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mercoledì 3 marzo 2010

Letture - 27

letterautore

Confessione - È fra i generi letterari più in voga. Se è vero che negli ultimi trent’anni si sono scritte più autobiografie che nell’intero corso della storia. Va in genere col pentimento, ma questa è un’altra storia – il perdono è facile, i vescovi si lamentano sul loro giornale, “Avvenire”, che è inflazionato, “facile e vuoto”, come nota Claudio Magris. Senza contare l’inverosimile, sconfinata, letteratura dell’infanzia, con nonne e zie, alla ricerca del tempo perduto. Più i blog, che sono un confessionale aperto, diarroico, con le chat e i forum, fiere dove esibirsi. E dove la ritrattazione è sempre possibile, fa parte del gioco – confessarci è come pentirsi. Freud, che non ha mai voluto autobiogarasi, dice già perché.
La verità e la storia hanno vinto il peccato.

È la confessione ripetuta in confessionale. Diversa da quella dell’analista, che a un certo punto deve lasciare il paziente, guarito o malato che sia. La confessione definitiva, l’assoluzione insomma, non è nella pratica cattolica: renderebbe il penitente libero.

Domestiche – Non ce ne sono nei romanzi e nei film americani. Non ci sono più le nere ma nemmeno le immigrate. Anche nel lusso: non c’è più la tata né la cuoca, nemmeno chicana a ore. Il lusso è una villona a due piani, con mare privato, quadri si suppone d’autore, e la Porsche. Ma vuota: come si tiene su la cosa? Il politicamente corretto si tiene sul vuoto.

Giallo – Un’indagine non può non dare risultati. L’eccezione è rara, il delitto perfetto. La suspense è quindi, dovrebbe essere, anch’essa eccezionale. Ma per il lettore vale di più il timore-speranza del delitto impunito.

Incipit – È una bella apparenza, una bella ragazza che appare e passa, ma non ha senso proprio. Lo prende dal seguito, dalla tenuta della narrazione. “A lungo mi sono coricato di buon’ora” è più ridicolo che evocativo.

Manzoni – Maestro della lingua, più di Shakespeare per l’inglese, ben più di Dante, e anzi padrone.
E per questo lascia perplessi, padrone tra i padroni, che dai popolani, Renzo, Lucia, don Abbondio, et al., sono tediati.

Metafora - È ricca perché crea significato. Introdotta dal “come”, in similitudine, sembrerebbe un riconoscimento, la chiusura delle porte. E invece è il gesto mattutino dell’apertura. Sia pure nel senso di Benjamin, del non inventare analogie ma scoprirle. Che però non è vero: i nessi sono scoperte, accidentali. Come nei sogni, così disarticolati nelle lro evidenze, e stringenti.

Minimalismo - È arte del ritaglio, dei contorni, lascia fuori le cose, sfruttando lo hint: allude. Non in Salinger, che le cose ha espresso col ritmo, l’insistenza, la fissazione – adeguati peraltro all’oggetto: le fantasie puberali (il che spiega perché non ha scritto più). L’allusione dovrebbe far partecipare l’autore all’opera, è una forma modesta di opera aperta, in realtà lo titilla e nulla più.
È arte del ricamo. Tecnica derivata dall’analisi? Dall’abitudine di dilettarsi nelle minuzie, nelle circostanze, girando attorno agli scogli. E di concentrare tempo e luogo sull’infanzia-adolescenza.
È narrativa puberale: non ci sino persone fatte, o sfatte, nel minimalismo. E quando ci somno è per tornare nell’età dello sviluppo.
È stato preparato da Sarraute e Butor, dall’école du regard. A sua insaputa, e addolcita: è l’artigianato, la pratica, contro la durezza del verbo, della scienza.

Mozart – Il suo mistero è quello della storia a posteriori. La storia a posteriori di Vienna e dell’Austria Felix, piena di musicalità e mecenatismo. Dove invece Mozart fu lasciato alla porta e all’indigenza. Anche Parigi lo tenne, con durezza, alla porta. Quando era già stato apprezzato nelle città musicali d’Italia, benché giovanissimo, e pagato: Roma, Bologna, Milano. Ma l’Italia già più non esisteva.

Poesia - È scomparsa. Non la voglia di farne o di leggerne, se ne pubblica e se ne compra sempre tanta. Ne è scomparsa l’essenza: la creazione (riproduzione) dell’emozione. Forse perché il mondo è senza sorprese? Sorprese effettive, non artefatte, in questa epoca di abbondanza e di pace. Le sue parole sanno di mistificato, come la costruzione-decostruzione del verso, di manieristico, di acuto. Tanto più in quanto sono simili, senza sorprese. I tanti premi Nobel, Brodskij, Symborska, Walcott, non dicono nulla, se non la bravura.
Se la poesia è “l’essenza della cultura del mondo” (Brodskij), è possibile che questo mondo non abbia più cultura. Ma non è possibile. E allora è la cultura della poesia che non è più la cultura del mondo. C’è, e non solo nella poesia, una cesura tra il pensiero-sentimento del mondo, ridotto a giornalismo, e il mondo.

Proust – L’insensibilità di Albertine-Alfred, un amore che non decolla, dopo centinaia di pagine di veglia trepida, gelosie coltivate e bugie impossibili, se non nel ridicolo, è la sterilità dell’amor omosessuale? L’omosessualità è sorda in letteratura, rileggendone la ormai vasta produzione, maschile e femminile: non si ascende e non si scende con le sue storie d’amore, e le gelosie sono posticce: Albertine-Alfred per questo resta un marchettaro – mentre la dama delle camelie invece ha charme? O è Proust incapace di amore?
Tutto il sesso per Proust è degradante, in tutte le forme. I ricordi vanno bene asessuati, l’infanzia quindi e la vecchiaia (la mamma, madame Straus, le duchesse) che per definizione lo sono. Potrebbe essere una chiave unificante e reattiva dell’inafferrabile Marcellino: la sua vocazione angelica.
Ingeborg Bachmann ne fa una lettura tutta e solo omosessuale: la “Ricerca” è una tragedia e non una memoria, almeno nel primo disegno, prima della guerra, per il clash con la diversità sessuale, che è culturale e personale, poiché Proust non la accetta. È una lettura brillante, la Bachmann nasce geniale, ma insostenibile: il sesso non ha nella ricerca un peso specifico rilevante.

In Italia sarebbe stato un crepuscolare?

La madeleine inzuppata nella tisana di tiglio è da vomitare.

Scrittura - Era in origine la tassa romana sul pascolo, scriptura.

letterautore@antiit.eu

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