“La Doxa è l’Opinione pubblica, il Consenso maggioritario, lo Spirito piccolo-borghese, la Voce del naturale, la Violenza del Pregiudizio”, annota arrabbiato Roland Barthes nel suo autoritratto, “Barthes di Roland Barthes”. È il 1974, e il tormento è la piccola borghesia. Poi il semiologo popone di chiamare “Doxologia (parola di Leibniz) ogni modo di parlare adattato all’apparenza, all’opinione o alla pratica”. La Doxologia sarebbe oggi in Italia di chi?
La Doxa, aggiunge Barthes, “non è che un «cattivo oggetto»”. Non per i contenuti, si giustifica per la forma. E questa forma è “la ripetizione”. La fama si diceva una volta, uno strumento senza vita (intelligenza): “La Doxa è un cattivo oggetto perché è una ripetizione morta, che non viene dal corpo di nessuno – se non forse, appunto, da quello dei Morti” – per corpo Barthes intende la mente.
“La Doxa”, dice ancora Barthes, “è l’opinione corrente, il senso ripetuto, come se non si trattasse di niente. È Medusa: pietrifica quelli che la guardano”. I sondaggisti, i giornali. Medusa era bellissima, per il fulgore della sua chioma. Fu Minerva, l’intelligenza, a trasformarne i capelli in serpenti, gelosa dell’amore di Nettuno. Minerva-Atena Barthes dice la dea della saggezza, ma è invece dell’intelligenza – Minerva non è quasi mai saggia.
“Medusa, o il ragno, è la castrazione”, dice infine Barthes. Lo dice per sé, ma anche per tutti. E si chiede: “La Doxa è oppressiva, si sa. Ma può essere repressiva?” E si risponde con “La Bouche de Fer”, foglio rivoluzionario del 1790: “Bisogna mettere al di sopra dei tre poteri un potere censorio di sorveglianza e d’opinione, che apparterrà a tutti, che tutti potranno esercitare senza rappresentazione”.
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