Una testimonianza della rozzezza del giornalismo, e delle censure (ex) Pci. Una testimonianza perfino benevola, tale è la devastazione dei casi che le sottostanno. E che, oltre al disgusto, lascia il gusto dell’insipienza politica: tanto rivoluzionarismo ha avuto i suoi morti ma non ha influito sugli eventi, non ha spostato l’opinione. Una prova dunque d’incapacità. Ma, allora, perché si continua ad averne timore? È che l’apparato rivoluzionario non va più ma quello censorio resta forte. E perché resta forte? Perché, allora come ora, i giornali appartengono a gruppi di interesse, sempre gli stessi, che, con diversa articolazione, si basano sempre sulla stessa dissimmetria: l’accordo con gli (ex) comunisti. L’impronta è sempre la stessa: un liberale, allora Ottone, che dirige il giornale con gli apparati del partito.
Il libro è coraggioso, ma si legge in questi giorni di celebrazione dell’assassinio di Tobagi con disagio: l’autore di un libro che Bompiani-Rizzoli pubblica, giornalista del “Corriere della sera”, deve non dire le cose che sa.
Michele Brambilla, L’eskimo in redazione
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