È euroscettica più che non la campagna elettorale a basso voltaggio in atto ormai da un anno tra il premier laburista Brown e il premier ombra conservatore Cameron. La Gran Bretagna ha solidi interessi maturati nella Ue, agricoltura, industria e nella stessa finanza, malgrado l’euro, ma la City mantiene altrettanto solidi interessi nella finanza globale, malgrado la crisi e anche contro l’euro, come dimostra la recente speculazione al ribasso del fondo Brevan e altri. Nella stampa popolare e in quella economica è come se Londra si trovasse di nuove in terra incognita, per tutto ciò che riguarda la Ue. La meteora europeista Blair, che aveva portato la Gran Bretagna al cuore della difesa europea (poi fallita) e vicina all’euro, per il quale si arrivò a prospettare un referendum, viene accantonata su queste basi, più che sull’impegno pro Usa nel Medio Oriente - che nessuno ai Comuni e nei tre grandi partiti mette veramente in discussione.
È su questo sfondo del resto che si lavora a Bruxelles. Alla Banca centrale europea e al Consiglio europeo. Il presidente della Bce Trichet è personalmente convinto che la convergenza della sterlina sull’euro vada preservata. Mentre il compromesso franco-tedesco dell’ultimo consiglio europeo due settimane fa, in particolare l’intesa Merkel-Sarkozy per il salvataggio “politico” della Grecia, intende riproporre il Consiglio stesso come il “governo economico” della Ue. Questa è una novità: finora il governo tedesco ha sempre evitato di riproporre il governo politico dell’economia europea, per non incidere sull’autonomia della Bce. Il mutamento di passo viene ora letto in Francia come dettato dall’esigenza di tenere Londra impegnata nella Ue, anche sul piano monetario. Anche se ciò dovesse significare un rallentamente delle stretagie unificanti della Ue. In questo quadro si spiega anche l’ultima decisione di rilievo, l’affidamento della politica estera e di difesa della Ue a una personalità britannica, la baronessa Ashton. Con una distinta nota di disinteresse, se non di disistima, sulla consistenza delle stesse politiche. Confermata peraltro dall’eclisse delle stesse politiche che ha seguito la nomina.
Ma tutta la politica dell’Unione ha subito, e subirà, un rallentamento, non solo quella estera e di difesa. Resta l’euro, e in condizioni ancora forti, ma questo grazie alla Banca centrale europea, e al suo presidente Trichet. Ogni altra attività è tenuta in surplace dal disinteresse del governo tedesco. Surplace sostanziale, e quasi dichiarato, una volta pagato il tributo di rito all’amicizia eterna e all’asse franco-tedesco.
La cancelliera Merkel conferma anche in questa presunto tenere la porta aperta a Londra di essersi presa una pausa rispetto all’accelerazione impressa alla costruzione dell’Europa dai suoi predecessori Kohl e Schröder. In particolare viene messa in pausa l’unione fiscale e delle politiche di bilancio che l’euro avrebbe richiesto: la Germania non insiste più sul patto di stabilità che essa stessa aveva imposto al momento del varo dell’euro. Berlino peraltro ha affrontato e affronta la crisi, dalla Opel al debito, in una distinta prospettiva nazionale, lasciando all’Unione il ruolo di quadro di riferimento ma non di ispirazione e non condizionante. La crisi del debito greco ha anzi utilizzato per affermare cosa si intende per Consiglio della Ue come governo economico della Ue stessa: una sorta di politica estera del Consiglio stesso, già nei confronti della Gran Bretagna, che è un paese membro della Ue ma non dell’euro, mentre con la Grecia, che è parte dell’euro, la reazione è da ministero dell’Interno, o di polizia.
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