Fini ha alzato a Bersani una palla da non credere: l’inaffidabilità della maggioranza, all’indomani della sua quinta vittoria elettorale consecutiva in due anni. “La fiducia degli elettori tradita”, “scene da basso impero”, eccetera, gli slogan erano facili, e anche gli strumenti: mozioni contro il presidente della Camera capopopolo e capo fazione, con corredo di giurisperiti e esperti, rilancio delle accuse di Fini a Berlusconi di mafia, delle accuse di Fini a Bertolaso, eccetera. Un'occasione storica per il partito Democratico, e una fortuna. Invece Bersani stende un tappetino a Fini. Un altro due per cento.
A questo punto bisogna prenderne atto: non è che l’ex Pci ha paura di vincere. È che, prima che vincere, vuole avere un partito di tappetini: diciotto partitini del due per cento, a corona del suo quindici per cento, questa è la sua idea di maggioranza. O forse Bersani non sa chi è Fini. Che già una volta tentò di fare le scarpe a Berlusconi: con Mariotto Segni, il perditutto. A meno che, come suggeriscono i suoi nuovi guerriglieri, Fini non sia una quinta colonna. Una sorta di ninja invisibile buttato tra le gambe di Bersani, per far esplodere le sue contraddizioni – questo non lo dicono, non ancora, ma dei veri vietcong non potranno fare a meno di questo linguaggio.
mercoledì 28 aprile 2010
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