Papa Woytiła aveva un’amica invece che un amico. Un’amica come amico, con la quale conversava del più e del meno, e dalla quale si fece leggere qualcosa nei lunghi momenti della malattia. Che, come tanti amici, di lui ha conservato le lettere e ne coltiva la memoria. Ma questo “disturba” la sua santità.
Si capisce che le sue “lezioni” del mercoledì sulla santità della donna non abbiano inciso. O che la donna, la diversità sessuale, è sempre diabolica. Questo è un mistero, e non lo è.
Ribattendo sul “Sole 24 Ore” alla richiesta di Liliana Cavani e Emma Fattorini di un sinodo sulla questione femminile che annulli la differenza, Lucetta Scaraffia ricorda che per primo e solo il cristianesimo ha liberato la donna. Se c’è un aggiornamento da fare, aggiunge, questo è semmai un ritorno alle origini: “Piuttosto che un adeguamento alla modernità, la continuazione e la riscoperta di un modo di pensare e operare antico”. Disincrostando la chiesa dalle posizioni di favore o privilegio acquisite dai suoi uomini, i preti e i semplici coadiutori.
Ma l’insidia è forse nel ritorno. La modernità essendo il laicismo dell’Unione europea, che il sacerdozio considera una professione, uno dei tanti aspetti orrendi di questa Europa da macero, su questo non c’è bisogno di tornare all’antico, basta aprire l’ombrello, ci libereremo un giorno di Bruxelles. Mentre è forse proprio nel “modo antico” della chiesa, paolino e dunque ebraico, consolidato nella patristica, che si annida la diffidenza verso la donna – i privilegi della tonaca sono irrisori, e alla sommatoria forse negativi. Il dialogo interreligioso fa male ad annullare le differenze: il problema è l’ecumenismo della buona volontà.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento