astolfo
Antipolitica – Inaugurata a Milano dalla Lega, celebrata dal “Corriere della sera” nell’estate del 1994, in preparazione del mini-golpe contro il governo, d’accordo con Borrelli e la Procura di Milano. È il proprio della borghesia? Di quella italiana sì. Sotto le vesti dell’antipartitismo, l’antipolitica viene dalla cultura liberale, laica (azionista, repubblicana), degli anni Cinquanta e Sessanta, man mano che, restando fortemente minoritaria, fu esclusa dalla politica nazionale. La scelta del "Corriere" nel 1994 fu dettata da ragioni editoriali: fronteggiare la concorrenza di “Repubblica”, che col cosiddetto giustizialismo, l’ultimo avventuroso approdo di Scalfari, ne minacciava il mercato. Ma c’era evidentemente una corrispondenza fra l’antipolitica e il pubblico lombardo che il “Corriere della sera” rischiava di perdere. Del rifiuto della politica già il “Corriere” laico di Panfilo Gentile e Libero Lenti era il veicolo, fino alla direzione di Spadolini a fine anni Sessanta - l’esecrazione della politica è comune alla borghesia lombarda.
Il potere è un nucleo impermeabile alla cultura europea del Novecento, alla cultura liberale. Non alla migliore cultura liberale: a Einaudi, andando a ritroso, Tocqueville, Montesquieu, Grozio, Hobbes, Machiavelli. Ma sì, totalmente impervio, ai laici italiani, da Salvemini a Scalfari, e al “Corriere della sera”. Che è quanto di più estraneo al liberalismo.
Archeologi – Vengono dopo i tombaroli. Curano la bibliografia, ma non necessariamente con lo stesso senso critico.
Capitale - È la città, la rendita urbana. Tanto più alta è la città, tanto più cresce il capitale. L’Italia fu la prima perché per prima ebbe le città, le torri, le cattedrali. Gli Emirati del Golfo non “esistevano” trent’anni fa, erano gli ex staterelli della Tregua, che ora, in gara per le torri e fli alberghi più grandi del mondo, sono anche i più ricchi. A Tokyo un francobollo di terra vale milioni, e quello è il moltiplicatore della ricchezza – valeva prima della crisi, tre anni fa: il palazzo imperiale e i suoi giardini, se edificabili, avrebbero dato un anno di pil di tutti gli Usa. Il palazzo che si estende in superficie, con i grandi giardini, non è un moltiplicatore del capitale ma il suo deflattore: è un segno, come lo è il gioiello e la cassaforte - e anche una battuta d’arresto nella crescita, una forma di autocompiacimento.
Per la sociologia marxista il capitale è – lo è stato a lungo – l’industria. Ma l’industria è l’avventura – per questo l’imprenditore, anche il manager, hanno carature divistiche (mitiche?), sono facilmente ammirati e anche amati. Marx non ha capito nulla. O meglio, lui ha capito, ma il sindacalismo già prendeva il sopravvento, il capitale riducendo alla fabbrica.
Castro – O la castroneria, integrale. Un uomo che si è preso la speranza di molti e il rispetto del mondo, in premio dell’antiamericanismo, ma totalmente negativo. Non ha dato al suo popolo, che si è dimezzato per le fughe, né benessere e neppure la dignità - si organizzano all’Avana i viaggi del’amore come a Rio. E neppure, in tutti i suoi discorsi interminabili, un bagliore di fiducia. È l’eroe del nichilismo del Novecento?
Comunismo - È stato un’organizzazione del consenso, ne conserva la forma mentis. Si vede in Italia dopo il collo dell’Urss. Per che cosa si sono battuti i comunisti, per che cosa si battono gli (ex) comunisti? Per la giustizia, la libertà, il benessere? In parte sì, per quest’ultimo, ma l’impegno per il benessere non basta a giustificare la profonda, ordinatissima, disciplina, per cui si vota compatti il fascistissimo candidato del Partito, nemmeno uno si astiene.
Il consenso è organizzato sotto forma di dissenso. È impossibile organizzare il consenso senza uno stato di polizia. Stalin ha organizzato il consenso, Hitler. La chiesa, per organizzare il consenso dopo il Concilio Lateranense del 1252, ebbe bisogno di tribunali e roghi. Qual è il consenso dei comunisti, per che cosa si battono? Per (contro) le cose ch non vogliono. L’obiettivo è a loro sconosciuto, il nemico no. Da qui la loro sgradevolezza tra le forze democratiche: hanno sempre dei nemici. Perché, moltiplicando le cose che non vogliamo, si è sempre maggioranza. Da qui il secondo motivo di sgradevolezza: l’essere maggioranza. Anche quando, è il caso dei comunisti italiani, sono solo minoranza. Con i collaterali del caso: saccenza, conformismo, superbia. Il terzo è naturalmente il cinismo, forse non abietto in politica, che però li ha portati a servire ultimamente preti e sbirri, Andreotti nelle sue manifestazioni deteriori, i magistrati golpisti, e il maccarthysmo – quanto, finto, politicamente corretto, da società civile.
Europa – La sua proiezione nel mondo si riduce al calcio, all’abbigliamento e alla cucina. Un imperialismo edonista?
Lombardi – Prestavano denaro.
Marx - Si è condannato col materialismo. Al cui gioco vince il capitale, quintessenza della materia. La potenza divorante del denaro avrebbe potuto vincerla con una mossa destabilizzante, non con una accrescitiva, o in una inutile (perdente) gara. Non è sbagliato attribuirgli la celebrazione massima della borghesia.
Occidente – Celebri i suoi tramonti.
Pochi vanno a caccia di albe, anche presso l’Adriatico.
Viene dall’Oriente, non è agli antipodi di niente.
Oriente e Occidente sono punti mobili nell’atlante, in astronomie e in geografia.
Il suo Dio e la sua legge vengono da Mosé. La cui biografia più attendibile è quella di un suddito e un fedele di Akhenaton IV, che è realmente esistito, e realmente ha “inventato” il monoteismo. Un faraone, un africano.
Oriente – L’Europa, che il giovane Ercole strappa all’Asia – Ercole, il precursore di Cristo – si è messa a correre da sola verso Occidente. E più dopo la scoperta di Colombo, che per via di Occidente si finisce a Oriente.
Sempre il mondo va da Oriente a Occidente. Eccetto che negli ultimi secoli, per l’idea di Colombo di portare l’Occidente a Oriente. Ma quante difficoltà ad ammetterlo: nel cristianesimo dapprima, e tuttora, nella storia greca a lungo. Contro ogni evidenza, tutti ostili apriori al “miraggio orientale”, Egitto, Mesopotamia, Assiri, Ittiti, Persiani, l’India naturalmente, la Cina, le steppe.
È – è stato – determinato dal bisogno di svago, dell’Occidente. Che ha inventato se stesso e poi, stanco, ha inventato gli altri mondi, Asia, Africa e Oriente. Fuori dalla chiesa, la famiglia, e il denaro. Fuori anche da Hitler, perché no. È stato il sogno dell’uomo bianco. Una fuga modesta, tra baiadere che invece hanno il burqa, la polvere secca, e gli acquitrini. Ma un’illusone grande, l’Oriente essendo spietato, tra pazze città e freddi politicanti con la bomba atomica, capitribù, mafie.
Risorgimento – È tutto propaganda. È alla sua retorica che la Repubblica deve il peggio di se stessa: Nord rapinoso, Sud avido, burocrazia infame. Ma la retorica è linguaggio immediatamente percepibile. È specchio.
Sessantotto – Si cerca di contemporaneizzare il Sessantotto, per giustificarlo. Che motivo c’è? Il movimento fu di liberazione: essere se stessi, individui, credere, servire anche, come individui. Arricchirsi e arricchire, il linguaggio, le capacità individuali. Fu questo l’abbattimento dei pregiudizi.
Alla fine, presto, si sono ricostituiti i gruppi d’influenza, con i loro linguaggi adulterati, a fini d’ottundimento. Ma questo è la negazione del Sessantotto.
astolfo@antiit.eu
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