È il racconto di una vacanza mal riuscita dalla Svizzera alla costa jonica della Calabria, tra Gioiosa e Roccella. Di un autore pubblicato in Italia solo dalla Compagnia San Paolo. Mediata da una calabrese interprete a Ginevra, ma in cui nulla corrisponde alle attese: il luogo, l’abitazione, il tratto delle persone. “La bellezza di ogni cosa, e in particolare della natura, non è possibile che attraverso l’uomo riconciliato”, conclude lo scrittore con l' understatement con cui narra l’aneddoto (prima di avventurarsi in un’appendice sul panino dal droghiere che da solo merita la lettura).
È un racconto degli anni 1970, quando la decostruzione si rivoltava contro la stessa antropologia - gli assiomi allora di legge quali “sono cattivo perché sono povero” e “sono povero e quindi bello”. Ma sa delineare, senza imporsi al lettore, un doppio sdoppiamento: dell’interprete sradicata, svizzera in Svizzera, calabrese in Calabria, e della resistenza delle cose alla memoria e ai progetti. O della mancanza di scorciatoie alla modernità.
George Haldas, La maison en Calabre
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