“Herzzeit”, la raccolta della corrispondenza tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan, è Abelardo e Eloisa. A ruoli invertiti, la donna Ingeborg è perduta, l’uomo Paul si fa una ragione. Ma è un canzoniere d’amore, anche in senso proprio, essendo le lettere infiorettate di versi e poesie, quali da tempo non se ne leggono più. “Non conosco mondo migliore” è invece un canzoniere del lutto: dell’amore negato, del fallimento, dell’ira. Sotto la divisa di Gaspara Stampa: “Vivere ardendo e non sentire il male”. Mai preparato per la pubblicazione da Ingeborg vivente, ma a differenza degli altri materiali tenuto in ordine e in evidenza, con poche incertezze lessicali. Non pubblicato per una ragione precisa, anche se i curatori, Isolde e Heinz Bachmann, la tacciono: è la poesia dei terribili mesi vissuti da Ingeborg dopo il ripudio nel 1962 da parte di Max Frisch, col quale aveva vissuto per quasi cinque anni, a Roma.
Non fu una bella storia, prima ancora di diventare sinistra alla fine. Lei evidentemente lo amava, lui ne era infastidito. In un ricordo di Ingeborg scritto nel 2002 a corredo delle sue corrispondenze da Roma, “Quel che ho visto e udito a Roma”, Inge Feltrinelli scrive di Frisch: “Si lamentava sempre di Ingeborg: «Sono troppo svizzero, ma non riesco a capire perché non si alzi mai prima delle due del pomeriggio, perché non legga mai la sua posta e i cassetti della scrivania trabocchino di lettere ancora chiuse. Cosa posso fare? Viviamo nella città più bella del mondo, ma faccio fatica a capire l'italiano e lei»”. I Feltrinelli, che pure preparavano la traduzione dei racconti di lei, "Il trentesimo anno", prendevano ogni giorno il caffè con lui, loro autore di punta. Né si conosce miglior parere di Frisch su Ingeborg, nella parte di corrispondenza pubblicata. Dopo il ripudio, si lamenta con l’amico pittore Aerni Victor che Ingeborg parli male di lui, e nient’altro, pur sapendola sofferente e in ospedale: “Solveig, che aspettava solo che la sposassi!” Non generoso, ma non era facile vivere con una donna che aveva innamorato tutti, le avaguardie tedesche insieme con Celan al suo primo apparire, nel 1947 o 1948, a vent’anni, fino al rabbino Jacob Taubes, filosofo apocalittico, che le indirizzò bollenti lettere d’amore.
Questa riedizione tascabile della prima pubblicazione dieci anni fa cade dopo che, col “Caso Franza” e altre iniziative (mostre, pubblicazioni, lettere), la relazione con Frisch ha ripreso il peso schiacciante che ha avuto per Ingeborg. “Non vale dunque un uomo tra i fratelli?” E una donna? Questo inizio interrogativo, col dunque, è una risposta: “Non c’è maledizione maggiore che non condividere nulla\ con chi tutto\ ha condiviso e lo ha lasciato\ all’altra parte”(“Rivedersi”). Dopo essersi ritrovata “invecchiata di cent’anni in un giorno”, il giorno del ripudio. Un canzoniere dell’abbandono, “Ho perduto le poesie”, “Isola dei morti”, “Errore cardinale”, “Anni di lutto”. Con dentro un piccolo canzoniere di morte e resurrezione, nel ricovero zurighese a Gloriastrasse.
La raccolta, cui l’università di Verona ha dedicato un anno fa un convegno internazionale, è di tale spessore da imporre probabilmente una rivisitazione e una revisione critica della intera opera di Ingeborg Bachmann. Finisce con un viaggio nel deserto, che poi sarà il viaggio in Egitto del “Libro di Franza”, e con un’orgia, vera o immaginaria, che la libera dallo “sfruttamento\ senza scrupoli di un appassionato inizio di Tu”. Il “Tu” maschile – che però può anche essere l’Io femminile, i ruoli potendosi invertire in tedesco perché aggettivi e participi dopo la copula sono indeterminati, una disponibilità sprecata.
La raccolta di lettere “Herzzeit” percorre eventi molto più drammatici, e tuttavia è sempre amorosa. Lei ha ventun anni quando incontra Paul Celan a Vienna, dove sta preparando il dottorato su Heidegger, lui ventisette. È per lei un “poeta surrealista”, ma è già l’autore rinomato di “Todesfuge”. La raccolta comincia con una poesia di Celan per i ventidue anni di Ingeborg, “In Egitto”, dove lei andrà a elaborare il lutto di Frisch.
È un rapporto sempre fruttuoso, pur tra gli esaurimenti di lei e le depressioni di lui. Nel reciproco affetto e nella stima. Specie nel secondo tratto della storia, quando Ingeborg appare a Paul non più una studentessa di filosofia ma una scrittrice celebrata, in copertina sullo "Spiegel" nel 1954, una che lui sa apprezzare. È il ritrovamento del 1957, sempre intenso, "sensuale e insieme spirituale", come scrive Paul, ed è il tempo di “Herzzeit”, l’espressione amorosa, sempre di Paul, che dà il titolo alla raccolta. La prima fiammata va dal 1948 al 1951, ma lui già da tempo aveva lasciato Vienna per Parigi, come aveva programmato prima di conoscerla, dove si era fidanzato e aveva deciso di sposarsi. L’ultima lettera, non spedita, è di Ingeborg il 27 settembre 1961, un tentativo di risollevare Paul dalla depressione. Nel caso, Celan era sottoposto a un assurdo processo da parte della vedova del poeta francese Yvan Goll quale plagiario del defunto marito (Claire Goll, vedova di Yvan, lascia pessima traccia nei "Souvenirs désordonnés" di José Corti, il libraio editore, che che pure aveva aiutato, e assistito nella lunga agonia, il marito, e aveva per lei molto affetto).
I due poeti dividono, con la passione, le rispettive debolezze. Che in Paul erano furie suicide, più volte ritornanti prima del salto nella Senna nel 1970 – e perfino omicide, ora si sa, distruttive anche nei confronti della moglie. Ingeborg ne seguirà sempre le sfortunate vicende, e nel 1971, un anno dopo la morte di Paul, lo ricorderà col racconto fiabesco “Il segreto della principessa di Kagran” in “Malina”, e nel 1972, pochi mesi prima della sua propria morte, in un affascinante ritratto, una sorta di scultura classica, tutta "necessaria" e riveltarice, sotto il nome rothiano di Trotta, nel racconto "Tre sentieri per il lago".
Ma è l’amore di lei, totalizzante e disperato, che le tre pubblicazioni per bizzarra coincidenza evidenziano. La raccolta delle lettere è incentrata su Celan: raccoglie la corrispondenza del poeta con Ingeborg, più quella con Max Frisch, e quella di Ingeborg con la vedova di Celan. Ma il tono è dato da lei. Ed è quello delle sue prime lettere pubblicate, di quando aveva venti anni e stava ancora a casa, in Carinzia.
Queste a “Felician” sono lettere non spedite del 1945-46, ma non immaginarie, come opina la sorella Isolde, che ne cura il lascito. E non sono un’istanza precocemente femminista, di parità con l’altro, con l’uomo. Ingeborg vi esprime subito con chiarezza quella voglia d’amore divorante che la perseguiterà per la vita. E che gli scambi con Celan, primo amore conosciuto, documentano. In “Ritratto dell’artista da giovane”, che inquadra le lettere, Clemens-Carl Härle spiega che la silfide Ingeborg della foto a corredo era “pazza” dello scrittore carinziano Perkonig, suo professore al Magistero di Klagenfurt, e primo lettore professionale dei suoi scritti, che il padre di Ingeborg gli aveva portato da leggere. A vent’anni già Ingeborg si conosceva: “Sono misteriosa ed evidente. Buona e cattiva”. Con se stessa. “I miei desideri sono foschi e rosso sangue!”, di cui questo diario minimo e sfrontato è già un abbozzo.
Si parla di Ingeborg Bachmann, che fu saggista equilibrata oltre che acuta, come di donna sofferente. Appassionata sarebbe più giusto, come la ricordano i suoi amici ancora viventi, tra essi il musicista Henze, e al suo modo egotista Günter Grass. E come la poesia la testimonia, di cui “Non conosco mondo migliore” è tassello fondamentale. Per la chiave bachmanniana: insight, misura, brio. E per il dolore cui la voglia d’amare condanna. Nel breve lineare “Ritratto” Härle mette in contatto il segreto di Ingeborg con “i luoghi da cui proveniva”, con l’infanzia. Elencando “le cancellazioni e le obliterazioni ripetute, l’invenzione di intere sequenze biografiche, i riavvicinamenti e le allusioni occasionali, cauti e più o meno cifrati,… i segreti custoditi con estrema tenacia”. Ma la biografia, certamente sostanziosa nel racconto "Tre sentieri per il lago" dell'omonima raccolta, che conferma questo "Ritratto", è poca cosa di fronte alla forza della poesia che la rilettura fa più grande.
Ingeborg Bachmann, Non conosco mondo migliore, Fenice Tascabili, pp. 294, €9,50
Herzzeit, Suhrkamp, pp. 401, € 24,80
Lettere a Felician, Nottetempo, pp.53, € 6
martedì 16 marzo 2010
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