C’è stato un tempo, non remoto, in cui la storia e la società non si esaurivano nella moneta, e questa ricerca lo fa rivivere, sebbene risalga a fine Ottocento. È l’opera peraltro di un esperto consulente di banche, che gli ultimi Nobel dell’economia monetaria hanno rivalutato, James Tobin, Lawrence Klein, Robert Mundell. Anche se Del Mar resta interdetto, per opinioni non conformi sull’usura e l’ebraismo, benché egli stesso fosse di origini ebraiche sefardite. Pesa su di lui pure l’ammirazione di Pound, feroce antiusuraio, che aveva mediato le critiche di Del Mar alle ambigue vicende del bimetallismo e del metallismo dal padre Homer, dal 1889 alla Zecca federale Usa a Filadelfia, e lo riesumò nel secondo dopoguerra nella Square Dollar Series, di volumetti a un dollaro per l’educazione delle masse, che dirigeva dal manicomio. Ma è storico di prim’ordine.
Nato a New York da Jacques e Belle Del Mar, ebrei spagnoli malgrado il nome, Alexander studiò a Londra e a Madrid, e fece l’ingegnere in California. Dopo la guerra civile fu dal 1866 nel direttivo dell’Us Bureau of Statistics, che ammodernò. Nello stesso anno fu a Torino, delegato americano al Congresso monetario internazionale. Tre anni dopo dovette lasciare l’ufficio centrale di statistica, per i contrasti col presidente David Ames sulla moneta, se essa doveva rimanere legata al metallo (specie money), come una commodity, oppure in libera creazione, benché controllata centralmente (fiat money), come egli propugnava, la moderna moneta come funzione legale. Aveva per questo fatto campagna elettorale nel 1868, in favore di Horatio Seymour, il candidato Democratico, e aveva perso. Aveva perso contro gli interessi manifesti e le manovre dei banchieri europei, specie del barone James Rothschild, che operava a Parigi, e dei loro rappresentanti a New York, che erano anche i rappresentanti del partito Democratico nel maggiore Stato dell'Unione, e lo sdegno, ancora dopo trent'anni, è all'origine di questa storia.
Originariamente intitolata “Barbara Villiers, or A History of monetary crimes”, questa raccolta di testi storici e critici documenta la manomissione della Compagnia delle Indie sul conio e la circolazione monetaria in Gran Bretagna a partire dalla fine del Commonwhealt cromwelliano, dalla Restaurazione. Grazie agli intrighi di Barbara Villiers, una bellezza poco più che ventenne, ma già sposa e vedova a sedici anni di Sir Edward Villiers, risposata, e amante in carica del re Carlo II. Era il 1662: "(Carlo II) con motivazioni immorali istituì stabilmente la Compagnia di avidi cambiavalute, prepotenti approfittatori e filibustieri. In quell’anno iniziò in Inghilterra un nuovo ordine tra gli uomini. Prima i poteri erano costituiti dalla Corona, la Chiesa, i Lord e i Comuni”.
Prima non era una festa: “L’intera circolazione monetaria in Europa ai tempi della scoperta dell’America non superava i 2 $ pro capite”. Dopo fu un saccheggio. Del Mar documenta due secoli di furti legalizzati a danno dei debitori, una forma di usura legalizzata da leggi compiacenti. Centrale in realtà non è Barbara Villiers ma il cap. “Il crimine del 1868”, che Del Mar visse in prima persona, quale dirigente a Washington del partito Democratico: la corsa elettorale vincente di Seymour fu sabotata a due settimane dal voto dal partito Democratico di New York, con voci malevole di ritiro della candidatura e articoli di severa censura. Del Mar, che negoziò per conto dei Democratici di Washington a New York il rilancio della candidatura, maturò la convinzione netta che il ripensamento fosse dovuto ai soldi dei banchieri europei. I quali puntavano al rimborso alla pari del prestito di guerra americano sottoscritto nel 1862 a metà prezzo, e lo ottennero dal candidato Radicale-Repubblicano Grant. Fu il primo atto di Grant presidente. Con un beneficio, per i banchieri europei, di almeno 5 miliardi di dollari, a carico dei contribuenti americani.
La manovra fu ripetuta cinque anni dopo, presidente sempre Grant, sempre a carico del tesoro Usa, e questa volta anche dei debitori privati, cioè degli operatori economici, demonetizzando l’argento. La questione dominerà cinquant’anni della vita politica americana (la combattuta creazione di una Banca centrale, il movimento del Libero Argento, quello della cartamoneta), fino all'elezione di Wilson e allo scoppio della prima guerra mondiale, con toni anche più vivaci dell'attuale questione della sanità pubblica, e fu il tema principale di almeno tre elezioni presidenziali. Nell’immediato, e per un una ventina d’anni, fu la rovina del settore commerciale e degli agricoltori. L’abbandono dell'argento si fece senza una legge, per un’ambigua lettura del regolamento della Zecca, e anche questa volta Del Mar ritiene di documentare che ciò avvenne nell'interesse dei creditori europei, i banchieri. L’effetto fu di “aumentare il valore dell'oro e raddoppiare così il debito del popolo americano”, mentre all'interno tutti gli operatori indebitati non trovarono più come onorare il debito, se non a costi enormemente accresciuti.
Singolare è la tenuta del libro. Del Mar è storico monetario quali non ce ne sono stati più, forse ultimamente l’avventuroso Carlo Cipolla. Storico dilettante ma di grande acume e presa sull’opinione, una specie diffusa tra fine Ottocento e inizio Novecento in America, come Henry Charles Lea, James Ford Rhodes e altri. Alcune considerazioni sono peraltro attuali: non mancò allora tra gli speculatori sul debito americano chi si atteggiava a ideologo e perfino a moralizzatore.
Alexander Del Mar, Storia dei crimini monetari, Excelsior 1881, a cura di Luca Gallesi e con prefazione di Francesco Merlo, pp. 261, € 15,50
mercoledì 27 gennaio 2010
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