Le Regionali annunciano un pesce d’aprile amaro, ma vero, ai Democratici: la dissoluzione del partito. Col voto non si può mai dire, ma il Pd ragiona e si muove come se. C’è chi se ne va, chi annuncia che se ne va, chi già dice che lui non c’era, in Puglia e in Campania, chi tace, a Bologna e in tutta la Regione, e il segretario Bersani è palesemente scoraggiato: la dissoluzione è già la realtà, seppure non dichiarata. L'uomo ha molto spirito critico, che disse. "Se non ci fosse il suffragio universale vinceremmo noi". Ma i difetti del partito Democratico non si emendano perché evidentemente non si può - sono “strutturali” si sarebbe detto quando si poteva.
Il partito Democratico non morde, lo sanno anche i sassi, perché è la riedizione del compromesso storico. Limitato e minoritario, fra i reduci sempre più assottigliati della gloriosa armata di guerra, che ha perso tutte le sinistre, comuniste, socialiste, verdi, laiche, non sa parlare alle destre, e non cerca peraltro il voto dove c’è, al centro, ma anzi lo antagonizza, in proprio e attraverso i Di Pietro, che d’Alema magnifica, e non si sa perché. Ma un partito sempre esclusivo e settario, pieno di prosopopea: un partito del potere. A partire dal centralismo democratico di quello che pure sembrava il meno berlingueriano dei continuatori, Veltroni. Durissimo e perfino fazioso nella gestione del collateralismo, Rai, giornali, giustizia, Cgil, la Banca d’Italia dell’ineffabile Draghi.
Si sono fatte rivoluzioni per questo compromesso. Non proletarie, anzi non propriamente rivoluzionarie, ma cruente. Mezza Dc è stata eliminata, e tutto il Psi, tutto il Pri e tutto il Pli, le forze non allineate. A opera del vero erede di Berlinguer, seppure in incognito, Walter Veltroni. Che da giovane costituì alla Fgci le coorti di giudici e giornalisti che liquidarono mezza politica, tutti quelli che si opponevano al compromesso storico. Costoro hanno perso, se Dio vuole, ma stanno sempre lì a dettare la linea, e a spiare, accusare, condannare. C’erano in Russia i Vecchi Credenti, e nella Germania di Weimar i Vecchi Socialisti, abbiamo in questa Repubblica weimariana e sovietica i vecchi Pci e i vecchi Dc, gente che inossidabile controlla ogni centro di potere anche piccolo, la Procura di Belluno per dire. Un partito di notabili residuali, scimmiottatori di Togliatti, di cui non sanno peraltro niente, si vede, non un partito politico, d'iniziativa, di movimebto, di tendenza: maschere.
L’auspicio era che Bersani si lasciasse dietro nel 2009, seppure dopo una strascicata elezione, gli oltre trent’anni di compromesso storico, che hanno portato sotto il trenta per cento una sinistra che è sempre stata in Italia maggioritaria. Ma ci sono dei vincoli in questo Pd evidentemente, anche se non si conoscono, o i suoi uomini, Bersani compreso, sono mediocri. È possibile, sono terze file del Pci di Berlinguer, e il berlinguerismo è una dottrina del potere e non del governo, della politica, del riformismo. Ha insegnato come e con chi comandare e mai cosa fare, come governare. Il chi limitando alla Dc, a mezza Dc, anzi a un quarto, i vecchi Indipendenti di sinistra, con l’esclusione feroce dei socialisti, dei repubblicani, dei radicali e degli ecologisti liberi, le forze cioè riformiste. Con l’obiettivo anzi dichiarato, dal fido Tatò per conto del capo Berlinguer nelle spregiudicate memorie, di mettere in crisi il vero riformismo, che ancora si esercitava a quei tempi tra socialisti e laici insieme e la Dc, delle convergenze nel rispetto delle diverse identità ideali e politiche. Questi tempi sono passati da vent’anni ma non devono essere morti. Cosa ha cambiato Bersani in tutto questo? Niente.
Bersani è stato eletto con entusiasmo limitato (http://www.antiit.com/2009/11/bersani-e-il-pdi-di-berlinguer-1975.html). Ma poteva e non ha saputo gestire le candidature alle Regionali. Non ha saputo in modo fragoroso. È perfino patetica la sua gestione della sua Bologna: invece di precipitarsi e cacciare Delbono, Moruzzi, Divani e ogni altro ladro del pubblico denaro e mercante d’influenze, come potrebbe e dovrebbe, se ne sta muto, le residue forze impegnando a far scivolare il voto sul nuovo sindaco di un paio di mesi. Quindi, il bolognese Bersani non comanda nel suo partito a Bologna. O, peggio, non può esporsi? Può darsi che il voto alla fine lo salvi, soprattutto nei ballottaggi, ma ora come ora perderebbe quattro Regioni o cinque invece di due: col Lazio e la Campania, anche la Calabria, la Puglia e la Basilicata. Tutto il Sud. Se ne può fare già il “De Profundis”.
Camuffarsi da preti?
Il compromesso ha liquidato ogni cultura politica, che non sia quella sotto l’ombrello berlusconiano. Si usa dire che la destra non esiste culturalmente, ma si fa confusione con l’opinione pubblica. La quale, in Italia ma non solo, ha perso ogni funzione euristica, ed è solo parte del potere, un piccolo pezzo, una cinghia di trasmissione – tra l’altro pagata sempre meno bene. Resterà pure a sinistra il “pensiero dominante”, ma per chi è avvezzo a leggerne i giornali è misera cosa. Tolto Berlusconi, è anche senza odio. Non ha i denti, ma nemmeno la lingua, è come se non avesse passioni. Sbava di volta in volta dietro Moretti e i girotondi, Grillo, Di Pietro, Fini, Casini, quando non è Sabina Guzzanti, ed è tutto dire.
Si vuole il Partito democratico “l’unione di tutti i riformismi”, ma è solo l’unione dei Ds con la Margherita. Con ciò che resta della Margherita, dopo l’abbandono di Rutelli e altri personaggi.
Un partito cui non si possono apparentare gli altri riformisti: socialisti, verdi, e gli stessi radicali. Che ha avuto e ha suoi distinti presidenti della Repubblica, Ciampi, Napolitano, ma non ne ha mai utilizzato o sostenuto la grande capacità di governo, in nessun campo. L’unico apparentamento è con Di Pietro, che non è riformista. Capace solo di proporre politiche che nulla hanno a che fare con le riforme, esose, vessatorie, sbirresche (che vergogna le intercettazioni!): basta leggerne i giornali, quelli dei maggiori editori, ascoltare la Rai, seguire le attività (e non attività) giudiziarie. Le cronache locali sono schiavizzate, contro ogni evidenza. Contro le vergogne anche, la spazzatura, la cocaina, i bancomat in libero uso. I magistrati pure. Con la vergognosa ideologia e la prassi del Csm, dolorosamente coperte dai presidenti della Repubblica.
Con la stessa doppia morale del Pci. I circoli sociali sono buoni quando contestano il G 8 e Ferrara, cattivi quando contestano Chiamparino e la Bresso. La chiesa fa bene se critica Letizia Moratti, sindaco di Milano, male se critica la sindachessa di Napoli. La consigliera provinciale di Berlusconi sotto inchiesta a Milano prende pagine intiere, l’ex ministro Pd sotto inchiesta a Potenza un articolo breve. Discriminazione doppia, del ministro rispetto al consigliere provinciale, e dei giudici del Sud – che sono napoletani come quelli di Milano. L’ineffabile Veltroni ha perfino fatto giuramento di antisocialismo, dopo aver negato di essere mai stato comunista, non si capisce a quale fine se non la follia. E tutti esibiscono il ripudio di ogni socialismo e un liberalismo d’accatto, molto simile a quello dell’oligarchia cinese, dell’arricchitevi e lasciatemi comandare, che naturalmente non inganna nessuno, i padroni non sono stupidi. Quando ha governato lo ha fatto con le tasse e i giudici, con la salda gestione della sua specialissima questione morale, che è la forza della giustizia, anche contro la Costituzione – perfino delle tasse ha fatto una questione di polizia.
Quando non sono gli sbirri, si parla come i preti. Come don Dossetti, naturalmente: il mercato sociale, la politica sociale, la società sociale (la società sociale?). E non si sa quanto si dicono e sono sociali i fascisti, quelli veri, da Lyndon LaRuche a Forza Nuova. Mentre i preti veri non si sciacquano la bocca, quando non si scrollano infastiditi le mani addosso dei tanti anticlericali mascherati con la tonaca. La socialità non c’entra, non in Italia, non in Europa, perfino Berlusconi ha dato una tessera ai poveri, la questione è politica: cosa vuole il partito Democratico? E se lo sa perché non riesce a spiegarlo convincendo gli elettori? È evidente a questo punto che la pochezza dei suoi dirigenti è la pochezza del progetto. L’unico verbo di questo partito è stato l’antiberlusconismo. L’opposizione non al governo ma alla persona, con i pedinamenti nelle sue (innocenti) avventure galanti, le intercettazioni, i giudici protervi. Niente, a parte lo squallore.
Senza dire che questa è poi la politica dei ricconi di Milano. Che, più ricchi di una generazione di Berlusconi, i Moratti, i Montezemoli, i Tronchetti Provera, e per questo non avendo mai “lavorato”, si ritengono a lui superiori. Un piccolo snobismo, se si vuole, che da solo non condanna il Pd, ma è orribile che un partito Democratico si faccia bandiera dei peggiori speculatori, quelli che hanno defraudato qualche milione di persone in Borsa, De Benedetti e Soru, e dei grandi tagliatori di teste e di rendite, gli inossidabili banchieri Bazoli o Profumo. Ma questa Milano è Berlusconi, anche quando non lo vota, quei pochi che non lo fanno.
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