Non ci sono preti pedofili in Italia? Purtroppo sì. E in Francia? O in Spagna, che è socialista e molto laica, certo non tenera con i preti? Ma non c’è in questi paesi una maggioranza protestante, come in Germania, Gran Bretagna e negli Usa – e in Irlanda e Austria, che sono propaggini culturali. Non ci sono i soldi, le organizzazioni, i giornali ancora in guerra coi papisti o coi gesuiti, come qualche secolo fa, riproducendo in tutto, negli argomenti e nel tono degli argomenti, il Kulturkampf con cui la Prussia piegò dopo il 1866 la Germania appena conquistata, la guerra culturale. Né ci sono, come è il caso negli Usa, un paese dove anche la giustizia è business, gli avvocati a percentuale, che propongono cause gratis pagandosi a percentuale del dividendo: personaggi senza scrupoli, sempre ai confini del ricatto, specializzati nella sanità e nell'infortunistica, dove ci sono di mezzo ricche assicurazioni, per i quali sono un filone d'oro i fondi che la chiesa ha disposto a risarcimento degli abusati.
Il direttore della sala stampa vaticana dice che i casi dei preti sono una piccola parte della pedofilia, e questo non dice bene: anche un solo caso fa scandalo, l’orgoglio del moralismo non va lasciato ai riformati. Ma è vero che l’indignazione è solo pregiudizio, e scandalismo.
Si riproduce in questo caso specifico ciò che avviene in grande. Che in questo mondo globale, senza più guerre ideologiche né di potenza (non di potenza dichiarata), si torna alle guerre di religione. Improvvisate, sudaticce, disgustose, ma sanguinarie. Contro i cristiani ovunque in Asia e in Africa, è caccia libera per islamici e indù, benché già da alcuni secoli i cristiani non ammazzino più gli infedeli. E all’interno della cristianità è caccia al cattolico, meglio se prete.
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