domenica 23 maggio 2010

Il mondo com'è - 37

astolfo 
Antisemitismo – È un fatto. Ma la sua generalizzazione (costante, quotidiano, minuto, sovrabbondante, incombente, dominante) diventa il suo fondamento, quasi avesse una qualche giustificazione. 

Germania – Era, anche dopo la sconfitta del 1918 e fino agli anni Trenta tutti, l’unificatrice di fatto dell’Europa: numerose e qualificate comunità tedesche erano minoranza in Cecoslovacchia, Jugoslavia, Romania, Ungheria, Polonia, Stati baltici, Russia, con in più la cultura ebraica, di preferenza tedescofona, e l’estensione naturale in Austria, Svizzera, Benelux. La Germania era il collante amministrativo, economico, culturale della Mitteleuropa – dell’Europa si mezzo e di mezza Europa. La scomparsa dell’Europa è la scomparsa della Germania, posto che gli imperi francese e britannico erano fittizi, coloniali. 

Socialismo – È il liberalismo compiuto. Come formula politica: al socialismo è essenziale la libertà, l’uguaglianza è la realizzazione della libertà. Ed economica: più ricchezza in assoluto, più ricchezza per il più gran numero, e più opportunità quindi per tutti, che si realizzano in un mercato libero, non prevaricatore.

Sud Africa - Il Sud Africa esce da un regime, l’apartheid, che per quasi un secolo è stato la vergogna sua, di neri e bianchi, e del mondo intero. Un regime di separazione etnica che in realtà era di asservimento: l’apartheid prolungava lo schiavismo, il lavoro dei neri e dei colorati riducendo a merce di poco valore, per la privazione di molti diritti civili e dei diritti politici, in un mercato del lavoro essenzialmente agricolo e minerario che richiedeva solo braccianti a manovali di poca perizia. Ma era quella una storia per nulla ineluttabile nel destino del Sud Africa. E un regime che, sia pure odioso, non esaurisce una storia in certo senso prodigiosa. Il Sud Africa moderno è nato come paese dell’oro. Con un antefatto, lungo trek, un'emigrazione disperata, quasi forzata, di uomini e donne che difendevano un ideale e la propria libertà. Un gruppo di coloni che, nel 1706, per la prima volta si ribellava alla potentissima Compagnia delle Indie, che aveva creato e dominava il moderno colonialismo. Erano 63, agricoltori, ugonotti, olandesi in buona parte di origine francese, esuli dopo la revoca nel 1685 dell'editto di Nantes, che aveva assicurato ai riformati calvinisti il libero esercizio del culto. Abbandonarono Città del Capo. i 63 trekboers, cemigranti contadini, e con le loro famiglie e gli schiavi, e i caratteristici trek wagons, si lanciarono avventurosamente verso l'interno sconosciuto. La colonia del Capo aveva avuto un rapido sviluppo nel corso del Seicento, per la crescita dei traffici con l'Oriente. Tra il 1621 e il 1651 vi transitarono 461 navi olandesi, e non erano le sole. Tra il 1688 e il 1706 la popolazione europea vi era triplicata, da 573 a 1.732 unità. Troppi per la Compagnia delle Indie. La colonia si era popolata anche di schiavi importanti dall'Africa equatoriale, perché gli indigeni locali si rifiutavano di lavorare (per un lungo periodo, fino almeno al 1660, gli africani che si rifiutavano di lavorare come schiavi venivano buttati da alti precipizi, ma la pratica evidentemente non dissuase i renitenti). Il rifiuto era legato sopratutto al fatto che gli olandesi volevano fare dei nativi, da sempre pastori, dei braccianti agricoli. E questo era anche il motivo delle preoccupazioni della Compagnia. I profitti fluivano a basso costo dal commercio, mentre la colonizzazione prometteva guerre e spese, così le coltivazioni, baco da seta, olivo, vigna, cereali, frutta, e lo stesso allevamento di ovini e bovini furono puniti con tasse pesanti. Da qui la rivolta dei trekboers. Nel 1867 alcuni bisnipoti dei 63, giocando sulle rive del fiume Vaal, a Kimberley, s’imbatterono in una pietra luccicosa. Un viaggiatore di nome Van Niekek, incuriosito, la prese con sé, ma quando tentò di disfarsene, nei villaggi che via via incontrava, Colesberg, Hopetown, nessuno volle comprargliela. Ci volle qualche mese prima che, a Grahamtown, il dottore locale riconoscesse nella pietra un diamante a venti carati. La gemma fu venduta nel 1868 al governatore della colonia del Capo, sir Philip Whodehouse, inglese, per 500 sterline. Tre anni dopo il governatore aveva annesso l'area, malgrado le proteste degli indigeni e delle repubblichette boere, battezzando l'anonimo posto della prima preziosa scoperta con il nome di lord Kimberley, segretario alle colonie. Molte cose erano successe dal primo trek del 1706. In sintesi, un secolo e mezzo di guerre “cafre”, tra i boeri, che si organizzavano qua e là in repubbliche, e gli africani, definiti spregiativamente kafir, infedeli, il nome che gli arabi dell’Africa orientale, mercanti di schiavi, davano agli indigeni. E un mezzo secolo abbondante di guerre fra i boeri e il governo della colonia del Capo, passata nel 1795 agli inglesi, dopo la vittoria contro gli olandesi alleati dei francesi (e agli inglesi tornata definitivamente nel 1806, dopo tre anni d'indipendenza come Repubblica batava). I boeri avevano così ripreso la loro marcia verso l’interno del continente, in direzione del Mozambico e dello Zimbabwe odierni, in quella che fu presto chiamato il Grande trek, la lunga marcia. Gli africani conoscevano e lavoravano i minerali da tempo immemorabile. I regni dell'Africa occidentale, Ghana, Malì e Songhai, erano famosi per l’abbondanza di oro. Erano d’oro anche i collari dei cani. L’oro dell’Africa occidentale fu portato dagli arabi sul mercato internazionale a partire dal secolo ottavo, appena cioè arrivarono a controllare il Nord Africa. All’inizio del diciottesimo secolo, se ne esportava ogni anno per 200 mila sterline. I mercanti di schiavi accettavano in pagamento soltanto l’oro. Ma ogni altro minerale era conosciuto, e le tecniche di estrazione e lavorazione erano alla pari con le altre regioni ricche del mondo. Ancora a metà Ottocento, l’esploratore missionario scozzese David Livingstone riferiva che gli industriali del ferro del Mozambico consideravano “marcio” il metallo inglese. Proprio nel Sud Africa, nello Swaziland, a 15 chilometri a occidente di Mbabane, si trova la più antica miniera di ferro, in attività dal 43.000 a.C. La scoperta dei ragazzi di Kimberley provocò l’arrivo di frotte di cacciatori di fortuna. Nel 1871 la popolazione era salita da poche centinaia a 37.000 persone. La ferrovia vi fu portata, malgrado i disagi, già nel 1886. Con i minatori poveri e affannati arrivarono anche osservatori freddi, e più determinati. Tra essi Cecil Rhodes, che arrivò nel 1871, James Barnato nel 1873, Charles Rudd nel 1874. . Cecil Rhodes aveva diciotto anni, veniva dall'Inghilterra, e aveva seguito il fratello maggiore per curiosità. Barnato, un attore di vaudeville del West End londinese in tournée al Capo, fece a piedi le 600 miglia fino a Kimberley. Metà della nuova popolazione era composta da africani, attratti dal salario, benché minimo, in miniera. Il loro obiettivo era mettere assieme sei sterline, per comprarsi un fucile e tornare alla loro terra a difenderla. Fu così che il governo britannico incoraggiò anche il traffico di armi e munizioni, per attrarre il lavoro. Negli ultimi nove mesi del 1873 furono vendute 18.000 armi. Il giovane Rhodes, appena arrivato, aveva scritto alla madre in Inghilterra: “I diamanti si trovano dappertutto”. Nel 1874 la produzione di Kimberley fece crollare le quotazioni internazionali. All’epoca la corsa alla ricchezza si era assestata, con la creazione di quattro miniere di diamanti, Kimberley, De Beers, Bultfontein, Dutoitspan. La sola miniera della Kimberley Central di Barnato produrrà diamanti per oltre 50 milioni di sterline, fino al suo esaurimento nel 1914. Ma il 90 per cento della produzione sudafricana di diamanti era a quell’epoca in mano alla De Beers. De Beers era il nome della miniera di Cecil Rhodes. In essa, col sostegno dei Rothschild di Parigi, Cecil Rhodes fece confluire i titoli minerari del fratello e di Charles Rudd. E presto s’mbarcò in altre imprese, fino alla conquista di una porzione d’Africa grande quattro volte l’Italia, comprendente gli attuali Zambia, Malawi e Zimbabwe, che per quasi un secolo portò il suo nome, Rhodesia. Rhodes stabilì anche il canone fondamentale del colonialismo: rapporto di dieci a uno fra il salario dei bianchi e quello degli africani, divieto agli africani di accedere alla proprietà e al lavoro qualificato. La De Beers confluì nell'impero Anglo-American, messo su da Ernest Oppenheimer, commerciante di diamanti, il Cecil Rhodes del Novecento, e da suo figlio Harry. L’Anglo-American è la maggiore compagnie mineraria del Sud Africa, che resta il maggior produttore mondiale di oro (il 35 per cento del mercato mondiale), diamanti, platino, vanadio, manganese, fluorite, con tanto uranio, ferro e altri minerali. 

astolfo@antiit.eu

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