sabato 13 marzo 2010

Berlusconi e i giudici, come i due ubriachi

Chi si somiglia si piglia, dice un proverbio. È forse in questa saggezza l’apparente mistero del perché Berlusconi minaccia da quindici anni una riforma ai giudici e poi non la fa. Altre leggi sulla giustizia riesce a farle passare in una settimana, i record gli piacciono, mentre la riforma della giustizia, con la temutissima separazione delle carriere e un giudizio di merito del Csm sulle carriere stesse, questa non solo non la fa passare ma non la presenta mai e anzi non la fa nemmeno redigere. La minaccia, e poi la mette da parte.
La minaccia nei tempi morti. Quando nessuno degli incredibili giudici pugliesi e napoletani gli sta col fiato sul collo, cercando di azzannarlo, ecco che Berlusconi li aizza. Li chiama buffoni, comunisti, nullafacenti, tutto quello che gli passa per la testa. A D’Avossa e alle giudici del “Che” oppone leggi istantanee, una sorta di pernacchia parlamentare. All’alto consesso partenopeo della Consulta rinvia in fotocopia, cambiando solo il numero, le leggi che i marpioni sollecitamente cassano. Se la giustizia non meritasse rispetto si direbbe che Berlusconi e i suoi nemici in tribunale si tengono l’un l’altro, un po’ per le palle, un po’ come i due ubriachi che si accompagnano. È la gag dei fratelli De Rege, che Walter Chiari ha ripreso con Campanini, del saluto: “Vieni avanti, cretino!”, affettuoso benché rude.
La riforma sarebbe una cosa più che dovuta. Non c’è nessuno, a destra e a sinistra, che dubita che i giudici dovrebbero lavorare come ogni altro. Invece di avere comunque garantito lo stipendio di parlamentare - anche se commettono reati (è successo, e succede ancora, checché si dica, col “trascinamento”). Accelerando magari l’ambito traguardo con i salti a zigzag tra una carriera e l’altra. Ma Berlusconi, pur così attento alla popolarità, se ne guarda bene. È come se, risolvendo una volta per tutte la questione morale dei giudici, non avesse più nulla da dirci.

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