astolfo
Concussione - È una manifestazione del potere, non bisogno né un assetto o una tara sociale – è sovrimposto alla società, in tutte le sue forme, non ne è espressione. Un potere alla portata di chiunque, anche del ricattatore.
È il termometro della degradazione del potere. È anche una concezione di vita – è la base di una delle forme dello Stato secondo Max Weber, lo stato patrimoniale. Ma è anche un segnale della morbilità del potere, da quello religioso a quello del lager.
Germania – Il kantismo parte dal 1870, prima chi sapeva di Kant? Lo hegelismo dal 1880 – sula traccia peraltro del materialismo dialettico, il rovesciamento marxiano. Schopenhauer dal 1890, Nietzsche da fine secolo e oltre. Prima c’era Wagner, anni Sessanta – ma quanto deve a Baudelaire?
La filosofia tedesca ha preso a tormentarci, malgrado la sua incongruità, quando Bismarck ebbe costruito il Reich. Prima c’era l’erudizione tedesca, un po’ farlocca, consona al genius loci, talvolta fortunata, con Wincklemann, Schliemann, i fratelli Grimm, poi lo scozzese Kant ha aperto una breccia alluvionale – soprattutto in traduzione (l’incomprensibile ha la forza del mistero).
Bonn ha comprato per molti anni la libertà dei tedeschi in Europa orientale, con le numerose politiche a favore degli Aussiedler, Übersiedler, Flüchlinge e così via. Senza scandalo e senza problemi, ordinaria amministrazione. Il primo atto della riunificazione è stato di porre la Germania Est sotto il controllo della Bundesbank: niente elezioni, niente referendum storici, niente celebrazioni, un avvenimento aziendale, una fusione, o meglio un’incorporazione. La discussione su Berlino, se dovesse o no essere la capitale, non ha riguardato la natura del nuovo Stato unificato, o la storia, ma il costo del trasferimento da Bonn, 50 mila miliardi, oppure 75, oppure 100 mila: se la nuova Germania unita debba o non avere, con una grande capitale, una grande politica non è stato discusso. O meglio è stato già deciso.
Karl Jaspers riteneva la riunificazione inutile (“Freiheit und Wiedervereinigung”) perché sopravanzata dalla lotta anticomunista per la libertà e perché non si sa esattamente cosa riunificare, se il mondo di lingua tedesca, la Grande Germania del Vormärz, la Germania di Bismarck, le due Germanie del dopoguerra. Jaspers apriva ai tedeschi un orizzonte largo. La Germania invece ha preferito conformismo e prudenza, la strada del fare e non dire, non pensare.
La politica del futuro potrebbe anche seguire questo modello tedesco, il buonsenso renano del giorno per giorno, senza disegni e senza grandeur, la politica della non politica – modello Kohl. Dove i grandi problemi, sociali, ideali, generazionali, si riportano entro i modelli di gestione. Succede del resto già in Giappone: il lavoro disintossicato dalla politica. I grandi problemi – la pace, la guerra, la libertà, lo sviluppo – sono necessariamente legati alla retorica? Come e dove la retorica accompagna e sopravanza la politica? Ma anche: l’interesse non abbrutisce? I principati e le repubbliche che svilupparono l’arte, la filosofia, la letteratura, erano più commercianti o più guerrieri?
La politica gestionale è però un fatto in Germania e in Giappone. La Germania ha anche un precedente, i trent’anni bierdemeier: l’ordine e l’amor di patria, che col nazionalismo s’intrecciano radicalizzandosi, nella Germania biedermeier e nella Repubblica Federale hanno conseguito invece l’opposto, si sono smorzati. La voglia di primeggiare viene diluita nel successo economico, non armato.
A lungo, e perfino per la Francia (Quinet ad esempio), il concetto di libertà personale è venuto dalla Germania. Dall’anarchia tribale, dalla Riforma. Con un seguito nell’anarchismo, le eccentricità di Weimar, il radicalismo femminista e verde. Il conformismo d’altra parte è indiscutibile. Non solo sotto Hitler, anche dopo: i tedeschi hanno combattuto la dittatura, in opere e in pensieri, molto meno dei polacchi, degli ungheresi, dei cecosvloacchi. Anche nel 1989, sono venuti molto dopo la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria. E non si sono ribellati, sono fuggiti. La fuga sì, la resistenza no: quella è individuale, questa è collettiva: i due fatti si conciliano nel noto dualismo di libertà personale e conformismo sociale. È vero, come s’è sempre detto (ma meglio di tutti lo dice a ogni pagina Goethe), che la filosofia tedesca ha un concetto solo interiore, intimo, della libertà. Non l’ha mai pensata come fatto collettivo, non ha il suo Hobbes, il suo Rousseau, il suo Machiavelli. È per questo, va aggiunto, che non ha una dottrina liberale, perché il liberalismo presuppone una dottrina politica del corpo sociale, non solo del diritto o dello Stato.
Ma perché il conformismo sociale persevera, dopo sessanta anni di americanizzazione? Perché prevalente è il pietismo del luteranesimo. La libertà individuale s’è subito scontrata nella Riforma con la libertà politica, nella guerra dei contadini. Il pietismo ne ha praticato un minimo salvataggio, nella compassione in mancanza della libertà politica, e la Germania si accontenta del poco, non vuole sperimentare il meglio – perché pensa di averlo sperimentato.
Giappone – I giapponesi continuano a non sapere perché hanno fatto la guerra, e perché l’hanno persa. Per questo lascia perplessi, un paese e un popolo che invece tutto renderebbe simpatico.
Italia - È sempre stata decentralizzata, tra repubbliche, signorie e domini riservati, ora è milanocentrica. Per l’opinione, la politica, il gusto, le idee. Per la lingua: quando l’italiano era manzoniano anche i lombardi ne erano ospiti, ora si parla solo milanese in italiano, fin nell’accento e gi idioletti. È deprimente – piatta, saputa, carognesca – ma è Milano.
Politica – Va sempre lette con malizia. L’economia invece no - al contrario del marxismo volgare i cominciamenti in economia sono determinati dall’entusiasmo, e hanno finalità dichiarate: è questa la forza dei movimenti economici, in questa razionalità adattabile.
La politica è sempre una partita a scacchi. È così perché si definisce in rapporto ad altri soggetti? Ma anche l’economia è in queste condizioni. Forse la differenza è questa: l’economia è come la scienza, costruisce, perfeziona, indaga, la politica invece è come la legge, mantiene, regola, equilibra.
Resta il fatto che cercando le ragioni meno nobili non si sbaglia mai in politica.
astolfo@antiit.eu
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