Come un personaggio di Dumas, D’Alema gode della “più perfetta impopolarità”. Ma non da ora, da subito, e questo è dirimente per stabilire se ridargli l’onore, nell’annientamento cui è sottoposto da Carlo De Benedetti. Ridargliela storicamente, poiché non si resiste al potere dissolutorio dell’accusatore, nessuno finora si è mai opposto incolume. I personaggio in questione, nel suo libro con Guzzanti, è De Benedetti, non D’Alema, che è finito da tempo.
D’Alema è stato bloccato subito, non appena, succeduto a Occhetto nel 1994, adottò il progetto della governabilità, di dare più capacità di decisione al governo, pur nel quadro della Repubblica parlamentare – la teoria del paese normale. La barricata fu eretta erigendo Berlusconi, il cui apporto era necessario alla riforma, a Nemico Incondizionato. La riforma non è più stata possibile, e con essa è finito pure D’Alema, che si è intestardito invece di cedere a De Benedetti, al partito dell’antipolitica.
De Benedetti ha creato un Dalemone insieme col Nemico B. e ha bloccato qualsiasi governo, dell’economia, delle infrastrutture, della giustizia, degli enti locali, della corruzione, della spazzatura. Forse senza tornaconto, per pura malvagità: sempre attento a scegliersi interlocutori della sua specie, quali il suo ultimo doppio, Guzzanti padre.
Il destino di D’Alema non conta. È, meno drammatico, quello ormai noto di Craxi. Di cui certo condivide i difetti, ma non è per essi che è stato abbattuto. Entrambi i personaggi sono stati rigettati preliminarmente per la pretesa che la politica governi, per la loro pretesa all’autonomia della politica. Questo è anatema per De Benedetti, o il suo uomo di punta Scalfari, inventori e portabandiera dell’antipolitica: il governo dei tecnici, il “popolo diverso” berlusconiano, la società civile, il Nemico Berlusconi.
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