Un racconto crepuscolare, dell’innamoramento di una scrittrice, che vince il secondo premio al Viareggio 1955. In realtà un Premio speciale per “Il mare non bagna Napoli”, della stessa Ortese. Ma l’ha già speso, i soldi non bastano mai. Con un titolo anche anni Cinquanta, il genere “Poveri ma belli” – col quale vincerà lo Strega 1967. Nel filone del neorealismo, nel quale la narratrice si colloca. Con inni al “buon Comunismo” e alla “buona America”. A chiave, ma non appassionante. C’è non menzionato Repaci, “un signore dagli occhi chiarissimi e quasi furiosi”. Di Pratolini, che vinse quell’anno il Viareggio con “Metello”, la narratrice dice più volte di non ricordarsi il nome.
Anche Viareggio non c’é. Dietro il premio ci sono capanni e sterpi. Milano è invece qui ancora ridente, e anzi propiziatoria, nei giardinetti, nelle nuvole, negli alberi sui terrazzi. Nella piazzetta di Santa Maria San Celso. Per la città c’è anzi, retrospettivo, molto amore. Anche per la luce bianca (e nera) delle sue estati (“Il cielo continuamente tuona. Ma la bufera non scoppia mai”). Ma è già qui un alternarsi di disgrazie. Un basso continuo, greve, di cui le gioie sono premonitrici.
Più che neorealista, è una storia proprio pratoliniana. In ambiente artistico, quindi senza corpo. I mesi scandiscono la storia. I libri: la scrittura, la pubblicazione, i critici, gli introiti magri. E i premi letterari: le candidature, le rose, il vincitore. Di cui ciò che conta sono solo i soldi. Su cui la disperazione è intessuta, ma per ciò stesso evidentemente da “vite inutili”.
Anna Maria Ortese, Poveri e semplici
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