Un fighetta” e niente più, un uomo di rappresentanza: un po’ se ne ride a Milano, della nomina di Andrea Beltratti al vertice del consiglio di gestione di Intesa San Paolo, per conto del socio torinese, la Compagnia San paolo. Ma non c’erano dubbi sul’esito della vicenda: che la torinesità sarebbe stata rappresentata a Milano da un uomo di paglia, seppure di bella presenza. Un bocconiano, seppure torinese di origine, fatto patrocinare da Elsa Fornero, la professoressa torinese che ha preso gusto a stare nel consiglio della Compagnia San Paolo e in quello di Intesa - Milano ha le sue attrattive, il sole Bazoli è irresistibile.
Nessuno dubitava dell’esito perché Giovanni Bazoli in venticinque anni da re della banca non ha mai fallito un colpo. La partita non sembrava così semplice come poi è stata, e questa è l’unica sorpresa. Il fatto che il consiglio della torinese Compagnia San Paolo si fosse fatto imporre da Bazoli un candidato alternativo a Domenico Siniscalco, inizialmente indicato, mostrava già che Torino era in difficoltà. La conclusione della vicenda mostra che non conta più nulla.
La Compagnia San Paolo è sempre il socio di maggior rilievo di Intesa San Paolo ma non ha alcun peso nel gruppo. I soci torinesi ne avevano attribuito la colpa a Enrico Salza, l’ex presidente del Banco San Paolo artefice della fusione con Intesa (“troppo anziano”, “troppo legato alla fusione”). Avevano indicato nell’ex ministro dell’Economia Siniscalco il loro nuovo rappresentante. La cosa non è piaciuta a Bazoli. Non tanto per la persona di Siniscalco quanto perché la candidatura veniva avanzata con propositi revanscisti. Ha fatto sbarramento, usando la Fornero dentro la Compagnia San Paolo, ha chiesto un candidato alternativo, ha mobilitato i giornali del suo gruppo, l’ex Rizzoli Corriere della sera, contro le intromettente della politica nella banca, ha fatto proporre alla Fornero Beltratti, e l’ha ottenuto.
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