Il Pd targato Ds è un treno che è passato? Lo pensano gli ex Dc, di varia ascendenza. Lo pensa e lo ha detto Prodi. Lo pensa Fioroni e tutta l’ala che guarda all’Udc. Lo ha detto a suo modo Rutelli, che si è posizionato per una disintegrazione-reintegrazione ritenuta inevitabile del Pd. Dopo le Regionali, fatti i conti, gli ex margheritini ritengono di essere la sola parte che abbia una prospettiva. Gli ex diessini hanno tenuto i loro feudi, con qualche perdita, seppure contenuta. Ma dove il Pd ha guadagnato, in voti per i consigli, e anche qualche sindaco, è stato grazie ai listini e ai candidati ex margheritini. Lodi e Lecco, piazzeforti leghiste, hanno ora un sindaco democratico grazie al candidato ex popolare. La consatazione è legata alla considerazione che il Pd è nato per recuperare vero il centro, il voto impegnato ma moderato.
Sarà anche vero, come vuole Paolo Franchi, che troppi sessantenni fanno da tappo nel’ex Pci. Ci sarà cioè un problema di rinnovamento generazionale. Ma gli ex Margherita vanno più in là: è la cultura politica che a loro avviso più non regge. E qualcuno lo dice anche: la cultura del partito che tiene il sacco agli affari. Ciò porterà, si dice anche, il favore dei media e la cosiddetta opinione pubblica. Ma, evidentemente, non i voti: è di fronte a tale “cultura” che molti elettori preferiscono starsene a casa.
Perplesso è anche il mondo degli affari. Nella Padania non soltanto, come si desuma dal voto, ma anche a Roma e, un po’ meno, Firenze e Bologna, a lungo luogo privilegiato dell’efficienza dell’ex Pci. Da intendersi come capacità di garantire gli impegni: è questa la modernità cui i delfini di Berlinguer con cinismo, e la benevolenza delle Procure, si sono dedicati. Come il partito che mantiene gli impegni, con i costruttori, gli appaltatori, gli immobiliaristi, i grandi interessi commerciali, i risikatori bancari, e la cosiddetta nuova razza padana, le cricche alla Gnutti-Colaninno. L’ex Pci delivers sempre meno.
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