Si può dire che la relazione speciale della gran Bretagna con gli Stati Uniti non c’è più perché non interessa agli Stati Uniti – non più che con qualsiasi altro paese “willing”, di buona volontà. Ma non sarebbe una novità. La novità della campagna elettorale è che la Gran Bretagna non è in grado di mettere più niente nella “relazione speciale”: non il nucleare, che non interessa, non la finanza, nazionalizzata con la crisi, e neppure l’appoggio logistico e militare nell’Arco della crisi asiatico. Questo appoggio, in Afghanistan, in Iraq, in Pakistan, la Gran Bretagna non se lo può più permettere, e gli Stati Uniti comunque non l’apprezzano, né sul campo né sul piano dell’intelligence e dei rapporti politici. Hanno più peso e capacità decisionale, hanno sperimentato in Iraq e in Afghanistan, senza i britannici.
Da tempo, e più ancora con l’amministrazione Obama, è svanito peraltro l’interesse americano ad avere Londra come cavallo di troia nell’Unione europea. Una volta circoscritta l’Ue a potenza regionale, entro i suoi propri confini, l’interesse di Washington è semmai di vederla funzionare. Di poterla avere come partner affidabile in Asia e sui mercati finanziari. Di questo c’è netta la percezione nella campagna elettorale: seppure come deriva, una sorta di marea ineluttabile, c’è solo l’Europa all’orizzonte. Il leader conservatore Cameron ha preso solenne impegno e non portare la sterlina dentro l’euro, ma l’argomento non fa presa, anche perché l’autonomia è solo nominale e contabilistica.
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