Poco o niente è rimasto della musica antica, una ventina di frammenti greci (uno solo di Roma, dell’epoca imperiale). Quel poco ha reso impossibile il tracciamento dei tempi e dei ritmi. In assenza dei quali la cerimoniosità prevale nelle ricostruzioni, nel senso aulico: lentezza, ieraticità, coralità, l’armamentario del “classico”. Mentre si sa che i greci cantavano e ballavano in ogni occasione, dai vasi e dalla altre decorazioni. In forme che, all’epoca, non potevano essere che popolari: non si conservano nomi di compositori, a differenza delle altre forme di arte, lirica, epica, pittura, scultura, architettura, o di stili, o di scuole. E cantavano e ballavano soli o in coppia, nello spirito del divertimento come elevazione, anche nelle figura all’apparenza lascive.
La letteratura è invece enorme in materia, dei filosofi, Platone, il Socrate di Platone, Damone, Aristosseno, Alcidamante, Filodemo, e dei poeti appunto lirici. Queste sorprendente opera lo documenta. L’argomento era studiato tra Sette e Ottocento. Il dottor Burney ne era personalmente curioso, e nel suo "Viaggio musicale in Italia" registra molti cultori della materia e varie pubblicazioni. Padre Martini ne tratta ai voll. II e III della sua “Storia della musica”. La Francia disponeva delle ricerche del Roussier, “Mémoire sur la Musiques des Anciens Grecs”. Poi l’interesse si è perduto.
Gli studi qui raccolti da Brancacci, filosofo romano, sono sorprendenti in quanto documentano che la musica, nelle fonti storiche e filosofiche più accreditate, aveva in Grecia un compito “politico”, di formazione ed elevazione della città: “La musica è al centro della pedagogia e della democrazia”. In una, bisogna aggiungere, col suo potere mitico e cultuale. Della vasta e eccellente poesia lirica. Di Orfeo l’incantatore. Della fondazione di Tebe, dove le pietre si disposero l’una sull’altra a erigere le mura al suono della lira di Anione.
Aldo Brancacci, Musica e filosofia, da Damone a Filodemo, Leo S.Olschki, pp. 161, € 18
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