Era molte cose
di molta qualità. La capitale dell’editoria e delle lettere. Dell’architettura
anche. La scuola del restauro. Un centro fertile della musica. Il riferimento
del Terzo mondo. La capitale dell’artigianato, che il senatore Fanfani alla
Costituente giustamente magnificava come made in Italy anticipato. Da ultimo
anche la grande moda all’uso francese, e perfino la moda pronta, Germana
Marucelli, Roberto Capucci, Emilio Pucci, i Gucci. Non è più niente. Turisti
scappa e fuggi. Vecchi e inospitali alberghi e pensioni, nessuno più ci risiede,
ambisce risiedervi, come ancora pochi anni fa tutti gli artisti, scrittori e
ricconi dell’Europa e delle Americhe ambivano. Non si fanno più sudi, convegni,
manifestazioni culturali. Se non – rare: il pubblico è ridotto - presso le
università americane che vi hanno sede distaccata.
Una città sovietica, anche ora che il sovietismo è morto da un ventennio. Una città dell’Est, Lipsia, Dresda, prima del disgelo. Uscendo la sera da casa, dall’albergo, s’incontrano in questa città soltanto tenebre. Non è la notte urbana, rischiarata dalle luci delle insegne, dai visi ilari delle persone, ma un’ombra fredda, un cielo crudele, cupo. Il passo rimbomba pauroso, per via Cavour, per piazza della Signoria, via Cerretani, piazza della Repubblica, dopo avere attraversato il Duomo come un paesaggio ostile, guardandosi alle spalle. È l’unica città italiana con la popolazione in calo, di quasi un quarto negli ultimi venti anni. È la città con l’età media più alta della popolazione, dopo Trieste e Venezia.Firenze non ha mai avuto buona stampa con i fiorentini colti. Basti citare l'“Almanacco purgativo 1914”, compilato da Papini e Soffici coi lacerbiani e i futuristi per l’esposizione di pittura Futurista a Firenze dal novembre 1913 al gennaio 1914: “È Firenze quella cosa\ dove tutto sa di muffa\ tutto vive sulla truffa,\ “Movimento forestier”. Si vuole fiorentino lo spiritaccio. Ma anche quello è sparito, insieme con gli spiriti colti, che ancora pochi decenni fa facevano la lingua e la letteratura italiana, forti della convivialità, dei punti di incontro letterari giustamente famosi e anzi mitici, e delle case editrici dal fiuto fine. Ma non ci sono più gli editori, e nemmeno i caffè.
La città ha perduto, con gli stranieri colti, anche le attività tradizionali, le vigne, gli olivi la finanza, la moda (tessile, pelletteria, paglia, bigiotteria), l’arredamento, gli studi, e non se ne è dati di nuovi, è solo un cimitero di dipendenti pubblici. Il centro urbano, che a Firenze è in realtà la città, è abbandonato anch’esso. Le librerie storiche hanno chiuso per inattività, prima che per la speculazione sui suoli, Seeber e Marzocco. E le moderne sono prossime a chiudere, Martelli e Edison – perfino Feltrinelli a Firenze non si trova bene, che nella città aveva sperimentato favorevolmente cinquant’anni fa la sua rivoluzione, i libri a portata del lettore. I residenti sono pochi e sparsi. In alcune parti il centro urbano è perfino degradato, stabilmente, dai fatidici quarant'anni. Parti anche monumentali: su tutte la piazza Santa Maria Novella, luogo a lungo dello spaccio libero cittadino di ogni tipo di droga, e l’area intorno, tra la Stazione e via Tornabuoni, la strada delle boutiques, col borgo Ognissanti, parte nevralgica della geografia mentale dei fiorentini, e la piazza Santa Croce, nuovo centro dello spaccio libero, la piazza antistante la basilica delle memorie nazionali.
Non ci sono cinema, più, in città, non ci sono più teatri - perfino La Pergola, teatro storico, è minacciato di chiusura. I prezzi sono depressi, fuori dalla aree turistiche: ipermercati e supermercati attorno a Firenze praticano i prezzi più bassi di tutt’Italia, estremo Sud compreso. C’è una moltiplicazione abnorme di piccoli e piccolissimi esercizi commerciali. Molti scrostati, ingialliti, invecchiati, per una redditività evidentemente insufficiente. Mentre non ci sono più i negozi con una qualità e una storia, della casa, l’arredamento, l’abbigliamento, le posaterie, le porcellane e le ceramiche. Da tempo aveva perso, già negli anni 1960, l’arte contemporanea, ora non ha quasi più antiquari, che per oltre un secolo ne hanno costituito l’ossatura e il richiamo di un turismo facoltoso. Non ha più gli anglo-fiorentini ricchi di un tempo, naturalmente. Nessuna innovazione urbanistica, architettonica, di servizio più da molti anni, in questa città dell’architettura, se non distruttiva. Nessun investimento. Firenze ha semplicemente perduto la moda e il design, quando sono diventati business, senza nemmeno tentare una resistenza, un rilancio.
Capitale di una regione, peraltro, che da gentile è diventata arcigna, sotto la stessa bandiera culturale e politica, la politica degli affari. Con una banca plurisecolare, il Monte dei Paschi di Siena, portata rapidamente dalla politica affaristica al quasi fallimento. Dopo la secolare Fondiaria a Firenze. Con una fiscalità indiretta da levare il respiro. Specie per i forestieri, multati e tartassati con protervia. Sempre per la fame di denaro dei celebrati enti locali. Anche con semafori taroccati e falsi autovelox, camuffati, abusivi a pochi metri da repentine riduzioni della velocità, le nuove specialità toscane. Dove le celebrate gallerie, accademie e istituzioni museali non aprono la sera, e nemmeno i giorni di festa, per la tutela che si vorrebbe del sindacato. E gli ospedali respingono i non residenti peggio che nella esecrata America - prima di Obama. Perfino morire non conviene a Firenze, le incinerazioni dei non residenti sono tassate.
La città monumentale, che è nei sogni di tutti gli italiani e di mezzo mondo, è stata ridotta a un’isola pedonale enorme, che ha portato alla chiusura dell’artigianato, a un terziario dubbio, e a un’impressione indelebile di sporcizia. Il turista vi è portato infatti al disordine e all’irrispetto. Scrive sui muri dell'Accademia e dei portici degli Uffizi nelle lunghe code, si stravacca su ogni superficie piana a pancia in genere nuda, sporca ogni zoccolo o scalinata di marmo o pietra serena di coca-cola e pizza unta. Il netturbino non fa in tempo a passare col suo carretto che la piazza tra il Duomo e il Battistero è di nuovo ingombra. Il commercio ambulante di collanine, cotonine e “false” borse è invasivo, non un metro quadro è lasciato libero. In gestione ai nordafricani, insieme con alimentari e macellerie, in attesa che arrivino i cinesi?, senza più carattere. In un quadro che si vuole d’indulgenza e libertà per tutti ed è invece di piccola, micragnosa, corruzione. Se uno prova a immaginarsi i mercati africani quando arrivavano i coloni coi vetri e le cotonine, questo è ora, a parti rovesciate, Firenze.
Un giro del famoso mercatino di San Lorenzo, il prototipo di questa grande invenzione italiana, leva il respiro per la mediocrità dei prodotti. Di questo ch’era il mercato popolare della moda, subito adattata nei colori, i materiali, le forme. Tenuto ora dai soliti nordafricani senza carattere, con merci presumibilmente cinesi di Prato. A profitto, certo, degli immobiliaristi dei piani terra e seminterrati, di chi ha comprato a prezzo vile. Ma in un disegno generale di depressione imposta. Il cui quadro sono le cronache cittadine, le cronache dei giornali, dove c’è il vuoto. Nulla, a parte la Fiorentina, la squadra di calcio, e la cronica questione Isozaki-porta degli Uffizi, o l’archivio Zeffirelli. Potrebbero essere i giornali di una città fantasma.
È una città che non ha un’anima. Non ha gioventù. Non ha un ruolo né un’idea: si è eletto il sindaco più giovane d’Italia, che però non sa altro che interpretare il suo ruolo. In continuazione viaggia come ambasciatore di un nome glorioso, a cui nessuno rifiuta un’udienza, sia pure fuggevole. Per tenersi forse lontano dagli affari che scottano: non è facile per un democristiano recuperarne la gestione dopo quarant'anni di sovietismo, seppure mascherato. Mentre le strade sembrano bombardate, da tanto non si rifanno. I conti lasciando aggravarsi in meno di un anno di una sessantina di milioni.
Perfino gli Uffizi si visitano sempre meno, in proporzione ai turisti che girano l’Italia. Se non fosse anzi per le scolaresche, che hanno l’obbligo di visitarla, la superba Galleria sarebbe tra le meno frequentate d'Italia. La città non ha più cucina: ha i ristoranti con le stelle ma non ha più la cucina che ne faceva l’eccellenza in tutta Italia fino a quarant’anni fa, anche trenta - non ci sono più i grandi ristoranti fiorentini alla moda a Roma, a Milano. E il centro ha ristrutturato per i grandi interessi, pochi solitari milionari. Pur votando al 50 e passa per cento l’ex Pci, da quasi quarant’anni, pronubo Fabiani, il sindaco della riconciliazione nel dopoguerra - all'insegna, è vero, del Grande Silenzio. E non smette, malgrado tutto: ha tentato di scrollarselo di dosso votando Renzi un anno fa, come un tempo votava La Pira, ma senza effetto. E questa è la ragione dello squallore, la principale e anche l’unica. Corredata, certo, da una corruzione da far accapponare la pelle, anche per gli standard italiani.
Corruzione
Una città che non tassa solo il respiro. Senza che si sappia dove i soldi vadano. O meglio si sa, ma non si dice: in una burocrazia pletorica, quasi tutta incompetente, per il quaranta per cento assenteista. Due impiegati su cinque sono pagati per non andare. Si assumono spudoratamente le figlie e le amanti. Basta passare sempre dal Partito. In nessun’altra città la pratica, ogni pratica, è un giro dell’oca come a Firenze. Di rapido ci sono, al Comune e alla Regione, solo le pratiche edilizie. Fatte dove si deve, al Partito, come si deve. Nella città forse più regolamentata al mondo, dove vi contestano pure l’ombra di verde alla persiana, c’è un catalogo dei verdi alle persiane, si può costruire impunemente dove e come si vuole. Si costruisce ovunque, anche tagliando le colline. Anche tagliando le Cascine. E comunemente triplicando le volumetrie, cambiando a piacimento le destinazioni d’uso. Quante ville non sono diventate condomini o residences (Rta) o multiproprietà, con estensioni di garages, cantine, soffitte.
Sotto l’ala di una Procura della Repubblica, quella del mostro di Firenze, che non smette di stupire. Terribilista con chi non c’entra. Tanto quanto è accomodante con gli amici dei compagni. Per troppi casi ormai giudicati, in cui chi doveva non è stato perseguito e il suo nemico sì. La Procura di Firenze controlla tutti i telefoni e poi colpevolizza chi vuole. In una regione dove non si costruisce solo sulla Torre Pendente, per la statica che non lo consente. Neanche sul campanile di Giotto, è vero. Ma san Domenico si, il posto del Beato Angelico: la collina da millenni immutata si può sventrare per un complesso sanitario alberghiero in verticale della ditta Bigazzi-Reali, sanità privata umbra e industria della paglia di prato, establishment laico, ex repubblico-comunista, concordato col sindaco compagno Domenici e non discusso dal sindaco amico Renzi, le vie del popolare sono lastricate di peccati, miliardi di metri cubi, senza comprendere la aree di servizio.
Si può dire Firenze la città politicamente più conformista d’Italia. Non solo al voto, sempre plebiscitario per il Partito signore della città, ma nell’organizzazione della cultura e nell’opinione. Si leggono "la Nazione", il “Corriere fiorentino” e “Repubblica Firenze” con la morte nel cuore: la società civile fiorentina, che si rappresenta nei suoi grandi quotidiani, è borghese fino all’estenuazione, di frasi fatte e stereotipi. A Firenze due elettori su tre votano “pe’ Ippartito”, non ci sono paragoni possibili di conformità – forse la mitica Bulgaria. Si porta ora Firenze a modello per la sanità, come quaranta o cinquant'anni fa si portava Bologna a modello per la gestione sociale e del territorio. Ma sono residui del vecchio linguaggio sovietico, i modelli sono roba da Comintern.
La verità è che Firenze è, dopo Bologna, la città italiana peggio governata, basta uscire dalle rispettive stazioni: le squadre di calcio fallite, in entrambe le città, che solo imprenditori e avventurieri forestieri tengono in vita, a Bologna anche il basket, reddito medio stagnante, cioè in forte calo in termini reali, ruolo di attrazione azzerato, perfino rispetto alle province di appartenenza. Firenze si governa con troppe tasse (comunali, provinciali, rionali, tarsu o tia, acqua, tariffe da cravattari sull’occupazione del suolo per ristrutturazioni, traslochi, parcheggi) strutturate contro l’universo dei cittadini, e quindi contro i meno abbienti. Con servizi non molto migliori rispetto a Enna o Reggio Calabria. Ma con la pretesa di essere una sorta di capitale morale della sinistra, coi no global , i writers e gli ambulanti. Come se la corruzione fosse connaturata alla sinistra, a certa sinistra. on le squadre di calcio fallite, in entrambe le città, che solo imprenditori e avventurieri forestieri tengono in vita, a Bologna anche il basket, reddito medio stagnante, cioè in forte calo in termini reali, e ruolo di attrazione azzerato, perfino rispetto alle province di appartenenza.
Il Comune, in questa città che potrebbe essere ricchissima, e malgrado tassi pure l'aria, ha un debito di seicento milioni. Che copre per un terzo con gli swap, la “finanza creativa” che ha creato la crisi mondiale. Alla quale non paga gli interessi. Prontamente sostenuto dalla Procura di Quattrocchi, che sequestra gli attivi delle banche creditrici e ne minaccia di arresto i dirigenti. Motivo? Estorsione, la giunta Renzi non riconoscendo i debiti della giunta Domenici. Sembra fantacronaca, i Democratici bianchi contro i Democratici Rossi. Ma è quello che avviene. Con Quattrocchi, il Procuratore Capo, che rifà genialmente “l’Unità” - accusare le banche di estorsione è geniale, non c’è che dire, anche se da briganti.
Una corruzione “normale”, di cui si è sempre saputo in città: tutti gli affari, che a Firenze sono immobiliari, e gli appalti, si sono fatti per mezzo secolo alla federazione locale del Pci, sopravvissuta a tutt’e quattro le trasformazioni del partito. Ben condotta, “equamente divisa” direbbe Stendhal, al punto che la destra ha sempre rinunciato a candidarvi personaggi che potessero dare disturbo. Ma “è di sinistra”, si chiede un epigramma di Arbasino, “prendere i soldi buoni dei turisti stranieri offrendo servizi di merda tanto loro sono coglioni e noi furbi, soprattutto a Firenze”? Si fanno cadere, e si fanno, sindaci e amministratori su singoli progetti immobiliari, come quello di Castello, e questo è l'unico argomento politico in città.
L’ex Fiat, Novoli e Sesto, e ora Castello: Tangentopoli ha devastato Firenze, lasciando all’ex Pci una posizione di potere imbattibile, già al tempo dei sindaci laici o socialisti, ma con la distruzione della città. Incatenata la pubblica attenzione su Isozaki, se fare o no la tettoietta sull’entrata secondaria degli Uffizi disegnata dall’architetto giapponese, se ne discute da un quarto di secolo, si è fatto intanto scempio delle Cascine a Porta al Prato, con la scusa di un multimilionario e non finito sottopasso per evitare un semaforo sull’Arno - il parco ne è ora l’area di rispetto. E si è trasferita l’università, roba da centinaia di milioni, di tangenti. Tutta l’università, che costituiva l’anima di Firenze, un centro d’attrazione sul resto d’Italia, con le punte d’eccellenza di Lettere, Architettura, Scienze Politiche, è stata ributtata in periferia, per nobilitare zone di nessuno a scopo speculativo. L’area scientifica a Firenze Nord senza riscaldamento. L’area umanistica a Novoli, nel deserto umano.
Un caso fra i tanti, quello delle Cascine. Si pubblicano foto eloquenti del degrado del parco, ma senza sottolineare il fatto. Anzi annunciandone l’ingrandimento, l’abbellimento, la valorizzazione. E questo significa che l’opinione, dopo un regime di quarant’anni, è insensibile. In nessun’altra città si potrebbe devastare impunemente un parco pubblico, tanto meno un parco con tanta storia, tanto potere evocativo. Il parco pubblico probabilmente più antico, prima ancora della villa Borghese a Roma, della Favorita a Palermo. O il caso del polo scientifico dell'università. A Firenze Nord una delle avventure immobiliari che fanno la corona della città è contro le regole, e non può essere messa sul mercato. Rileva l’immobiliare il Comune, una quindicina d’anni fa, per venti miliardi, e ci trasferisce le facoltà di Scienze. Ma tutto l’interno va rifatto, i corridoi, gli accessi, le prese di corrente, gli scarichi. Senza contare due ore di pendolarismo ogni giorno per chi ci lavora, via autostrada Firenze Certosa-Firenze Nord, sempre intasata. Senza parlare dello scomodo per gli studenti: le comunicazioni della provincia sono su Firenze e non questa (ex) campagna. Ma niente. Senza contare la desertificazione della cultura – Firenze è ora una piccola università locale. E lo squallore della città abbandonata.
Con l’università sono andati nelle aree della speculazione anche gli uffici amministrativi e giudiziari. Non tutti, per i restanti il partito Democratico e lo stesso sindaco Renzi, prontamente allineato agli interessi dei "traslocatori", sta trovando qualche resistenza in consiglio comunale, anche al suo interno. Ma il trasloco è già sufficiente ad avere la città mattina e pomeriggio nell’ingorgo, in questi nuovi centri di periferia. Anche entrare e uscire dall’autostrada è un problema a Firenze. E uesto è tutto il progetto: affidare la città ai Nuovi Interessi immobiliari.
Modello Toscana
Tutto questo in un singolare silenzio. La città è governata da una mano occulta, si dice. E non può che essere così, il “silenzio degli innocenti” deve avere qualche padre, o gestore. Non si spiega altrimenti che per una linea del tram siano stati spesi più soldi che per le case dell’Aquila senza che nessun apparato giudiziario abbia mai indagato, nemmeno una piccola intercettazione. Del resto non è stato indagato nemmeno il “mostro di Firenze”, se non per ridere, una ventina di assassinii sono stati lasciati impuniti. Senza reazioni, bisogna dire, della città. Che guarda ammutolita, come drogata.
Un ammutolimento garantito peraltro dai giornali, che quando c’è la pista giusta la occultano. Un paio di mesi fa l’arresto dell’ex capogruppo in Comune del partito Democratico, un diessino, a capo della “cupola del cemento”, ha meritato non più di una notiziola Ansa, un giorno solo. È anche vero che il capo cupola era stato indagato e denunciato dalla Stradale. Dalla polizia Stradale. Non ci sono carabinieri in questa città, non ci sono giudici, non ci sono nemmeno giornali, giusto della Fiorentina si può parlare, e di Isozaki. Qualsiasi ufficiale dei Carabinieri sa la verità, ma alla Giustizia non interessa. Neppure all’Arma, bisogna dire, la “cupola” a Firenze è vastissima, gratificante, sicura. È l’unica Firenze residua, città di cupole, un mostro.
Non si può dire del resto Firenze un caso mostruoso isolato: è il modello Toscana. Una regione ombrosa, che al coperto del vecchio repubblico-comunismo sta sperperando il capitale accumulato con i Lorena. Svuotata di ogni contenuto, l’industria tessile, meccanica, conserviera, l’artigianato, immenso serbatoio di occupazione e creatività. E i vini ha senza sapore, l’olio d’oliva adulterato più spesso che non, da march insigni svenduti a multinazionali rotte a tutto. Un modello, un nome, che ancora vende, ma sempre più sfiorito, perché la base non c’è più, da Prato al Chianti. Imbruttita dai sordi interessi locali, a Firenze, Arezzo, Pisa, Siena. Di cui non si parla, anche se a Siena si producono da un decennio lotte al coltello tra fratelli compagni, all’università, al Comune e al Monte dei Paschi, in banca e alla fondazione - tra nemici personali? tra opposte logge? Tra echi quotidiani di taglieggiamenti, soprattutto sulle strade, con autovelox occultati, dietro sbalzi improvvisati dei limiti di velocità, autovelox falsati, nella taratura, nell’angolazione, semafori intelligenti col trucco.
È questa la specialità in particolare dell’Aurelia in provincia di Grosseto e della Firenze-Siena. E spiega tutta l’opposizione toscana alle autostrade: i Comuni vogliono garantirsi il loro milione extra, ognuno, di entrate annue, a spese del viandante, come ha sempre usato dal tempo dei banditi di strada. La Maremma è specialmente amara per chi ci deve viaggiare, di destra (il comune di Orbetello) e di sinistra (Magliano, Grosseto et al.). Ma tutta la Toscana, luogo di passo obbligato Nord-Sud, lungo la Bologna-Firenze-Roma e l’Aurelia, nonché la Firenze-Siena e la Firenze-Mare, è una serie di trappole, senza vergogna, per estorcere denaro agli automobilisti. Al coperto cella sicurezza della circolazione, che invece ne viene minacciata – a quanti sorpassi azzardati non costringe la virtuosa Toscana.
Il modello Toscana è la più rigida regolamentazione accompagnata dalle peggiori brutture. Asor Rosa è riuscito a fermare la lottizzazione di Montalcino (ma non del tutto). Ma non quelle del litorale apuano, altrimenti detto Versilia. Che ora ha, da Bocca di Magra, alla frontiera con la Liguria, a Marina di Pisa, fiumi e fiumetti sporchi oltre ogni limite, acque putride la gran parte dell’anno (con la Bandiera Blu: anche Lega Ambiente fa parte del sistema?), e spiagge già profondissime sempre più ristrette. La patria del commercio ambulante illegale e della prostituzione “nigeriana”, con coca, sempre ben protetta, ormai da un trentennio, da Livorno a Massa Carrara. Ma tutta la costa si vede in più punti derelitta, esclusi i luoghi del turismo di lusso, che si proteggono da soli (Forte dei Marmi, Punta Ala, Ansedonia).
Quarant’anni di berlinguerismo hanno desolato molte città, Bologna e Firenze in testa. Con le tasse e la speculazione. Ma Firenze supera ogni immaginazione. Era “città senza alberi” già al tempo dei racconti italiani di Margherite Duras, negli anni 1950. Ma è stata anche all’avanguardia nella “sanitazione”: la prima isola pedonale, la prima Ztl. E ha ora il record della tossicità dell’aria. L'unico progetto di viabilità all'interno della città è un anello a scorrimento continuo e privilegiato, che c'è solo a Bursa, in Turchia, ed è infernale.
L’Arpat Toscana vi è singolarmente incapace, l’agenzia per l’ambiente. Buona a imboscare il partito degli Intelligenti, ingegneri e architetti, che maturano stipendio e pensione mentre trattano gli affari propri. Hanno autorizzato Monticchiello, ma se sposti un sasso in giardino senza prima essere passato dalla Federazione, un sasso vero, non un muro, sono capaci di risalire ai regolamenti del granduca, anzi degli etruschi, per multarti e perseguitarti. Sono tanto assenti quanto inflessibili, su indicazione del federale locale del partito.
Fine regno
La cronache del fine regno ex Pci sarebbero esilaranti, una macchietta del sovietismo, non fossero anche drammatiche. Tre anni fa la città si segnalava per il Cioni. L’assessore Cioni, che aveva decretato l’arresto dei lavavetri al semaforo. O dei mendicanti, che voleva chiedessero l'elemosina stando in piedi sul marciapiedi e non sdraiati. Un personaggio venuto fuori da una novella del Fucini, rustico, incapace al di là di ogni immaginazione, che però gestiva l'urbanistica, la “messa in valore” della aree e i grandi lavori. Nell’impunità totale. “Seguo la lezione di Lenin “, disse qualche settimana dopo l'arresto dei lavavetri a “Repubblica” il sindaco della città, il bello Domenici - una lezione subito seguita peraltro da Cofferati a Bologna, lo stesso che dieci anni prima aveva sberleffato e affossato una proposta ben più sensata del sindaco di Milano, che “togliamoli dalla strada”, diceva, “diamo loro un minimo di mestiere e se possibile anche un’attività”, si vede che il leninismo è proprio una questione di lavavetri.
Il Cioni, dunque, come comodo punching-ball, un altro Isozaki. Ma un anno dopo qualcosa si muoveva nel pur copertissimo vaso di Pandora della corruzione. E tuttavia le cronache locali celebravano Domenici come il miglior sindaco che Firenze avesse avuto, il più amato. Il più amato anzi tra tutti i sindaci di Toscana. Anzi tra tutti i sindaci d’Italia. A prova di sondaggio. Azionato dal Cioni. Che si penserebbe a questo punto personaggio scanzonato. Se non che bisognerebbe chiedersi perché i fiorentini, che sono tanti Cioni scanzonati, avessero paura, perché si facessero prendere per i fondelli senza reagire. Domenici più popolare di Veltroni, che era pure un’eresia, allora, nel partito Democratico.
Sei mesi dopo, Domenici è minacciato d’indagine. Proprio lui, il bello-e-onesto. E allora protesta, creduto. Va a Roma e s’incatena davanti a “Repubblica”. Poi torna a Firenze e chiede all’assessore “cosa si sta facendo” al Castello. Al Cioni. Castello è la lottizzazione del futuro di questa Firenze, ma il sindaco dice di non sapere. È l’unico, ma gli inquirenti gli credono. L’operazione Castello è l’ultima delle grandi lottizzazioni portata in dote a Ligresti da Fondiaria, e dalla borghesia ricca fiorentina che stava dietro Fondiaria. Un'area più grande di Novoli, ma Domenici poteva non sapere per la Procura fiorentina. La stessa che dopo due anni d’intercettazioni, non avendo ancora trovato la puttana di Bertolaso, comunque lo sputtana. Forse non tutto è perduto, per la corruzione, a Firenze - è un oceano troppo grande.
Che fare? In città non si può fare niente, l'inerzia del giovane Renzi è eloquente. Non resta forse che “nazionalizzare” la città, se è un bene dell'umanità, prima che sia troppo tardi: tra un po' ne piangeremo la scomparsa.
3 commenti:
Tra i monumenti celebrati, passata l'ora dei turisti, alle sette di sera, i giorni di pioggia, un posto di fantasmi. Evidentemente con i denti.
Destra e sinistra contano poco, o il Pci ex. Firenze resta il fulcro della massoneria come gruppo di potere, che governa la Toscana ormai da secoli. Ultimamente come repubblico-comunisti ma sempre per gli affari con le buone parole. Tutto si tiene da sempre a Firenze, le professioni, l'accademia, la giustizia, la stampa, niente di nuovo. Ora forse sono specialmente mediocri. Se si sono ridotti alle lottizzazioni, Castello dopo Novoli.
Ma bisogna pur dirlo ogni tanto.
Quando (mai) faranno il processo alla ex giunta Domenici per i tanti affarucci trattati scopertamente?
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