, il triangolo femminile.
Rinascimento – È voglia di essere esteticamente, ricreando cioè modelli alti. Non è rinascita, non nel senso generativo, di flusso vitale nuovo. La voglia del modello fu però tale che la riproduzione è creativa. Molto di più, quantitativamente e qualitativamente, di qualsiasi altra epoca di rottura, romantica, espressionista. C’era molto mestiere (applicazione) nel Rinascimento, oltre all’ambizione. È da qui che nasce il buongusto, cioè la “produttività della creatività”.
Rousseau – O della diseducazione. Dell’incitamento alla violenza: pericoloso è autoingannarsi, non sapere (Machiavelli, Hobbes). L’autoinganno genera la misantropia oppure la violenza.
Dell’ipocrisia anche.
È la rivoluzione nell’accademia: concorsi a premi, amicizie ossia consorterie, polemiche graziose.
Saturnino – È propriamente ozioso, più che malinconico, il temperamento del rinvio. Saturno è il pianeta dell’evoluzione lenta, l’astro dell’esitazione e del ritardo.
letterautore@antiit.eu
Il mondo com'è - 28
astolfo
Cina – Nel Duecento i mongoli avevano conquistato il mondo, dalla Cina all’Ucraina e all’Ungheria. Si apprestavano a marciare su Roma ma all’improvviso, essendo morto nel Karakorum Ogoda, il successore di Gengis Khan, i capitribù voltarono i cavalli per correre alla successione. Dopodichè si scordarono di tornare. I mongoli che sono stati a lungo e sono in buon parte i manciù, i cinesi di due metri, i capi della Cina.
Democrazia – Nelle democrazia più antiche – Svizzera, gran Bretagna, Usa – gli elettori votano in percentuale ridotta, meno della metà degli aventi diritto. Questo viene interpretato come un fatto negativo. Invece è positivo. Sarebbe negativo se ci fossero impedimenti di qualsiasi genere al diritto universale di voto, ma così non è. Va a votare chi ha un’opinione sul voto. Gli altri, gli indifferenti, si adeguano alle scelte di chi ha idee e voglia di farle valere. In queste democrazie solide l’assenteismo al voto è anche assenza di bisogno, e di patrocinio politico.
Da noi si vota in massa per conformismo, obbedienza al potere, per impegni precisi. Infatti si vota per linee conservative – a ogni elezione il voto che sposta è non più del cinque per cento del totale, 2,5 milioni di voti. La massa vota sempre per gli stessi partiti, e il voto di massa è perfettamente integrato con la stabilità del potere.
Uno degli strumenti per cambiare il governo potrebbe essere l’assenteismo – cambiare il governo è un valore, seppure minimo: è la premessa per disboscare il sottogoverno.
Dittatura – I dittatori si formano alla scuola francese (giacobina) e tedesca (imperiale e comunista). Non si formano dittatori alla scuola anglo-sassone.
I dittatori mediorientali e latinoamericani sono deboli perché non sono sorretti dalla convinzione, dopo aver letto i giornali e frequentato le accademie Usa.
Matrimonio - È un fatto di unità abitative. In case grandi è disteso, anche nelle crisi, in case piccole è nervoso, anche nella complicità. Nelle prime è vario (parentela, rappresentanza o socievolezza, adulterio), nelle seconde ossessivo.
In rilievo viene soltanto due volte come topos letterario: nel Cinquecento, per gli intellettuali un po’ gay che si dovevano giustificare (“se s’ha da prender moglie”), e nell’Ottocento. In entrambi i casi non è il matrimonio degli aristocratici, né quello del popolo, che sempre sa di promiscuo e animalesco (incesto, stupro, abbandono, etc.). è il matrimonio “borghese”, di chi vuole costruirsi una vita interiore o, nell’Ottocento, una comunità d’interessi. Il ritorno romantico dell’amore eterno, e correlato tradimento, corona gli altri buoni sentimenti: risparmio, buone maniere, ascesa nel reddito, nella carriera e nella società. La casa era però a due piani, con servizio domestico. L’unità abitativa è da tempo un appartamento comunque piccolo, dove i coniugi stanno l’uno sull’altro, nei momenti in sui sono stanchi di lavoro, e s’intrattengono di problemi necessari, essenzialmente il lavoro. La coabitazione forzata esclude i buoni sentimenti, e anche l’eros?
Multiculturalismo – Si porta a esempio dell’Europa l’America, gli Stati Uniti d’America. Che però sono un altro mondo. La superficie: 6 milioni di kmq l’Europa, senza la Russia, 9,4 gli Usa. Un paese continentale, non finitimo di uno sterminato continente qual è l’Asia. E hanno un’identità fortissima: legale (costituzionale). Maturata a opera di un’élite fortemente connotata e perfino spietata. Gli africani e gli asiatici ne sono stati esclusi per secoli, di qualsiasi religione, e poi gli ispanici, i cattolici e gli ebrei.
Nichilismo – Grumo rappreso (o efflorescenza apparente, quella della petite mort?) dentro la pianura centrale europea, lungo l’asse Meno-Mosca. Con le appendici malinconico esistenziali, quasi romantiche, se non sentimentali. Non turba l’Europa occidentale (se non per snobismo), l’America, l’Asia, l’Africa. Ci prende perché è un falso problema – l’instabilità emotiva (paura) di chi vive con le porte obbligatoriamente aperte – o ha qualche proprietà conoscitiva segreta?
Politica – Quella statale all’origine è polizia. L’economia pubblica di Maria Teresa, o scienza camerale, è economia politica e scienza della polizia (politica): miglioramento, istruzione, educazione, ordine, sicurezza. La stessa polizia all’origine, a Parigi, a Londra, è politica, quella di Vidocq, di Fielding, è il mantenimento dell’ordine nel senso del potere.
Pubblicità – Come linguaggio dovrebbe imporre la sintesi. Ma in Italia, dove pure cresce molto, ciò non avviene. Forse il suo linguaggio è invece l’enfasi – frammentata, ripetitiva.
Pudore – Ce n’è oggi più di ieri, è anzi un argine contro la violenza, sotto la forma della vergogna, e conferma che un progresso esiste – dice Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 216. Ma è un pudore legato alla rispettabilità, valore borghese. Anticamente pulizia e impudicizia erano cerimoniali. Il progresso indubbiamente è borghese, prometeico, e non è cosa cattiva. Ma la sua vergogna non fa argine alla violenza.
Riforma – Fabbrica di libertà, oppure (Balzac, Caterina dei Medici) di oscurità? La libertà s’era formata prima, e aveva perfino degenerato nella licenza. Il protestantesimo in tutte le sue forme è un richiamo all’ordine. C’è più libertà in san Tommaso che in tutto Lutero, Calvino, Spinoza – che non è protestante ma ha una teologia molto protestante.
La tolleranza non è calvinista, la libertà non è luterana, l’incredulità non è protestante: la riforma è zelota e settaria. L’incredulità viene da lontano, da Roma pre-imperiale, la tolleranza s’impone nel melting pot americano quale mezzo di sopravvivenza. La libertà del cuore viene da Cristo, la libertà politica dalla storia inglese, fra errori e colpi di coda.
I dissenters hanno proiettato su tutto il protestantesimo un’aura di libertà che è un pericoloso falso storico – è il problema della pax americana. Fa abbassare la difesa contro il conformismo.
astolfo@antiit.eu
Cina – Nel Duecento i mongoli avevano conquistato il mondo, dalla Cina all’Ucraina e all’Ungheria. Si apprestavano a marciare su Roma ma all’improvviso, essendo morto nel Karakorum Ogoda, il successore di Gengis Khan, i capitribù voltarono i cavalli per correre alla successione. Dopodichè si scordarono di tornare. I mongoli che sono stati a lungo e sono in buon parte i manciù, i cinesi di due metri, i capi della Cina.
Democrazia – Nelle democrazia più antiche – Svizzera, gran Bretagna, Usa – gli elettori votano in percentuale ridotta, meno della metà degli aventi diritto. Questo viene interpretato come un fatto negativo. Invece è positivo. Sarebbe negativo se ci fossero impedimenti di qualsiasi genere al diritto universale di voto, ma così non è. Va a votare chi ha un’opinione sul voto. Gli altri, gli indifferenti, si adeguano alle scelte di chi ha idee e voglia di farle valere. In queste democrazie solide l’assenteismo al voto è anche assenza di bisogno, e di patrocinio politico.
Da noi si vota in massa per conformismo, obbedienza al potere, per impegni precisi. Infatti si vota per linee conservative – a ogni elezione il voto che sposta è non più del cinque per cento del totale, 2,5 milioni di voti. La massa vota sempre per gli stessi partiti, e il voto di massa è perfettamente integrato con la stabilità del potere.
Uno degli strumenti per cambiare il governo potrebbe essere l’assenteismo – cambiare il governo è un valore, seppure minimo: è la premessa per disboscare il sottogoverno.
Dittatura – I dittatori si formano alla scuola francese (giacobina) e tedesca (imperiale e comunista). Non si formano dittatori alla scuola anglo-sassone.
I dittatori mediorientali e latinoamericani sono deboli perché non sono sorretti dalla convinzione, dopo aver letto i giornali e frequentato le accademie Usa.
Matrimonio - È un fatto di unità abitative. In case grandi è disteso, anche nelle crisi, in case piccole è nervoso, anche nella complicità. Nelle prime è vario (parentela, rappresentanza o socievolezza, adulterio), nelle seconde ossessivo.
In rilievo viene soltanto due volte come topos letterario: nel Cinquecento, per gli intellettuali un po’ gay che si dovevano giustificare (“se s’ha da prender moglie”), e nell’Ottocento. In entrambi i casi non è il matrimonio degli aristocratici, né quello del popolo, che sempre sa di promiscuo e animalesco (incesto, stupro, abbandono, etc.). è il matrimonio “borghese”, di chi vuole costruirsi una vita interiore o, nell’Ottocento, una comunità d’interessi. Il ritorno romantico dell’amore eterno, e correlato tradimento, corona gli altri buoni sentimenti: risparmio, buone maniere, ascesa nel reddito, nella carriera e nella società. La casa era però a due piani, con servizio domestico. L’unità abitativa è da tempo un appartamento comunque piccolo, dove i coniugi stanno l’uno sull’altro, nei momenti in sui sono stanchi di lavoro, e s’intrattengono di problemi necessari, essenzialmente il lavoro. La coabitazione forzata esclude i buoni sentimenti, e anche l’eros?
Multiculturalismo – Si porta a esempio dell’Europa l’America, gli Stati Uniti d’America. Che però sono un altro mondo. La superficie: 6 milioni di kmq l’Europa, senza la Russia, 9,4 gli Usa. Un paese continentale, non finitimo di uno sterminato continente qual è l’Asia. E hanno un’identità fortissima: legale (costituzionale). Maturata a opera di un’élite fortemente connotata e perfino spietata. Gli africani e gli asiatici ne sono stati esclusi per secoli, di qualsiasi religione, e poi gli ispanici, i cattolici e gli ebrei.
Nichilismo – Grumo rappreso (o efflorescenza apparente, quella della petite mort?) dentro la pianura centrale europea, lungo l’asse Meno-Mosca. Con le appendici malinconico esistenziali, quasi romantiche, se non sentimentali. Non turba l’Europa occidentale (se non per snobismo), l’America, l’Asia, l’Africa. Ci prende perché è un falso problema – l’instabilità emotiva (paura) di chi vive con le porte obbligatoriamente aperte – o ha qualche proprietà conoscitiva segreta?
Politica – Quella statale all’origine è polizia. L’economia pubblica di Maria Teresa, o scienza camerale, è economia politica e scienza della polizia (politica): miglioramento, istruzione, educazione, ordine, sicurezza. La stessa polizia all’origine, a Parigi, a Londra, è politica, quella di Vidocq, di Fielding, è il mantenimento dell’ordine nel senso del potere.
Pubblicità – Come linguaggio dovrebbe imporre la sintesi. Ma in Italia, dove pure cresce molto, ciò non avviene. Forse il suo linguaggio è invece l’enfasi – frammentata, ripetitiva.
Pudore – Ce n’è oggi più di ieri, è anzi un argine contro la violenza, sotto la forma della vergogna, e conferma che un progresso esiste – dice Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 216. Ma è un pudore legato alla rispettabilità, valore borghese. Anticamente pulizia e impudicizia erano cerimoniali. Il progresso indubbiamente è borghese, prometeico, e non è cosa cattiva. Ma la sua vergogna non fa argine alla violenza.
Riforma – Fabbrica di libertà, oppure (Balzac, Caterina dei Medici) di oscurità? La libertà s’era formata prima, e aveva perfino degenerato nella licenza. Il protestantesimo in tutte le sue forme è un richiamo all’ordine. C’è più libertà in san Tommaso che in tutto Lutero, Calvino, Spinoza – che non è protestante ma ha una teologia molto protestante.
La tolleranza non è calvinista, la libertà non è luterana, l’incredulità non è protestante: la riforma è zelota e settaria. L’incredulità viene da lontano, da Roma pre-imperiale, la tolleranza s’impone nel melting pot americano quale mezzo di sopravvivenza. La libertà del cuore viene da Cristo, la libertà politica dalla storia inglese, fra errori e colpi di coda.
I dissenters hanno proiettato su tutto il protestantesimo un’aura di libertà che è un pericoloso falso storico – è il problema della pax americana. Fa abbassare la difesa contro il conformismo.
astolfo@antiit.eu