Prolisso divertimento risuscitato da Antonio Pane, infaticabile curatore della memoria di Pizzuto, e dalla Fondazione Pizzuto nel 1998. Inquietante anche: è un divertimento sugli anni dello scrittore alla Polizia Politica di Roma, gli anni di Mussolini. Anche se non per l’incarico, era un lavoro come un altro, dirà Pizzuto, non senza ragione.
C’è stata una polemica nel 2005, anche in riferimento a questo racconto, tra lo storico della Polizia Politica fascista Mauro Canali e la Fondazione Pizzuto. Pizzuto, in carriera in questura, era alla PolPol in qualità di poliglotta, e quindi incaricato dei rapporti internazionali. Lo storico Mauro Canali, nel riferirne in “Le spie del regime”, lamenta che il fatto sia taciuto dagli storici della letteratura e dall’autore. In parte è vero, Pizzuto avendo lasciato che il suo lavoro fosse ritenuto una sorta di Interpol, e non la Polizia Politica. Ma i fatti citati dallo storico, compresa la vista al lager di Oranienburg, delegato italiano ai funerali di Heydrich, sono la materia di questo libro – Heydrich, detto der Henker, il boia, organizzatore della conferenza al Wannsee ai primi del 1942 in cui fu deciso lo sterminio degli ebrei, era morto in un attentato della resistenza a Praga, dove era governatore sanguinario della ex Cecoslovacchia. Mentre un’appendice della figlia Maria documenta, in lingua pizzutiana, gli incontri con informatori e spie, lavoro che il padre si portava anche a casa. Rimasto a Roma dopo l’8 settembre, il genero Nanni Fruscia ne testimonia l’impegno “a sostenere presso un Kappler o un Dollmann, lui traduttore di Kant, il rilascio di qualcuno dei fucilandi”. Insomma, Pizzuto non è uno che non c’era. Anche se, come il suo concittadino e amico Guido Leto, che fu pure a capo dell’Ovra, la polizia segreta di Mussolini, tende a sottostimare il suo ruolo.
Il problema è che il caricaturale affresco del ventennio, da parte di chi c’era, senza problemi, viene dopo. Pizzuto non è solo, anche Gadda lo fece, il suo amico Lajolo, e molti altri: quando Mussolini era ormai fuori della storia. E senza traccia, purtroppo, del proprio ridicolo, della propria accettazione del regime quando non fu partecipazione. Ma il regime non era ridicolo né innocuo. Specie per uno che lavorava alla PolPol. Ci furono morti ammazzati, tra gli altri i fratelli Rosselli, ci furono intrighi altrettanto assassini, attentati finti a Mussolini, le bombe alla Fiera di Milano. E c’era, quotidiano, per Pizzuto il compito di spiare i fuoriusciti, cioè gli antifascisti.
Antonio Pizzuto, Rapin e Rapier, Editori Riuniti, pp. 250, € 7,75 (Remainders)
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