Francesco De Santis passò quindici mesi in volontario esilio a Cosenza, ospite del barone Guzolini (o non Cozzolino?), dopo il fallimento dei moti del ’48 e il licenziamento alla Nunziatella, dove insegnava stipendiato. Dall’ottobre 1849 al Natale 1850. Alla vigilia di Natale fu arrestato, tradotto a Napoli, e recluso per quasi tre anni al castel dell’Ovo. A Cosenza, benché riverito, non si sente a suo agio: nelle lettere ad amici e allievi, che Croce ha raccolto in questa brochure, ne parla come di “ultimo angolo della bassezza e della barbarie”, e di “barbari luoghi”, sempre fisso su Napoli (“ho un paradiso innanzi agli occhi”). Se si considera l’apertura di De Sanctis, si capisce quale abisso separava Napoli dai territori del Regno. Forse di cultura (ma Cosenza non era indietro negli studi), sicuramente di indifferenza e disprezzo: Napoli non è stata una capitale.
Recluso senza processo, De Sanctis era stato arrestato su delazione di un pentito. Un preteso mazziniano che nessuno conosceva. Anche in questo la vicenda è molto “contemporanea”. Le feste per centocinquantenario dovrebbero farsi carico di queste persistenze, sono parte della storia e del carattere nazionale.
Benedetto Croce, Il soggiorno in Calabra, l’arresto e la prigionia di Francesco De Sanctis
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