Giuseppe Leuzzi
“The Economist” del 29 aprile ridisegna la carte dell’Europa in base al debito e al malgoverno. La Gran Bretagna manda alla deriva, “verso le Azzorre, il Sud d’Italia stacca dall’Italia, chiamandolo “Bordello”: “La Germania può restare do ve sta, come la Francia. L’Austria dovrebbe spostarsi a sinistra al posto della Svizzera (trasferita in Scandinavia, n.d.r.), lasciando il posto alla Slovenia e alla Croazia un po’ più a Nord-Ovest. Dovrebbero unirsi all’Italia del Nord in una nuova alleanza regionale (idealmente gestita da un Doge, da Venezia). Il resto dell’Italia, da Roma in giù, si dovrebbe separare per unirsi alla Sicilia e formare un nuovo paese, ufficialmente chiamato il Regno delle Due Sicilie (ma soprannominato Bordello). Potrebbe formare un’unione monetaria con la Grecia, e con nessun altro".
Il settimanale britannico lo dice per ridere. Non sa che potrebbe essere una soluzione, peggio con questa Italia non può andare.
Nel romanzo-rivelazione degli Usa, “The End”, Salvatore Scibona fa distinguere ai suoi personaggi la parlata palermitana da quella siracusana. Nella tradizione filologica che impressiona anche nel parlato originale del “Padrino”, la serie dei film di Coppola. È il linguaggio sradicato che si fissa, le differenza restano accentuate. Ma c’è una non svalutazione del Sud. Nulla di falso memoriale, o di retorico. Solo una differenza matter of fact, molto solida. Bella perché irriducibile.
Aggirandosi per la Garfagnana e l’Appennino ligure-piemontese, zone di forte emigrazione un secolo fa, ancora oggi se ne può trovare la ragione nella natura, arida, ostile. Per chi partiva invece dalla Calabria, dalla Campania, dalla Sicilia orientale, terre ubertose, la ragione è un fatto di storia: dell’incapacità di creare ricchezza, non dell’impossibilità.
Sudismi\sadismi
Gerace è un paese gioiello, di palazzi e chiese ben conservate, pulito, ordinato, attorno a una cattedrale romanica tra le più pure e monumentali, e di gente laboriosa e mite, alta sulla costa sopra lo Ionio, anche il clima vi è invidiabile, fondato dagli antichi locresi. Ma il “Corriere della sera” vi celebra l’unità con due pagine di turpitudini: mafie, ruberie, stupidità (le donne vi credono le olive quadrate…), e naturalmente il feudo – la cui colpa, come si sa, è di non esserci stato. Insomma, con la solita ignoranza prevenuta. Anche se a opera del calabrese Sergio Rizzo. Poi dice che questa Italia non è da vomito.
Sviluppo e eugenetica - 2
L’eugenetica che il professor Lynn ripropone (“In Italy, north–south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature, and literacy”, v. l’’ultimo “A Sud del Sud”) non è una follia di Hitler. Pazzi e prostitute liquidava già Robespierre. Mentre la Svezia sterilizza donne, perlopiù, e uomini, duecentomila dal 1934, su una popolazione di otto milioni di abi-tanti, per “igiene sociale e razziale” – la Svezia ne tiene il conto, altri no: Norvegia, Danimarca, Canada, Usa, Francia, Austria, Olanda, Svizzera. Tutti i valori della modernità convergono sulla buona morte, dagli Usa e gli scandinavi dei buoni sentimenti, come dalla Germania. Alla fine della Grande Guerra, benché la sovrappopolazione fosse decimata dalla spagnola, gli ottimi Alfred Hoche e Karl Binding, un medico e un giurista teutonici, entrambi molto liberali, pubblicavano un Via libera all’annientamento della vita priva di valore vitale, un volumetto che è quasi una guida, spirituale e materiale.
Eugenetica, la parola è beneaugurate, la biologia fatalmente vi confluisce, gli anni Venti ci credettero. Fu popolare agli inizi del Novecento in Germania, i Krupp ne finanziarono la ricerca, e negli Usa a opera di Charles Davenport, che a fine Ottocento aveva divisato una società in cui “innamorarsi con intelligenza”. Nonché di Madison Grant, avvocato, e Theodor Roosevelt, poi presidente Progressista e Nobel per la pace, che fondarono la New York Zoological Society, al fine di bloccare l’emigrazione dall’Est e Sud Europa e ste-rilizzare gli immigrati da quelle zone, italiani, iberici, balcanici. Il blocco divenne legge, e la sterilizzazione fu libera fino a tutti gli anni Venti, fino a che la Depressione non la rese onerosa. La sterilizzazione coatta dei poveri si praticò su larga scala, diecimila casi nella sola California. Il giudice Oliver Wendell Holmes jr., pilastro del liberalismo americano, e per trent’anni della Corte Suprema, fino ai suoi novant’anni, la autorizzò nel 1927, quando ne aveva 86, per i “mentalmente disabili”. Né si è spenta negli Usa la speranza di eliminare geneticamente la criminalità. Gli amori intelligenti Davenport voleva tra partner astemi, danarosi e nordici.
Margaret Sanger, che a Davenport subentrò nell’impegno, praticò gli amori intelligenti a partire da Havelock Ellis, il sessuologo. Una volta libera dal secondo coniugio con tre figli, dopo il primo di prova contratto a diciott’anni. Patrona degli immigrati, distribuì profilattici gratis nei quartieri poveri di New York. Nel controllo delle nascite individuando anche il nodo della liberazione della donna. Si espongono o uccidono le bambine, Margaret spiegherà nel 1920 in Woman and the New Race, in India e Cina, a iniziativa delle stesse madri. Come già a Sparta, dove le donne, possedendo i due quinti della terra, controllavano la famiglia e l’infanticidio selettivo. In Germania la pratica fu tanto diffusa che “un solo principe ebbe a condannare ventimila donne a morte per infanticidio”, e un decreto del 1532 dovette comminare a scopo dissuasivo pene quali l’impalamento, la sepoltura da vivi, l’annegamento in un sacco con un serpente, un cane e un gatto. In Italia per ogni 100 uomini infanticidi Margaret registrava 477 donne – senza contare che l’uomo “di solito lo fa istigato dalla donna”.
Era una genetica utopista, quella degli anni Venti, che la povertà imputava ai geni poveri dei poveri. Specie a Londra, dove l’eugenetica di Davenport fu rilanciata da Keynes, Bertrand Russell, Wells e Maria Stipes, la quale nel ‘21 fondò una Società per il Controllo Costruttivo delle Nascite e il Progresso Razziale. Con l’obiettivo di sterilizzare i maschi di colore. Era la parte nobile del “razzismo scientifico”: estirpare il male. Che la Germania non omise di copiare, adibendovi tipicamente una pro-fessione, l’“igienista razziale”. Nel ‘31 gli igienisti razziali Hans Harmsen e Fritz Lenz individuarono la radice della criminalità nelle malattie e-reditarie, e proposero un piano per isolare le “stirpi malate”, per lo “sradicamento dei geni”. Eric Voegelin chiarì nel ‘33 in Razza e stato che il razzismo è utensile dell’imperialismo. Ma Harmsen insistette, e nello stesso anno elaborò con Gunther Ipsen, altro scienziato, un piano per la purezza del popolo tedesco attraverso la separazione razziale e una politica selettiva delle nascite. Nel ‘34 Hitler se n’appropriò, creando la scienza genealogica del popolo tedesco. Harmsen contribuì con la sterilizzazione dei disabili nella Innere Mission, il fronte interno, una catena di cliniche protestanti di cui era l’ufficiale sanitario. Sarà medico ancora dopo la guerra, fondatore della Pro Familia, nuova denominazione delle vecchie leghe eugenetiche, di cui è il presidente. La sterilizzazione, che si pratica tuttora in India, su base volontaria con premio in denaro, ecologi e biologi non cessano di predicarla, un movimento anzi si potrebbe creare, di ecologi che si tagliano le palle in pubblico, per fermare le nascite.
L’eugenetica fu semplice e bella anche per Margaret Sanger. L’aborto selettivo surroga oggi l’infanticidio, con effetti variati: nei paesi islamici si abortisce, rilevò in Woman and the New Race, dopo che è nato il figlio maschio. Negli Usa stimò fra uno e due milioni di aborti l’anno, “una disgrazia per la civiltà”. Abortivano di più i neri, che però insistevano a procreare, e questo era insieme una disgrazia e un problema, moltiplicandosi criminali e asociali. Su questa base l’aborto selettivo diverrà la soluzione anche per Margaret, appena due anni dopo la “disgrazia per la civiltà”: per duecento pagine, in The Pivot of Civilization, calcola il costo “dell’imbecille sull’intera razza umana”, anche “finanziario e cul-turale”, con prefazione di H.G.Wells. The Birth Control Review parlò di “peso morto di rifiuti umani”, allargando la “minaccia alla razza” a neri, latini e balcanici, non a motivo della lingua, ma della inferiorità mentale.
Aspromonte
“La più remota montagna della penisola italiana” chiama il massiccio Corrado Alvaro, nel saggio “Rich literature and Poor Life”, scritto per “Confluence”, la rivista di Henry Kissinger, nel 1954. Era così ancora di recente, al tempo dei sequestri di persona. Ma non in Calabria.
La Montagna è in Calabria l’Aspromonte. La Montagna, ogni paese e ogni anfratto, è femminile. Vive di miti femminili, unificati nei vari culti della Madonna.
C’è da rivedere tutta l’antropologia sulla donna del Sud, nella Montagna e anche altrove.
Ovunque nell’Aspromonte riciccia la Francia. Per “La chanson d’Aspremont” voluta dai normanni, per i normanni, che vi si nobilitarono, e per il culto della Madonna della Montagna. Per i tanti nomi, dei luoghi e delle persone. Per gli studi che sono stati fatti nel Novecento, sui normanni, i bizantini, l’Aspromonte e la Calabria.
C’è anche Pascal, che a una certo punto adottò lo pseudonimo Montalte – Montalto è la cima dell’Aspromonte. Per pubblicare nel 1656 le “Lettere a un Provinciale”. L’aveva preso da un autore italiano che aveva pubblicato in latino una “Revisione della sentenza di Pilato contro Gesù Cristo”.
Lo pseudonimo Pascal aveva adottato per sfuggire ai gesuiti. Che infine lo snidarono. Ma non riuscirono a capire perché Montalte. L’autore italiano l’aveva adoperato anche lui come pseudonimo, essendo probabilmente ebreo.
Louis de Montalte non bastando, Pascal lo anagrammò poi variamente, in Salomon de Tultie, altro pseudonimo, o Amos Dettonville.
Ovunque si scavi, a Oppido Mamertina nel suo vasto agro, a Nardodipace, a Monasterace, sui pianori dell’Aspromonte, tracce emergono greche e romane. Fuori terra c’è un patrimonio bizantino da ricostituire, forse più vasto di quello che la Grecia s’è ricostituito negli anni 1990 con i finanziamenti europei. E c’è un documentatissimo patrimonio normanno, di atti, notarili, giudiziari, domestici, chanson de geste, chiese, torri, castelli, tombe, epigrafi, che terrebbe impegnata una buona università per molti anni. C’è un patrimonio religioso antico e antichissimo: il santuario di Polsi è il luogo di venerazione con più continuità nella storia. Ma con tanti manufatti storici, la storia in Calabria non esiste. Meno che mai nell’Aspromonte.
L’isolamento nell’Italia moderna, e la dannazione in quella unita, hanno creato un forte pedigree di smemoratezza. Riempita di vuote ciance senza mai una pezza d’appoggio – la famosa scuola patriottica meridionale, “l’intellettuale della Magna Grecia” che l’Avvocato Agnelli derideva. L’unica storia è quella dei sequestri, dei Nirta-Strangio, dei Piromalli. Dopo quella del feudo, che in Calabria è colpevole perché non c’è stato.
L’Aspromonte è quello di “Gente in Aspromonte”, la raccolta di racconti di Corrado Alvaro. Che è di ottant’anni fa. E rievoca un mondo di cento-centoventi anni fa. Ed è solo l’opera di un grande scrittore, che tra l’altro non amava la montagna. È come se uno dicesse che Milano era nell’Ottocento quella del Seicento di Manzoni, quindi con sessantamila bravi, più di tutti i mafiosi della Calabria, della Sicilia e di Napoli messi assieme.
leuzzi@antiit.eu
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