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Arte – Non muore, si dice: da qui, si dice, il suo fascino universale, anche presso gli incolti. O non perché, invece, ha bisogno di mediazione, dell’interprete? Universale, e immortale, è il fascino della natura.
Città – È un fatto storico, quindi in evoluzione, normalmente penosa. I conservazionisti ne fanno una bella addormentata, che le masse ignoranti e la speculazione immobiliare violentano. Ma questa è la natura, in alcuni casi - là dove è portentosa (Napoli, la Sicilia…). La città è sempre una violenza all’ambiente e alle abitudini, che per definizione sono buone se sono vecchie. Anche quando non si sviluppa, quando cioè deperisce.
Fede - È l’alternativa ragionevole alla disperazione, in quanto è creazione della ragione. Arrivata al suo limite, la ragione si estende con la fede. L’alternativa è la disperazione, che non è ragionevole.
Identità – Più spesso è il possesso: ci identificano le cose, che del resto sono nostra espressione. Anche quelle di possesso recente o di valore infimo. Perderle, o esserne derubati, è una violenza fatta alla persona. O peggio, in un certo senso: è infatti impossibile quella difesa, o gesto di difesa, con cui si reagisce all’aggressione, con effetto esorcistico sulla violenza che si subisce.
Infelicità - È incurabile perché non è la disgrazia, o la mancanza, che la determina, ma l’ansia.
Il disadattamento alla realtà, agli eventi.
Lavoro – La verità è che del lavoro non resta nulla. È come coltivare il pomodoro. Anche le patate. Dell’occupazione che prende due terzi della vita da svegli.
Lingua - È il luogo, il promo fondamento, su cui ci s’impianta – o ci si ritrova.
Mafia - È carica straordinaria di energia: si può, si deve, anche leggere così. La mafia esprime una forte carica di energia dissipata, o convogliata su canali improduttivi. Resta da sapere perché.
La mafia si differenza dalla delinquenza comune perché nella violenza esprime anche molta energia, e molta capacità organizzativa e produttiva. I mafiosi hanno tutto dell’ottimo imprenditore, se si esclude la misura nella violenza (comprese la truffa e l’evasione-erosione fiscale): innovazione, capacità di valutare il rischio, capacità di creare reddito o ricchezza. Partendo da ambienti e condizioni personali sfavorite: emigrati marginali e isolati in America, Canada, Australia, villani a Palermo e in Calabria. Sono un conferma o sono una smentita della concezione liberista della società? Della democrazia e della ricchezza che s’incrementano nello scambio?
Rivelazione – Era di Dio, della Parola, del segreto dell’universo, un’apocalisse, la filosofia: l’uomo cerca la conoscenza e Dio gliela rivela, con la fede e con la natura, la ragione, il sentimento. È la parola chiave di un’opinione pubblica meno avvertita che mai. Ora è rivelazione di un atto istruttorio, di un tradimento coniugale, di un atto di corruzione, e naturalmente di un complotto. Uno dei tanti – in passato gesuitico, massonico, giacobino, ebraico, oggi delle multinazionali e della globalizzazione.
“Così dice il Signore”, si scusavano i profeti dell’Antico Testamento. Gesù Cristo, prima di tornarsene in cielo, ci lasciò lo Spirito Santo. Oggi “così dice il giudice”, si giustificano i novelli profeti, i cronisti. O lo dicono le carte, le intercettazioni, le note di servizio del maresciallo, il teste. Che di solito è un refoulé, un pentito.
Storia – È in realtà la memoria collettiva. Un universo informe, di eventi, ansie e attese, di passato, presente e futuro, di passato registrato oppure obliato, ma non per questo inattivo. Un ammasso di pieghe e di ritmi che si dispiegano agli assalti di più passati storici – se non, a volte, incidentalmente.
È la cronaca (la memoria) dell’arte – tecnica e estetica – quale manifestazione di vita. In questo senso è una cambiale perpetuamente rinnovata.
Ecco come si concilia con l’eternità e l’infinito.
Ci allontana da Dio, la storia come agire umano. Perché?
Lo svolgimento dell’agire umano è un progressivo costante – la tendenza fra le oscillazioni – allontanarsi dalla presenza di Dio.
Dal Dio della paura, e questo sarebbe solo naturale: abbandonare l’inarticolato, l’inconsulto, per una conoscenza piana, tranquilla. E invece no, si passa dalla paura di Dio alla paura e basta: uno stato di tensione in cui non c’è Dio e non c’è nemmeno una causa – razzismo (etnicità, odio, eccetera), decadenza, nevrosi e depressione, sospetto.
Quella vera è una brutta bestia, difficile venirne a capo. Per le troppe bugie, e i conseguenti sospetti: è un contorto quetzal.
Montaigne trovava gli italiani gradevolmente immersi nelle storie, in versi e in rima, dell’Ariosto, del Boiardo, del “Guerrin Meschino”. Ora s’incontrano immersi nella storia sgradevolmente, di cui sentono il bisogno come del cibo, ma confondono nomi e date.
L’unico filo è la grandezza. Sia pure, in quest’epoca di economicismo, un’arcata alta venti metri per convogliare il fiume a un gioco dì’acqua in piazza. Il meraviglioso resta il fascino della storia, il senso. Eppure c’è, galileianamente.
Tecnologia - È l’ispiratrice del cambiamento, in termini meccanici l’albero di trasmissione. L’odio della tecnica è malposto perché tocca il suo meccanismo – l’innovazione – e non il suo presupposto. Che invece può essere errato. Una modernità piatta sarebbe un problema: senza radici è mera ripetizione, sia pure tecnicamente brillante, e sa di morte.
Tradizione – Che sarebbe senza la modernità? Un mondo di giaculatorie. È un modo per esorcizzare il passato, alleviarne il peso condizionante.
zelig@antiit.eu
sabato 15 maggio 2010
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