Senza sbilanciarsi troppo, si deve ridire che Berlusconi si conferma un domatore. Del suo proprio schieramento, naturalmente. È piuttosto bravo, perché è uno schieramento il cui dressage sembra interminabile, seppure senza corregge né frustini. Ma i risultati sono contrastanti, e in buona misura spiegano la singolare inefficienza dei suoi governi.
Berlusconi ha arginato la deriva antinazionale e razzista della Lega. E tempera non poco, anche se non con lo stesso successo, l’inguaribile deriva democristiana di Fini e Casini, della Dc del non governo. Ma ne è anche vittima, non incolpevole.
Un Casini passato a sinistra è una non existing person. O Fini. Un caso ancora più eclatante, quest’ultimo, perché deve tutto a Berlusconi. L’uscita dal ghetto, il governo, la Camera. Quando tentò di fare a meno di Berlusconi, mettendosi con Mariotto Segni, cadde impietosamente: è uno a cui non si accredita più del due per cento del voto, meno di un milione. E tuttavia entrambi condizionano il partito di Berlusconi, la maggioranza e il governo.
Il bipolarismo implica che uno solo sia al comando. Prodi l’ha saputo dimostrare, anche a costo di ribellioni poi esiziali. Berlusconi è invece un domatore prudente. Sicuro leader, e anzi creatore del suo schieramento, soggiace però ai Casini e ai Fini, che sono nullità politiche. Perché in fondo è in sintonia col partito del non governo?
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