astolfo
Assassini (Hashishin) - Hassan-i-Sabah era un giovane sciita persiano, nativo di Qom, uno dei primi centri della colonizzazione araba dell’Iran, bastione dello sciismo duodecimano, educato alla religione nella vicina Ray (Teheran). A 17 anni, nel 1071 dell’era cristiana, Hassan incontrò a Ray un maestro ismailita. Ne divenne amico con diffidenza, perché gli ismailiti “filosofeggiavano”, termine blasfemo per una persona pia, su Dio. Ma un anno dopo anch’egli era ismailita professo.
Hassan lasciò Ray, la famiglia e gli amici, tra i quali il poeta Omar Khayyam, e si recò in Egitto, sede della dinastia Fatimide che privilegiava gli ismailiti. Vi giunse nel 1078, vi restò tre anni, peregrinò per la Persia per altri nove, e nel 1090 si prese il castello di Alamut, nel massiccio montuoso degli Elburz che dominano il Caspio. “Il resto del suo tempo fino alla morte (nel 1124)”, ha scritto il cronista Rashid el Din, “lo passò nella sua dimora, occupato a leggere, a stendere sulla carta le parole della sua missione, a amministrare gli affari del suo regno, con una condotta di vita ascetica, sobria e pia”.
Potrebbe essere l’agiografia del perfetto re, saggio e previdente. E invece Hassan fu il creatore e il capo della setta degli Assassini, che per oltre un secolo e mezzo, fino a che Alamut non fu presa e distrutta dai Mongoli nel 1256, “mise d'accordo, con l'efficienza che lo distingueva, l'assassinio e le arti liberali” (Freya Stark), insanguinando l’Oriente islamico, e anche la cristianità. Nel 1158 un Assassino fu trovato nel campo di Federico Barbarossa che assediava Milano, assoldato evidentemente dai milanesi. Nel 1195 a Chinon gli invasori inglesi scovarono ben quindici Assassini, assoldati dal re di Francia per uccidere Riccardo Cuor di Leone. Sei anni prima, il 28 aprile 1192, due Assassini avevano ucciso a Tiro Corrado del Monferrato, re di Gerusalemme, mandati dallo stesso Riccardo. Alcuni dei successori di Hassan tentarono perfino una politica di alleanze. Tracce di missioni diplomatiche degli Hashishin sono rimaste in varie cancellerie europee.
Hassan è il famoso Veglio, Vecchio, della Montagna, la cui memoria nel 1273, ad avventura finita, elettrizzò Marco Polo in viaggio verso la Cina. Marco Polo racconta con meraviglia come il Veglio si portava in soggezione i giovani suoi futuri sicari. Li faceva trasportare addormentati in un giardino bello come il Paradiso terrestre. Quando poi ne aveva bisogno per un agguato li faceva trasportare, sempre addormentati, dentro il suo palazzo. E alle loro inevitabili lamentele sul Paradiso perduto, spiegava che la missione da intraprendere era la sola maniera per riguadagnarselo.
Il racconto di Marco Polo è contestato dagli storici, non solo islamici. Il termine hashishin è storico, ed è il nome arabo della setta Nizari dello sciismo ismailita. Sarebbe derivata però non dall'uso dell'hashish ma dal nome del capo, Hassan-i-Sabah. La setta Nizari, di cui Hassan fu a capo, nacque sotto la dinastia fatimide ismailita sulla successione del califfo Ma'ad el-Mustansir Billah. I Nizari si chiamarono el-Da'wa el-Jadida, il Nuovo Appello (alla conversioe), in opposizione al Vecchio Appello fatimide.
E tuttavia è certo che quella del Vecchio della Montagna fu una vera internazionale del terrore. Così come è certa la derivazione di "assassino" dal nome popolare dell setta. Nel Paradiso di Alamut i giovani si esercitavano a parlare il latino, il greco, le lingue romanze e l'arabo, a cambiare personalità, a volteggiare come acrobati, all’obbedienza assoluta. Marco Polo spiega che si seguivano già i criteri dei moderni servizi di spionaggio: ogni killer era messo alla prova, veniva eliminato se la missione falliva, ed era seguito e controllato segretamente da un’altra persona. Assoluta doveva essere anche la simulazione. Subito dopo la presa di Alamut, ha scritto Rashid el Din, Hassan-i-Sabah “ha posto i fondamenti dell’ordine dei fedain (i combattenti) nella sopraffazione e nella menzogna, nei preparativi ingannatori e nella dissimulazione perfida”. Non è necessario al terrore un progetto, né un ideale, la suggestione sì.
La setta degli ismailiti, residuale oggi in India, Pakistan, Iran e Zanzibar, è nota nelle fattezze paciose dell’Aga Khan, uomo d'affari. Ma l’Aga Khan è ricco per aver vinto nel 1866 presso l’Alta Corte di Bombay una causa che gli dà diritto alle decime imposte da Hassan, in quanto erede diretto del Gran Vecchio. I Fatimidi erano i discendenti di una famiglia persiana, stabilita in Palestina, che si era abilmente imposta scalzando la vera fede a favore di un sistema di iniziazione di cui essa era depositaria, e che si traduceva probabilmente in un’anticipazione del libero pensiero. Il radicalismo ismailita fu da essi patrocinato come grimaldello per affermare la tolleranza religiosa.
L'organizzazione del Gran Vecchio fu forse il modello dei Templari. Freya Stark, la viaggiatrice inglese che negli anni Venti scandagliò passo a passo la zona di Alamut, sostiene che “il raffronto tra le alte sfere delle due organizzazioni porta stranamente a un risultato identico”. Nell’Ottocento il conte di Gobineau ne ha fatto una forma di nazionalismo militante, che assimilava a quello dei carbonari italiani. Gobineau, per affermare la supremazia ariana, vedeva peraltro negli sciiti, e quindi negli ismailiti, un’organizzazione antisemita: una reazione dei persiani, indoeuropei, alla dominazione araba, e una sorta di esoterismo contrario al semitismo islamico.
Per un periodo il fattore religioso fu importante per gli Assassini. Le guerre di religione sono sopratutto feroci tra sette contigue, e gli uomini del Vecchio si eressero a difesa degli ismailiti contro le altre confessioni islamiche. “Versare il sangue di un eretico è più meritorio che uccidere settanta infedeli”, sostenne per un periodo un testo propagandistico. Ma la costanza non era una dote pregiata in Alamut.
Hassan e i Vecchi suoi successori sono scomparsi senza lasciare opere né memorie. Anche delle loro basi, una cinquantina di castelli nel periodo di massima espansione, non resta traccia. La loro storia, gonfia di brutti segni, premonizioni, angosciose aritmetiche, come in ogni moderna paura metropolitana, alimentata dalle voci e dall'insicurezza, si è dissolta. Nel Duecento le cronache arabe e persiane parlano degli Assassini come di sicari a pagamento. Il pagamento era anzi anticipato, come usa nella mafia: chi moriva lasciava guarnita la famiglia. “Lo perfido assassin” di Dante (“Inferno”, XIX) è, spiegherà un secolo dopo il commentatore Francesco da Buti, “colui che uccide altrui per denari”.
Australia - È il primo paese legalmente multiculturale. È la patria di persone che provengono da oltre 120 paesi. Due australiani sui cinque sono nati all'estero, o hanno almeno un genitore nato all'estero. Fino a circa cinquant’anni fa il ceppo anglo-celtico era dominante. Ora, degli australiani nati all’estero, più della metà proviene da paesi non anglosassoni.
Fino al secondo dopoguerra, in base alla politica dell’“Australia bianca”, varata dal governo federale nel 1901, i non europei erano rimasti praticamente esclusi dall’immigrazione. Negli anni Cinquanta e Sessanta questa politica fu gradualmente attenuata, e nel 1973 ufficialmente abolita. La politica immigratoria è aperta a persone che abbiano specializzazioni e qualifiche di cui ci sia richiesta, ai parenti stretti dei residenti, ai profughi. Nell’ultimo trentennio l'Australia ha accolto poco meno di un milione di profughi, quasi tutti provenienti dal Sud-Est asiatico. Il volto dell'Australia è così cambiato notevolmente. Anche perché il governo federale favorisce lo sviluppo di una società culturalmente diversificata. Gli immigrati e le loro famiglie sono stati incoraggiati a conservare la loro lingua e le loro tradizioni culturali.
Terrorismo - Da dove viene il terrorismo? La minaccia senza volto, espressione urbana, metropolitana, della paura, fatta di assassinii imprevisti, attacchi suicidi, incendi o bombe incontrollate? La teoria moderna vuole anche per il complotto la giusta causa: il terrorismo è allucinazione persecutoria provocata dal “potere reale”, che è “potere occulto”, e quindi “potere da abbattere”. La tendenza è a privilegiare l’eversione, ma la conclusione è una paranoia di secondo grado, benché politicamente qualificata. Nella teoria classica, invece, il terrore era non più né meno buono del potere da abbattere: una manifestazione di disordine, condotta con fredda determinatezza. Era una teoria meno democraticistica, ma non meno vera. Di cui fu caso ampiamente analizzato la setta degli Hashishin, i terroristi del Vecchio della Montagna, che molti ora assimilano a Osama bin Laden e Al Qaeda.
Unione Europea – Non ha nulla di Unione, poiché ognuno vi si fa gli affari suoi, e poco di europeo, se non i resti del sovietismo: molti regolamenti e molti sbadigli. A meno che per europeo non s’intendano i sussidi a un’agricoltura fantasticamente distruttiva, la protezione dei monopoli, dagli sbarramenti legali all’entrata alle frodi legalizzate, la cura degli interessi parassitari, delle banche in primo luogo. Questa Europa non progetta e non prepara il futuro, fa un po’ di polizia, a uso dei padroni.
astolfo@antiit.eu
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