La proposta di Olivier Blanchard, il direttore Ricerche del Fondo monetario internazionale, di riassorbire un po’ del nuovo debito raddoppiando il tasso-obiettivo dell’inflazione, dal 2 al 4 per cento, è stata contrastata dalla Banca centrale europea, e dopo un paio di mesi è stata ridimensionata dal direttore generale del Fondo, Strauss-Kahn. Ma resta sul campo. In Germania, dove l’idea più ha suscitato critiche, si dà peraltro per scontato che con la crisi dei “debiti sovrani”, dei debiti pubblici, dopo quella finanziaria e quella economica, un certo ritorno d’inflazione sarà nei fatti. Il ristagno non sarà altrimenti evitato per un lungo periodo di tempo. Troppo per l’Europa, che al termine della stagflazione potrebbe essere fuori dalla ristrutturazione mondiale. Come riconosce il rappresentante tedesco alla Bce, Jürgen Stark, seppure stigmatizzandola, è normale “la tentazione dei governi di ricorrere e un’inflazione più elevata per monetizzare parzialmente la drammatica crescita del debito pubblico”.
Il debito dopo la crisi è comunque insostenibile, non più solo per pochi e isolati paesi, il Giappone o l’Italia. Posto che gli standard di sostenibilità del debito restino quelli in vigore, il 60 per cento del pil per le economie mature e il 40 per cento per quelle emergenti, tutti i paesi industriali ne sono abbondantemente fuori, con l’eccezione della Cina. Per paesi emergenti si intendono i paesi europei di nuova affluenza, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, e anche la Turchia: tutti questi paesi hanno un debito già superiore al 60 per cento del pil, invece che sotto il 40.
In alternativa all’inflazione altre forme di consolidamento vanno attivate, coattive. Il debito alle dimensioni cui è esploso, non sarebbe altrimenti riassorbibile, e cioè continuerà a crescere su base esponenziale. Se non a costi suicidari. Uno studio della Deutsche Bank sull’avanzo primario necessario per i quaranta paesi industriali a rientrare negli standard di sostenibilità dà azioni insostenibili, per almeno dieci anni. Il Giappone dovrebbe ogni anno stringere la cinghia (realizzare un bilancio pubblico in attivo, al netto degli interessi sul debito) di ben 13 punti di pil. L’Italia di 8,2 punti, come la Grecia. Gli Usa di 3,6 punti annui, la Francia di 3,5, la Germania di 3,2, la Gran Bretagna di 3.
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