Müntzer è il primo caso storico e il più conseguente dell’anarchismo totale: la “parola vivente” non ha bisogno di chiese né di sacramenti, Dio si rivela a ognuno, sempre, di nuovo, i testi sacri sono una testimonianza, la fede è di ogni momento. Ma il libro di Bloch, che si ripubblica dopo trent’anni in edizione economica, se illumina piacevolmente sui segreti della libreria e della lettura (un testo così tosto in economica, Müntzer, Bloch, la teologia, uno non può che rallegrarsene), è malinconicamente datato. Con poca storia e non sottile psicologia politica: “Müntzer, in quanto manifestazione e concetto, si definisce completamente attraverso lo svolgimento, l’esito, il contenuto conflittuale e l’idea della grande rivoluzione tedesca”. A Müntzer (lui lo scrive ancora Münzer) Bloch fa teorizzare sia il socialismo in un solo Stato (“la lotta di classe all’interno”) sia l’internazionalismo. È il Müntzer che la Repubblica Democratica Tedesca metterà nel biglietto da cinque marchi, un’icona proto-Pankow – c’è un tempo per i profeti, e questo Müntzer di Bloch è fuori stagione, cioè falso. C'è l'ortodossia: "Le condizioni d'industrializzazione mancanti al marxismo il bolscevismo è in grado di produrle dalla sola volontà di affermare il marxismo stesso, che è l'idea-di-comunismo più vicina alla natura umana". E c'è improvvisa la parusia. "Ci apparesplendente nella sua immagine e nel suo pensiero Thomas Müntzer, per molte cose simile a Liebknecht e non lontano per l'inflessibile capacità organizzativa dallo stesso Lenin e dagli uomini come lui... Müntzer ha anticipato l'uomo russo, l'uomo più interiore".
È un libro che usciva in Italia cinquant’anni dopo che Bloch l’aveva pubblicato, nel 1921. Ma è datata la stessa introduzione di Stefano Zecchi, con “l’irrimediabile contemporaneità, Ungleichzeit, della storia della Germania”, e il comunismo riferimento costante della stessa storia. Non manca la dottrina, e anche l’insight, nell’analisi delle derive autoritarie dei vari aspetti della Riforma, Lutero, Carlostadio, Zwingli, Calvino. Di Lutero Bloch spiega la “singolare cavillosità”, e come “lo stato luterano mancò quasi completamente di una tradizione di collegamento con la coscienza pubblica che era comunque più vivace nel mondo calvinista e cattolico”. Non c’è confutazione cattolica più radicale di Lutero di quella che ne fa qui Bloch. È un saggio critico sul luteranesimo.
L’approccio è sincretico. Nel complessivo millenarismo che caratterizzerà il filosofo: “la storia sotterranea della rivoluzione” resta inascoltata, ma è in marcia: “i fratelli della vallata, i catari, gli albigesi valdesi, l’abate Gioacchino da Fiore, i fratelli del buon volere, della vita comunitaria, dello spirito pieno,del libero spirito, Eckhart, hli hussiti, Münzer e i battisti, Sebastian Franck, gli illuminati, Rousseau e la mistica umanistica di Kant, Witling, Baader, Tolstòj, tutti si riuniscono…”. Ma è molto aperto sul cattolicesimo romano. A p. 150 il tomismo è detto “paralogismo feudal-clericale”, ma questo non è farina del sacco di Bloch, fine tomista e anzi entusiasta - è un’inserzione, non la sola, traccia di un’epoca, di un politicamente corretto. A lungo e in più riprese Bloch argomenta le persistenze del cattolicesimo in Germania, “negli spazi della musica di Bach, … nell’universale della filosofia leibniziana, nella filosofia di Hegel, che non ha dimenticato l’antico Regno”. E così via: “Effetto e conseguenza di questo cattolicesimo è amore per la purezza, anche se non è ancora purezza, è relativa benevolenza”. Con un una lettura realistica, ben weberiana, delle origini di un certo capitalismo: “Il radicalismo (luterano) si confermò piuttosto nell’etica del lavoro, generalmente protestante, di tipo piccolo-borghese”. Mentre “il luteranesimo, ancora più apertamente del calvinismo”, ha “messo in libertà gli istinti di potenza”, l’impero romano rigenerando “senza il cristianesimo”. E la Bibbia di Lutero era giusto una lettura patriarcale, “un’impronta nel migliore dei casi paternalista”.
Un capitolo a sé nella fede del filosofo è il terzultimo paragrafo, 5.7. “Il miracolo e il meraviglioso”, nell’età della non credenza. Con incursioni qua e là. Tra esse la lettura di Kafka “calvinista”, non simpatetica, ma non superficiale.
Il maggior punto d’interesse sta nella ripresa, ottant’anni fa, dopo la grande Guerra, del millenarismo di Gioacchino da Fiore. Una ripresa ancora largamente intonsa: il millenarismo, argomenta Bloch, il "cattolicesimo apocalittico", alimenta il diritto naturale classico, l’apriori di Kant, e Rousseau.
La rivoluzione dei contadini di Müntzer, e Müntzer stesso (“il grande avversario della Riforma dei príncipi e della borghesia”, Engels) finirono molto male. Ma l’uomo aveva una sua grazia (tratteggiato da Bloch infelicemente nella pagina centrale del suo saggio, nei termini del razzismo biologico) e una grande forza. Che mal ripose nei contadini e nei piccoli proprietari. Ebbe paura al momento della fine e ritrattò (anche di questo Bloch gli fa una colpa). Non si faceva illusioni: “I cristiani, a difendere la verità, sono capaci come i conigli”, aveva scritto: “E poi si permettono di dire a vanvera, certamente con molta eleganza, che Dio non parla più con la gente, come se fosse diventato muto”.
Ernst Bloch, Thomas Münzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli, pp.203 € 9
domenica 13 giugno 2010
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