lunedì 26 aprile 2010

La giustizia all’estero come salvacondotto

Si è manifestato in Spagna a favore del giudice Garzón, il giudice specializzato in giustizia politica all’estero, contro Pinochet, Berlusconi, e altri criminali internazionali, inquisito per corruzione. Una manifestazione coordinata, in 26 città, con Almodovar e Almudena Grandes – molto imbruttita. C’è dunque un’organizzazione nazionale che protegge il giudice. Che in un certo senso eroe nazionale lo è.
Il giudice magari non è un corrotto, non ha preso soldi dal Banco Santander. Ma ha accompagnato il Santander e il Bilbao, l’altro grande banco spagnolo, nella conquista dell’America Latina quindici anni fa. E ha veicolato il ritorno della Spagna nel subcontinente, prima interlocutrice di personaggi come Castro, Morales e Chavez. Nel mentre che la Spagna si riempiva di narcos colombiani, con i loro corrispondenti camorristi. C’è un ritorno politico, in questa giustizia internazionale a opera di giudici nazionali.
C’è una diplomazia della giustizia internazionale, non da oggi: quanti bei tribunali aveva Amsterdam un secolo fa, quando non bastavano a Multatuli i romanzi in serie per descrivere l’orrido colonialismo olandese in Indonesia. È il caso della Svizzera, che ha messo dentro tutti i libici di cui aveva notizia, perché uno di loro aveva maltrattato il domestico pakistano – il primo pakistano, com’è noto, molestato in Svizzera. Dopo avere arrestato tremendamente Polanski per una condanna americana, vecchia di trent’anni prima. Serviva l’arresto per oscurare gli attacchi ai conti svizzeri dei buoni contribuenti americani ed europei? Ovviamente no. È il caso dell’Austria e il Belgio, che ogni tanto si risvegliano con vicende di violenze lunghe venti e trent’anni, trascurate. Ma sono inflessibili contro gli storici inglesi, se discutono l’Olocausto, o contro Sharon, se fa la guerra a Hamas.

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