Che pensare del giudice Fontana che lascia dire a Ciancimino tutte le scemenze che vuol dire, per tre giorni, uno a settimana, per non faticare troppo, senza mai contraddirlo, senza farlo contraddire dagli avvocati, senza dissuaderlo, senza allontanarlo, come pure è in suo potere? Un delirio d’onnipotenza, comune col padre, mafioso accertato di prim’ordine, tutta la vita, uno che si riteneva dominus della Sicilia, la Democrazia cristiana, i carabinieri, e anche i giudici. Che infatti lo mandarono al confino in piazza di Spagna. Da dove il figlio Massimo scendeva per fare il principino.
Dice: è la procedura. Ma il processo è il processo del giudice. È il giudice Fontana che pone le domande, o non le pone, e avrebbe ogni mezzo per troncare questa ignobile parata, della mafia che accusa in tribunale la politica, la magistratura e i carabinieri. Dice: ma questo non è un giudizio, il giudice si pronuncerà con la sentenza. No, questa è una condanna, senza dibattimento, senza prove, e inappellabile, starà scritta indelebile in tutti i giornali e nella rete. Fatta pronunciare a un mafioso figlio di mafioso, che tanti morti ha sulla coscienza, e solo parla per riavere un tesoro insanguinato che vigile nasconde.
Si può certo dire che il giudice Fontana in cuor suo sta conducendo un’operazione contro la politica corrotta, Berlusconi, Mancino, Rognoni, si sa che la politiva è sempre corrotta, contro i Reparti Speciali dei carabinieri, magari per conto della stessa Arma, e contro i giudici di Palermo che forse sono suoi nemici, Sciacchitano, Pignatone, Grasso. Può farlo? Dice: può farlo in coscienza, poiché lo ritiene giusto. Ma questa non è giustizia. Non è il compito per il quale paghiamo il giudice Fontana, che ha giurato fedeltà alla Repubblica. Nel silenzio del Csm. Che però si tiene Mancino.
Il giudice tormentato dalla coscienza è caro a Sciascia, alla Sicilia che si contorce allo stravolgimento della realtà. Mentre un giudice in un tribunale dello Stato ha degli obblighi, etici e legali, e molti percorsi definiti. Ma anche nella figura tormentata sciasciana non può essere uno che fa finta di berle tutte, questo sarebbe disonesto, o altrimenti stupido – nella tragedia siciliana farebbe l’intermezzo comico: un giudice è uno che, insomma, ne sa più di Massimo Ciancimino, un pentito-non-pentito, un mafioso che cerca meriti con la mafia. Roba da “L’autunno del patriarca”, altro che coscineza, da TonTon Macoute, tutto così tragico e ridicolo, nella Repubblica Italiana, da Quarto e Quinto mondo inferiore.
martedì 9 febbraio 2010
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