Hobbes, che Bobbio ha studiato molto, parte anche lui “dalla constatazione che gli uomini nello stato di natura sono eguali”. Ma, a differenza dei teorici dell’eguaglianza, trova proprio nello stato di natura una delle cause del bellum omnium contra omnes. Bella e semplice, l’eguaglianza è inafferrabile. E Bobbio non sa nascondere l’irritazione: l’eguaglianza è vuota, detto alla prima pagina, l’eguaglianza è vacua, è una petizione di principio in tutte le sue formulazioni – “a ciascuno il suo”, “la legge è uguale per tutti”, “a ciascuno secondo i suoi bisogni” (Marx). Pur scrivendone nel 1977 (questo volumetto ristampa le voci “Eguaglianza” e “Libertà” che Bobbio scrisse per la “Enciclopedia del Novecento”, rispettivamente nel 1977, vol. II, e nel1978, vol. III dell’opera, edita dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana), in un quadro politico, anche personale, impegnato tra il socialismo e il compromesso storico. L’ineguaglianza è certo reazionaria, conclude. Ma l’eguaglianza è una petizione di principio, va ogni volta riempita, sempre con la libertà.
La seconda voce, “Libertà”, trova Bobbio a suo agio, pianamente didattico. La libertà gli basta esporla: è una petizione di principio anch’essa, ma non problematica - oggi si potrebbe dire non “deviata” -, e non ha controindicazioni. Non fino al “silentium legis” come Hobbes la configura, con Locke e Montesquieu (e Orwell), il prudente torinese non si arrischia a tanto. E tuttavia sempre operosa. Anche se il Novecento l’ha negata.
La sintesi che Bobbio fa della libertà ferma da un secolo è perfetta. Con i tre problemi della non-libertà rimasti irrisolti: “A livello economico il tema dell’alienazione di derivazione marxiana, a livello politico il tema della burocratizzazione (o razionalizzazione del potere legittimo nella forma del potere legale), di derivazione weberiana, a livello ideologico il tema della manipolazione dell’opinione attraverso le comunicazioni di massa, che ha avuto la sua prima e contestata formulazione nella teoria critica della Scuola di Francoforte”. Ma a essi non prospetta vie d’uscita, e purtroppo apre un quarto fronte, con la categoria della società civile. Che il filosofo brevemente chiarisce come “organizzazione della produzione e dell’intera società” rispetto allo Stato, il leviatano che ha finora esaurito il pensiero liberale. Ma fatalmente convergendo, è il 1978, nello slogan di Scalfari e Berlinguer, che chiude in un impasse da un trentennio l’Italia - la società dei belli-e-buoni, esclusivi, spregiatori, i pataccari della questione morale. Da cui Bobbio non ha preso le distanze successivamente. La società “civile” è una contraddizione, un’autoaffermazione. L’aggettivo ha indubbiamente una valenza positiva, e si spiega che un partito, o gli spezzoni della Dc e del Pci che se ne fanno bandiera, lo utilizzino e lo vantino. Meno che dia ad esso valore assiomatico uno studioso della politica.
Norberto Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi, pp. 98, € 10
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