La percentuale del non voto in altri tempi avrebbe abbattuto la Repubblica, nel 1990-92. Ora no, per almeno due motivi. I due schieramenti hanno sempre saldamente in mano l’opinione pubblica, tv e giornali. Gli appalti-corruzione sono gestiti bipartisan in maniera evidentemente equanime: le associazioni di settore, che fanno da camera di compensazione, non si lamentano, mentre i giudici per i loro scandali non trovano pezze d’appoggio, solo intercettazioni. Lo stesso antiberlusconismo, che a volte sembra estremista, è nei fatti spuntato: non morde e non sposta.
In questa instabile stabilità qualche chiarezza, se non proprio novità, il voto di domenica l’ha introdotta. L’incapacità e l’irrilevanza degli ex neofascisti, a partire dai capi, Fini e Alemanno. La cifra politica ben superiore di Bossi nel fronte berlusconiano – specie di fronte ai vecchi e nuovi Dc, Casini e Fini. Il ruolo di dressage che in questa destra singolarmente povera continua ad esercitare Berlusconi, sui leghisti, sugli ex fascisti, sugli ex Dc. La fine dell’equivoco del ruolo politico dei quaresimalisti in tv, buoni per il qualunquismo. La senilità del partito più giovane, il partito Democratico.
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