È il libro della lotta sorda di un Isaac, il “borghese” Boxtel, alias Jacob, contro la bontà e la bellezza, impersonate da Cornelius van Baerle, medico, creatore del tulipano nero - che ancora resta da creare. Con poche avventure dumasiane. Ma con una vena distintamente repubblicana e virtuosa: la storia di von Baerle s’intreccia con quella dei suoi padrini, i fratelli De Witt, gli ultimi repubblicani d’Olanda, vittime della furia cieca della plebe e degli intrighi dello stathouder e futuro re Guglielmo III d’Orange. Nella stessa prigione in cui fu tenuto Grozio dopo la decapitazione del grande repubblicano che lo proteggeva, Barneveldt – che aveva offerto la corona d’Olanda a Elisabetta d’Inghilterra, e fu giustiziato per una disputa tra protestanti.
Protagonista di questo racconto del 1850 è “l’opinione pubblica”. Con corredo di pentiti e apparati giudiziari. Non c’è malvagità che “l’opinione pubblica” non commetta in questo racconto classificato atipico di Dumas, deluso dal Quarantotto e timoroso del ritorno bonapartista. Ma più che alla storia dell’Olanda e dei Lumi (“l’Olanda è il paese delle feste”), il racconto può forse servire alla storia della “differenza ebraica”, ancorché non detta, non ancora antisemitismo.
Alexandre Dumas, Il tulipano nero
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento