Se Napolitano fosse stato candidato nel 1994 al posto di Occhetto? Queste tre lezioni all’Istituto italiano di Berlino sono il libro di storia del Novecento che ancora non si vuole scritto – del libro che le raccoglie per questo non si parla? La democrazia italiana è illiberale, si sa. Ma Galli della Loggia prova anche a trovarne il motivo. Il Novecento è stato in Italia specificamente italiano, per sue distinte culture politiche: nazionalfascismo, cattolicesimo politico, socialismo massimalista, comunismo gramsciano. Una diversità accentuata da peculiari comportamenti: forte polarizzazione, quasi faziosa, concezione salvifica della politica, uso politico della storia, outsiderismo (anarcoidismo?), la storia vissuta come susseguirsi di traumi, reducismo e trasformismo. Il Risorgimento, un fenomeno esclusivamente politico, ha originato e alimentato la peculiare concezione demiurgica della politica che è il proprio dell’Italia – un vero e proprio “morbo italico”: ogni legge è una riforma, una rivoluzione, un rovesciamento. La pretesa di cominciare la storia daccapo, un modernismo sterile.
Ciò che caratterizza il Novecento italiano (e caratterizzerà questo aureo libretto) nella storia europea, insiste lo storico, è “la profonda estraneità verso ogni prospettiva di tipo conservatore”. Che “è la stessa cosa della sua estraneità alla democrazia liberale”. Si capisce che l’Italia non abbia classe dirigente né funzione pubblica, che entrambe maturano in una prospettiva di conservazione: “trasmettere, confermare e consolidare”. È la stessa cosa del vuoto riformismo cui tutti si appellano. C’è invece, va aggiunto, un inguaribile conformismo, Galli della Loggia lo chiama “politicamente corretto” ma è puro cominformismo, per cui i tedeschi italianofili dell’Istituto diretto a Berlino da Angelo Bolaffi possono sapere della nostra storia delle cose che in Italia si fa finta che non siano state dette, nonché discuterle.
Il volumetto è pieno di cose “nuove”. In particolare sulle origini del fascismo sulle quali si è tornati da alcuni decenni a sorvolare. Sulla insostenibilità del sistema politico della Repubblica abbattuto dai giudici, dei suoi costi. Nonché del berlusconismo – tema su cui lo storico prudentemente mette le mani avanti: “Nell’Europa di oggi è più facile, in generale, parlare di Hitler che di Berlusconi: i rischi sono assai minori”. Si può dire per esempio che c’è qualche ragione nel successo elettorale di Hitler. I costi della politica saranno il vero tema della storia della Repubblica Italiana, quando si potrà fare: l’Italia è stata per quasi quarant’anni, in regime di guerra fredda, una democrazia vigilata, con i due maggiori partiti, la Dc e il Pci, finanziati rispettivamente da Washington e da Mosca. Una condizione di cui, va aggiunto, la “fine della storia”, Mani Pulite, è in realtà il perpetuamento: la vera questione morale è la questione morale – una fine della storia stracca, ripetitiva, costantemente golpista, e infatti l’Italia ne è stremata.
Ma basti il tema affascinante: quello che poteva essere l’Italia alle tre date fatidiche – invece di quello che è stata: il 28 ottobre 1922, il 18 aprile 1948, il 27 marzo 1994. Le date, e le persone, sono decisive nella storia. S’immagini, per converso, l’onorevole Moro nel 1948 invece di De Gasperi. Avremmo avuto un ‘Italia neutralista, jugoslava, inetta. Ma s’immagini allora Napolitano al posto di Occhetto nel 1994: ci avrebbe risparmiato questi vent’anni che ci toccano di Berlusconi. Napolitano del resto era il leader naturale dell'ex Pci nel 1994: dopo l'equilibrata performance di presidente della Camera tra il golpista Scalfaro (due Parlamenti sciolti in due anni) e i giudici mariuoli, si sarebbe preso tutti gli otto o dieci milioni di voti dei senza partito, i socialisti, i repubblicani, i liberali, buona parte dei Dc, che invece hanno dovuto astenersi o votare Berlusconi. Il 1994 poteva essere un 1948 rovesciato. Invece i gattini ciechi berlingueriani riuscirono a confermare la batosta del '48, e ancora occupano tutti gli spazi, con il loro poverissimo conformismo, fatto dei resti del sovietismo. Quello per cui, direbbe Galli della Loggia, si può ridiscutere la Resistenza, nel quadro della guerra civile, ma vanno sempre rimosse le origini del fascismo, contrastano col compromesso, tra il socialismo massimalista e il cattolicesimo anazionale.
Ernesto Galli della Loggia, Tre giorni nella storia d’Italia, il Mulino, pp.161, € 10
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