Santoro si dimette, non si dimette, ma ha sempre un colpevole, e il colpevole sono gli altri. Sempre autoreferenziale, direbbe un sociologo. Come Mourinho, altro signore dal superego che sa come bastonare e asservire l’opinione pubblica. L’allenatore dell’Inter, che disprezza l’Inter, Milano, l’Italia, e se ne vanta, osannato, e il Santoro osannato che è un mercante della comunicazione, sono i baluardi dell’informazione debole. Ma non soli. Sono la cuspide di un “sistema dell’informazione” che punta sempre ad asservire (aggredire, soffocare, coartare) i suoi fruitori.
Nessun dubbio per i sei milioni di ascoltatori di Santoro che le sue vittime non siano colpevoli, di tutto: non c’è respiro per l’ascoltatore, non c’è termine di paragone. Lo stesso per l’allenatore portoghese, se non per la cura che lui mette nelle sue uscite, sicuramente più studiate di Santoro. Al quale invece basta l’indignazione, ha una robusta base, costituita da vent’anni di invettive. Quasi tutte false, ma questo non incide: la sua credibilità è nell’eccesso - di cui la Rai è garanzia (quando andò sulle reti di Berlusconi gli credevano in pochi), ma questo è un altro discorso.
Il pensiero debole è stato fertile, di pensiero. L’informazione debole no, non è informazione. E tuttavia mai l’opinione è stata più forte di ora che è debole. Non creduta, non più seguita (i lettori di giornali si sono dimezzati rispetto a dieci anni fa), ma definitiva e imponente. Quella dei Mourihnho e dei Santoro, che si applaude come un tempo i gladiatori. Non si porta però, è evidente, a casa, o al lavoro, o a passeggio, con sé, nelle coscienze. Debole è anche chi crede a Santoro, fuori dalla storia. Senza fatti, senza fondamenta, senza argomenti.
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