Quando il governo ha liberi davanti a sé tre anni per fare le riforme, senza campagne elettorali, Fini fa la crisi. Successe nel 2003, succede oggi. Sempre per motivi non plausibili. Allora volle che si cacciasse Tremonti perché lo voleva Fazio, oggi non vuole la Lega. Di cui diventa per questo fatto il miglior mallevadore: al suo confronto Bossi è affidabilissimo e perfino simpatico. Ma con un effetto sempre certo: impedire la riforma della giustizia e quella dell’esecutivo – sulle quali la Camera che lui presiede ha già raggiunto notevoli accordi.
Volendo dare un senso anche a Fini, la presunzione di ragionevolezza è d’obbligo, è come se, dei due agenti della sua fortuna politica, i giudici e i referendum antipartito, volesse sdebitarsi con i primi dando addosso ai secondi. Ma può darsi che sia solo un fatto caratteriale. In fondo, l’uomo che ha reso praticamente impossibile registrare un lavoratore straniero, lo sanno più o meno tutte le famiglie italiane, vuole ora dare loro istantaneamente la cittadinanza.
Con Fini non è un problema della destra, che potrebbe anche essere benvenuto. Fini è uno di quei personaggi che si fanno forti del non governo. Non una sola idea di governo è venuta da lui, anche non di destra, anche di sinistra, se non estemporanea e confusa. Né da chiunque del suo partito. Non un atto di buona amministrazione. Fino alla farsa di boicottare il listino della propria candidata a una sicura vittoria nel Lazio – poi salvata da Berlusconi. È un ruolo che Fini definisce alla Andreotti, e forse è vero, ma disastroso. Che non giova comunque più a nessuno, neanche a quei poteri forte che si giovavano per le loro corruttele dei governi deboli alla Andreotti e li sostenevano con laute mance.
È anche, questo Fini, volendo vedere le cose, una delle due “giustificazioni” di Berlusconi. Il riccastro milanese ha saputo ricondurre al governo, e addirittura al buon governo, la banda Bossi. Ed è l’unico antidoto contro il governo della crisi, che sarà l’unica ricetta di Fini – legatoci da Almirante unicamente come giovin signore, nella strategia del doppiopetto. Incongruamente, Fini dà ragione a Berlusconi anche nel momento in cui lo manda in crisi: la necessità di preservare i governi eletti dai capifazione. C’è un dovere di governo.
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