C’è stato più di un sospetto di congiura contro l’euro in Europa nelle ultime settimane, ma l’Italia non lo sa. Sono cose dell’altro mondo, sarà questa la ragione per cui i quotidiani che fanno l’opinione in Italia non l’hanno degnata di una riga, ma non c’è ragione per non saperle. Anche perché Jürgen Stark, l’economista capo della Banca centrale europea, ex Bundesbank, in una lunga intervista allo “Spiegel” nel penultimo numero (12 febbraio), intitolata “Siamo tutti peccatori al momento”, conferma che qualcosa c’è stato: “Ma vorrei segnalare un punto in questo contesto: la Gran Bretagna ha un deficit della stessa grandezza della Grecia. Anche il deficit Usa è superiore al 10 per cento del pil. Tutte le economie avanzate hanno attualmente problemi. In effetti, stupisce vedere da dove la maggior parte delle critiche all’euro vengono in questa fase”. E cioè dai giornali anglo-americani: “In ogni caso, molto di quello che scrivono si legge come se volessero distrarre l’attenzione dai problemi del loro proprio cortile”. Sono diverse, dice Stark, le critiche in Europa: “Queste sono una buona cosa. Non ho problemi con le critiche, ma non mi piacciono gli eccessi… La speculazione è una parte dell’economia di mercato, non sto a dire se positiva o negativa. Tuttavia, la situazione attuale indubbiamente favorisce gli eccessi. Per questa regione non posso escludere che degli speculatori stiano attualmente amplificando i processi”.
Tra metà dicembre e fine gennaio, quando il dollaro ha riguadagnato sull’euro l’11 per cento, si sono diffuse molte voci sull’insostenibilità del debito greco, dapprima, poi di quello spagnolo. La fonte era sempre la stessa, Nouriel Roubini, il consulente bancario di New York che è stato reso famoso per avere previsto il crollo del 2008 - che tutti avevano visto arrivare, non c’era bisogno di prevederlo. Quando Roubini puntò il dito sulla Spagna, Zapatero si precipitò al forum di Davos, per preannunciare tagli al debito, mandò la sua vice a Londra, a preannunciare altri tagli, e al ministro dello Sviluppo Blanco, lo Scajola iberico, suo vice al Psoe, il partito Socialista, confidò la denuncia della speculazione, subito ripresa dal “Paìs”.
“Niente di ciò che accade al mondo, compresi i commenti dei giornali stranieri, è casuale o innocente”, dichiara Blanco, che rileva,come tutti, l’assoluta indisponibilità dei banchieri a nuovi controlli, e specifica: “Tutto ha uno scopo. I commenti apocalittici sulla situazione economica in Spagna non aiutano il nostro paese. C’è un attacco sull’euro al quale si dovrebbe dare una risposta”. Nulla di più ovvio. Ma il governo spagnolo chiama in causa nominativamente il “Wall Street Journal”, il “Financial Times” e l’“Economist”. Blanco non li cita, ma chi ne riferisce l’intervista lo fa ripetutamente. Il concorrente moderato del “Paìs”, “El Mundo”, di proprietà del “Corriere delLa sera”, è tentato di non sostenere il governo, ma poi in qualche modo concorda, coprendosi con un “si afferma alla Commissione Europea”, forse dal vice-presidente Almùnia: “Più che una cospirazione politica, sembra proprio esserci un gruppo di hedge funds e fondi speculativi che cercano di uscire dalla crisi ripetendo il gioco del 1992, quando per guadagnare molto in poco tempo bastava scommettere quale moneta europea si svalutava prima”.
Il Financial Times” risponde l’8 febbraio, cioè non risponde. Fa dire a uno dei suo blogger, Alphaville, a firma Izabella Kaminska, una giornalista austriaca trapiantata a Londra, che Blanco è paranoico, forse. Izabella ridicolizza il ministro citandolo nella maccheronica traduzione automatica di Google. Sulla quale può concludere: “Questo, naturalmente, suona un po’ paranoico”. Aggiunge anche che non è la prima volta che “i governi Cee” si lamentano. E un lettore della rampante Izabella non sa a cosa si riferisce se non si ricorda che vent’anni fa la Ue era Cee, Comunità economica europea. Nei commenti al blog non manca, “naturalmente”, chi dice la Spagna e Blanco un po’ nazisti, come la Germania e Hitler - ma non sono mancati nella stampa spagnola i richiami alle origini corsare della finanza britannica: quando la Corte di St. James condannava la pirateria e concedeva patenti di nobiltà a Francis Drake e compagni.
Domenica 14 “El Paìs” dà in prima pagina, molto ampiamente e seriamente, notizia di una serie di contatti presi dai servizi segreti (Centro Nacional de Inteligencia) con banchieri e operatori finanziari per accertare se c’è stata speculazione contro l’euro puntando sui titoli di debito spagnoli: “La divisione di Intelligence economica indaga sugli attacchi concentrici degli investitori e l’aggressività mostrata da alcuni mezzi di comunicazione anglosassoni”. Martedì 16 l’Ubs, la banca svizzera, non richiesta, fa un lungo comunicato che nega ogni speculazione, per dire cioè che c’è stata.
Il 17 febbraio, dopo due settimane, risponde a Blanco il “Wall Street Journal”, con un commento intitolato “La teoria europea della congiura”. Il commento assicura che “la paranoia è abitualmente un sintomo, e non la causa, della decadenza di una civiltà”. E afferma che l’Europa, colpita dalla crisi, “è caduta vittima di questa malattia”. Non dice però perché l’euro ha perso l’11 per cento in una settimana, per quale motivo di reale squilibrio economico col dollaro.
Il 19 febbraio il giornale greco “To Vima”, la tribuna, rivela che secondo i servizi segreti greci (Eyp) quattro grandi hedge funds hanno venduto a dicembre “in misura massiccia obbligazioni greche, che ricompravano a prezzi ridotti a fine giornata”. Il giornale nomina i fondi americani Moore Capital, Fidelity International, Paulson & Co, e quello britannico Brevan Howard, come operatori della manovra. Il premier greco Papandreu commenta la notizia, così come in precedenza, spiegando che sotto attacco non era la Grecia ma l’euro. Brevan Howard ha smentito. Ma solo per far sapere che, dopo dicembre, non ha più fatto operazioni sul debito greco - come dire agli investitori: “Tranquilli, è tutto guadagno, siamo usciti prima”.
Non c’è congiura, “naturalmente”. Anche se il rating del debito greco, il giudizio delle agenzie di valutazione internazionali, cioè angloamericane, era a dicembre lo stesso che per il debito italiano, anzi per Standard & Poor lo era fino a metà gennaio. E anche se la Spagna, dopo l'uscita di Blanco, è uscita dal mirino, come per un colpo di bacchetta magica Malgrado i suoi 4,5 milioni di disoccupati, nessuna prospettiva di ripresa quest’anno, e forse nemmeno l’anno prossimo, e i 300 miliardi di debiti dell’immobiliare che molti considerano incagliati e irrecuperabili. L’editoriale del “Wall Street Journal” si chiudeva minaccioso. Il complesso della congiura, ammoniva, “allarmerà gli investitori molto più di qualsiasi editoriale critico di giornale”. E invece nulla è successo: l’euro, dopo il crollo a 1,35 sul dollaro a dicembre, a febbraio non ha avuto la seconda scossa, è ancora lì, anzi in leggero rialzo.
Tutto questo mentre i Nobel per l’economia davano man forte a questo o quello schieramento. Robert Mundell agli speculatori, specificamente contro l’Italia, mentre Stiglitz chiedeva “il rogo per gli speculatori”. Una battaglia di giganti, di cui il lettore italiano ha potuto non sapere nulla: i giornaloni italiani, così lesti a riferire cosa pensa nel sonno l’“Ft”, o il “Wall Street Journal”, non ne hanno fatto cenno. Nessun cenno a Stark, nessuno alle indagini spagnole, né alle indagini greche, e neppure alla servizievole Izabella, donna di sicuro futuro. Ma la distrazione esiste, non è da presumere che le banche e i fondi speculativi paghino i nostri giornalisti.
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